Cominciano a convergere alcune opinioni di metodo. Il che significa che c’è voglia di discutere sul percorso di avvicinamento alle elezioni amministrative non dando per scontato ciò che alcuni “addetti ai lavori” fanno (sempre più) intendere che sia scontato. Sabato 24 ottobre è stata una giornata articolata al riguardo. Al mattino alle Stelline affollata assemblea, promossa dall’assessore Franco D’Alfonso, attorno a come evolve il sentimento sul cosiddetto partito della città. Alla sera, nel quadro di BookCity, per parlare – pretesto il mio libro Civismo politico (edito in questi giorni da Rubbettino) – dell’aggiornamento di una alleanza complessa tra partiti (PD in testa) e civici con il sindaco Giuliano Pisapia e due esponenti di primo piano della “società civile”. Per parlare cioè di un interesse per gli affari generali della città espresso da punti di vista fuori dai partiti, Ferruccio De Bortoli, il rettore della Statale Gianluca Vago e lo stesso Pisapia.
Il metodo delle affinità
“Partito della città“, comincia ad essere tema inteso non solo come il contrapposto politico al “partito della nazione” (che a Milano suonerebbe in discontinuità con l’esperienza incarnata dalla giunta Pisapia). Quindi come la conferma di una ampia alleanza di centrosinistra con parità di ruoli per esponenti di partiti ed esponenti civici. Un modello che Franco D’Alfonso ha indicato come “metodo delle affinità non delle egemonie“. “Partito della città” è anche e soprattutto un modo di intendere la responsabilità a gestire il cambiamento in atto sui tempi medio-lunghi. Non immaginando dunque, questo cambiamento solo in capo a una persona, come poteva essere nel 2011. Ma in capo al consolidamento di quella che si chiama “classe dirigente”. Una volta la scuola sociologica italiana (Mosca, Pareto, Michels, eccetera) usava l’espressione “élite”, che poi è stata osteggiata come anti-democratica. In realtà quell’espressione significava la declinazione meritocratica (valutabile) e non di filiera politico-fiduciaristica della costruzione della classe dirigente.
Perché questo fattore sia forte nella prospettiva, esso va ancorato a tre temi della città: essere consapevole del proprio ruolo trainante la dimensione nazionale; formare una identità metropolitana e non di borgo; esprimere una vocazione globale e non provincialistica. Ma perché esso sia forte vi è chi dice che si devono rimettere in carreggiata argomenti irrisolti (tema toccato da Ada Lucia De Cesaris, che ha ripreso la parola in pubblico dopo un certo silenzio): la qualità dell’apparto amministrativo e dell’organizzazione; la capacità di raccontare e comunicare processi (tema su cui sono ancora deboli i luoghi del dibattito pubblico e insufficiente il ruolo dei media di opinione). Aggiungo io: anche agire su una leva abbandonata, cioè la ricerca interpretativa dei fenomeni e delle tendenze e avviare legami più importanti con il sistema universitario e di impresa.
Smarrimenti e decisioni
Questi rafforzamenti presuppongono che la città non torni alle culture egemoniche espresse da partiti politici (che a volte non percepiscono che il dato di reputazione, nel paese, che li riguarda resta inchiodato al 3%) – argomento su cui Pietro Bussolati e Lia Quartapelle all’assemblea della mattina hanno dato qualche assenso – ma dando appunto prospettiva alle alleanze attorno alle affinità. Ecco quindi annunciato il rilancio di un “civismo politico”, che non si limita a valorizzare le buone maniere, l’educazione e il rispetto degli altri. Civismo oggi è altro. E’ responsabilità non solo di chiedere ma anche di assumere – dimostrando le competenze – una parte importante del processo di indirizzo e gestione. E’ stata vista (anch’io ne ho scritto) una certa titubanza nell’avvio della campagna elettorale, una sorta di smarrimento del tessuto partecipativo cittadino attorno all’improvvisa necessità di sostituire la guida della città per indisponibilità di Pisapia di dare un “tempo 2” al suo mandato. La titubanza sembra superata, nel senso di affermare ora la necessità di discutere del progetto politico per la città e quindi di disegnare meglio il profilo che deve avere il più adeguato prossimo interprete di quel processo.
Programmi e profili
La giornata di sabato 24 ottobre ha fatto capire che una certa Milano apprezza poco il processo opposto: inventare candidati funzionali a certi interessi e poi tentare di far coincidere quelle candidature con una lettura approssimativa del sentimento collettivo. Ma si è anche posto il tema (Piero Bassetti in apertura) che l’esito delle elezioni non è scontato e che l’ipotesi di “perdere” va presa in considerazione. La domanda risorge come qualche tempo fa. I diversi segmenti del “civismo politico milanese” (che non stanno tutti nella lista civica che si è manifestata nel 2011) riescono allora a scegliere punti programmatici comuni e a disegnare il profilo di un candidato idoneo ad incarnare quei punti? Le cose sentite nell’assemblea (e altrove) porterebbero lì.
Nel corso della serata, poi, Giuliano Pisapia ha ricordato che l’esperienza civica milanese si è posta criticamente rispetto ai partiti ma accettando un’alleanza a scopo migliorativo della politica. Ferruccio De Bortoli ha colto nel libro accenti di delusione circa l’evoluzione politica del civismo. Gianluca Vago ha inteso un punto di forza nel civismo come ambito di formazione di nuova classe dirigente (il tema del “merito” nei processi gestionali resta un nodo della crisi della politica). Ho replicato attorno al ruolo di Milano di servizio ad un paese debole di civismo (come dimostrarono anni fa le ricerche in Italia di Robert Putnam), ma a condizione che il rifiuto della verticalizzazione di associazioni e movimenti (altrimenti diventati “grillini” o “leghisti”) non può ora nemmeno diventare pura orizzontalità. E in questo lo stesso Pisapia – che lasciando un “potere” indossa culturalmente una casacca civica – ha la responsabilità di sollecitare una riflessione collettiva e quindi anche una proposta nelle diverse anime del civismo milanese.