Da Sarri alle unioni civili: quell’Italia senza talento, né sviluppo

Vi chiedo: c’entrano qualcosa gli insulti di Sarri, allenatore del Napoli, a Mancini, allenatore dell’Inter, con i ritardi nell’approvazione della legge sulle Unioni civili per le coppie gay? Si, ...

Vi chiedo: c’entrano qualcosa gli insulti di Sarri, allenatore del Napoli, a Mancini, allenatore dell’Inter, con i ritardi nell’approvazione della legge sulle Unioni civili per le coppie gay?

Si, c’entrano eccome.

E il fatto che Mancini sostenga che uno come Sarri, a causa del suo linguaggio omofobo, nemmeno allenerebbe in Inghilterra c’entra qualcosa con il fatto che l’Italia è il paese dell’Europa occidentale che arriva per ultimo a regolare i rapporti di coppia tra persone dello stesso sesso?

Si, c’entra eccome.

Qualcuno obietterà: e perché mai? E ribatterà: confronti mele con pere, mescoli questioni di forma con questioni di sostanza, confondi l’educazione e il rispetto con delle prerogative discutibili.

Sarà così? Vediamo.

In cerca della classe creativa

Una decina di anni fa (insomma, ne è passato di tempo), Richard Florida, un analista e ricercatore americano, esperto di studi urbani, scrisse un volume fondamentale sull’ascesa della classe creativa nelle grandi città globali. In quel libro spiegava una cosa molto precisa: che le grandi città, quelle di successo, quelle più avanzate e aperte, quelle dove i migliori professionisti riescono ad esprimersi al massimo delle loro possibilità e dove le comunità e i gruppi riescono a organizzarsi meglio, sono quelle in cui alcuni fattori si realizzano al massimo. Quali sono questi fattori? Talento, tecnologia e tolleranza. Le tre “T”.

Talento non solo inteso come genio individuale, ma come capacità e abilità professionali di singoli e associati. Tecnologia intesa come servizi e strumenti che favoriscono lavoro e mobilità sociale e professionale. Tolleranza intesa come massima apertura alla diversità, di genere, di etnia, di religione e di orientamento sessuale. Ognuna di queste tre “T” è necessaria, ma non sufficiente. Ma senza queste tre “T” non c’è crescita né sviluppo.

Può esserci sviluppo senza tolleranza?

Proprio l’ultima di queste “T” è quella che fa difetto sia nelle parole di Sarri (e della gran parte del mondo sportivo e calcistico italiano) che nella mente di quei numerosi conservatori omofobi (che vedono nei matrimoni tra coppie omosessuali solo una aggressione alla mentalità costituita e alla famiglia tradizionale). Richard Florida ha studiato le grandi città americane e, fra le altre cose, per misurare la Tolleranza, ha preso come indicatore l’indice di concentrazione dei gay nelle varie città. E ha scoperto, ovviamente, al di fuori di ogni ipocrisia, che le aree in cui, insieme al Talento e alla Tecnologia, c’è molta Tolleranza, sono quelle che sono cresciute meglio.

Si, lo so, avverto già dei brividi di freddo lungo la schiena di molti silenziosi ma educati conservatori, quelli che “io ho tanti amici gay e non ho mai avuto problemi con loro”. Già lo pensano: eh, vabbè, già sono liberi di stare in coppia, però non esageriamo con altre pretese assurde…

La forza dei ‘diversi’

Il punto è questo: lo studio di Florida dimostra chiaramente che è proprio la tolleranza che ti consente di mischiare capacità e soggettività diverse e di far decollare ogni singola realtà urbana. Tolleranza (tolerance in inglese è qualcosa di molto più ampio rispetto al significato italiano e riguarda anche l’accoglienza e l’inclusione delle diversità) significa che in quell’area c’è una mentalità aperta, significa che il nuovo non fa paura, che il modo in cui sei vestito o le tue scelte affettive e sessuali non sono oggetto di condanna morale o sociale. Per essere un po’ più sofisticati o naturali – con buona pace dei conservatori che, per definizione, non possono esserlo – potremmo dire che quando una città, una comunità, una nazione è tollerante lì non c’è paura del ‘non ancora’ o di ciò che ‘ancora non è’, non c’è paura quindi della ricerca, della sperimentazione, del confronto, dell’accoglienza.

D’altra parte, i talenti sono quasi sempre dei ‘diversi’ (per cultura, religione, colore della pelle, abitudini sessuali). E i diversi sanno, naturalmente, di essere un po’ diversi: quindi si concentrano nelle aree in cui la tolleranza è maggiore, in cui sanno che saranno apprezzati per quello che fanno e per la novità che introducono e non discriminati per quello che sono. E, per finire, siamo proprio certi che si possa ragionare ancora con queste categorie per indicare soggetti e fenomeni? Per esempio, quella di ‘diversi’?

Aprirsi a tutti per evolvere insieme

Ecco perché è importante affiancare al tema dei diritti, giustamente principe nel posizionamento dei ‘progressisti’, un argomento che potremmo definire ‘evolutivo’: l’apertura delle comunità e delle società alla libertà delle coppie omosessuali è una colonna portante nella costruzione dello sviluppo di quelle comunità e di quelle società.

In tutte queste classifiche – e qui rimettiamo il naso nella nostra piccola casa – l’Italia è messa piuttosto male. Parecchio indietro su talento, tecnologia e tolleranza. Sarà un caso? O c’è piuttosto un humus culturale che non aiuta a svilupparle? Perché i paesi nordici e anglosassoni stanno messi meglio di noi? Davvero potremmo affermare che in quei paesi il tessuto sociale e comunitario è slabbrato, eticamente debole, rivolto esclusivamente ad assecondare pulsioni disordinate e desideri egoistici? Provate a spiegarlo a un cittadino di Stoccolma, di Berlino, di Toronto o di Boston: vi guarderebbe interdetto e, nel migliore dei casi, si farebbe una grande risata.

Siamo ancora farciti di pregiudizi

Le cifre del nostro sviluppo (modesto) sono lì a dimostrarlo. Probabilmente è vero che le tasse sono troppo alte, che la pubblica amministrazione non fa questo e non fa quello, ma dietro a tutti questi limiti c’è anche il fatto che non siamo ancora un paese aperto, tollerante, fiducioso. La nostra cultura è infarcita di pregiudizi (spesso di origine religiosa).

Lo dimostrano le piazzate ottuse e ignoranti di Sarri o di Cassano (ricordate?), così come le loro finte scuse o presunte manifestazioni di tolleranza. Lo dimostrano i tormenti culturalmente retrogradi di quanti pensano davvero che una coppia di persone innamorate è contro natura se, nel caso specifico, quelle persone sono dello steso sesso.

E’ così: non siamo ancora un paese dove uno, se sa fare qualcosa, sa che questo è l’unico metro in base al quale verrà giudicato. Lo stigma del ‘frocio’ è tutt’altro che sparito. Basterebbe rivedere il primo, ironico e acuto film di Checco Zalone. Conta ancora una serie piuttosto lunga di pregiudizi. Come, per esempio, quello che ritiene che un bambino non possa essere amato e cresciuto da una coppia di gay.

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