Buona e mala politicaGestiamo bene la fertilità, male la mobilità. Allungare lo sguardo.

Seconda corrispondenza Gaziantep (Turchia), 16 marzo 2016 La Conferenza italo-turca di Gaziantep ruota attorno alle responsabilità di due paesi che cominciano a percepire che l'ondata migrator...

Seconda corrispondenza
Gaziantep (Turchia), 16 marzo 2016

La Conferenza italo-turca di Gaziantep ruota attorno alle responsabilità di due paesi che cominciano a percepire che l’ondata migratoria siriana, causata dalla devastazione della guerra, dopo oltre due anni di emergenza con lo sguardo ai bisogni immediati, va ora vissuta con lo sguardo più lungo, in cui conta – sono parole delle introduzioni – “l’immaginazione del futuro”.
Dice la sindachessa di questa città, Fatma Sahin, già ministro nel terzo gabinetto di Erdogan della Famiglia e delle Politiche Sociali, città di confine che ospita 400 mila dei quasi tre milioni di siriani distribuiti in cinque province del paese: “L’integrazione non e’ un fenomeno naturale, richiede un immenso lavoro, una continua messa a punto di volontà, comportamenti e norme. Per mettere a scuola in via definitiva 70 mila bambini nella nostra città non potevamo che avere un metodo: tenere gli occhi puntati sul futuro”.
Channel 4 ha trasmesso nei giorni scorsi un breve filmato che fa capire che agire sulle emergenze del presente richiede conoscenza della storia. Le vicende del ‘900, per esempio, in cui la Siria e’ stata paese di accoglienza – con una diffusa cultura solidale – di profughi, nel tempo, armeni, palestinesi, iracheni, libanesi.
“Quando ero presidente della Camera di Commercio della città – dice Nejat Kocher, ora deputato al Parlamento nazionale – avevo stetti rapporti con i colleghi di Aleppo e Damasco, conoscevo quelle città strada per strada. Ragionavamo abitualmente sul medio e lungo termine. Dobbiamo ritrovare quel pensiero a fronte di una spinta oggettiva: avere qui una quantità di bambini che fra quindici anni saranno medici, insegnanti, ingegneri, imprenditori. A condizione che diamo loro un percorso di opportunità”.
Mehmet Ali Eminoglu parla come rappresentante del primo ministro Ahmet Davutoglu. E forse lancia un tema che l’Italia dovrebbe prendere in considerazione. “La responsabilità istituzionale di questo processo non può essere di un segmento solo del governo. E infatti essa e’ assunta in un Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ormai opera attraverso otto gruppi di lavoro inter- disciplinari. In cui i temi della sicurezza, pur importantissimi, non sovrastano le questioni del lavoro, dell’educazione, della salute”.

Nella prima fase della conferenza e’ l’ambasciatore d’Italia ad Ankara Luigi Mattiolo ad aprire i contributi di parte italiana ricordando il ruolo del paese nella definizione nel novembre del 2015 del cosiddetto “Processo di Kartoum”, con accordo firmato a Roma, che ha regolato (soprattutto per i paesi del Corno d’ Africa e per i paesi di transito) le regole sui diritti da tutelare e sui punti nevralgici da combattere, a cominciare dal traffico degli esseri umani.
Il punto lo tocca Gian Carlo Blangiardo, demografo dell’università di Milano Bicocca: “Siamo 7 miliardi e nel 2050 supereremo la soglia dei 10 miliardi. Lo sappiamo ma sappiamo anche che sulla natalità si andrà esercitando sempre più una tendenziale stabilità. Ciò che padroneggiamo meno bene e’ la crescita ancora imprecisata della mobilità. Non solo determinata da criticità ma anche da informazione e opportunità. Comunque la crescita delle migrazioni e’ già oggi il doppio della crescita della fertilità” .
Se si mette a fuoco l’area dei paesi poverissimi (oggi poco sfiorati da emigrazioni, che riguardano invece paesi moderatamente poveri) si capisce cosa potrà succedere presto. I 600 milioni di “poverissimi” entro 20 anni saranno più di un miliardo. Le connessioni informative e comunicative raggiungeranno anche loro. E determineranno spinte migratorie inevitabili che si sommeranno a quelle prodotte dalla mani dell’uomo (guerre, violenze, privazione di diritti).
Tornando ai siriani, i numeri portati da UNHCR per la Turchia fanno capire l’impatto. Sono 2.733.284 i siriani in Turchia (contati al centesimo a tutto il 4 marzo 2016). 46 % sono donne, di cui il 65% alfabetizzate, una quota non banale sposate prima dei 18 anni. 26 i campi rifugiati, 6 in container, 20 in tenda. Ma il grosso e’ fuori dai campi. Le regole per consentire l’accesso al lavoro sono ora operative.
C’è chi fa cifre più grandi (il vittimismo e l’ allarmismo producono dappertutto il gonfiamento dei dati). Ma secondo le Nazioni Unite i siriani oggi sono poco più di 18 milioni e sarebbero 4 milioni allo stato chi ha tentato la sorte scappando nel mondo (in Italia avevo sentito da emigrati siriani parlare di 23 milioni di siriani di cui la metà scappati).
Sofia Amoddio, parlamentare italiana (Commissione Giustizia), eletta a Siracusa, coglie lo stesso spirito della sindachessa di Gazientep :”La relazione si e’ spostata dal sud-nord al sud-sud, nel senso delle migrazioni interne ai paesi limitrofi”. E ricorda ovviamente l’esperienza italiana di paese di accoglienza di migranti in condizioni drammatiche, con una grande vicenda di salvezza dei migranti in mare, puntando ora a creare una fase post-emergenziale, anche responsabilizzando di più l’intera Unione Europea.
Il pomeriggio e’ dedicato all’approccio etno-psicologico nell’esperienza dei campi in Turchia dei rifugiati siriani. Il senso della giornata lo riassume Pier Luigi Severi, presidente di Minerva, la onlus italiana organizzatrice della conferenza:” La migliore cooperazione oggi si costruisce con lo scambio di conoscenze. Dati, interpretazioni, metodo”.