Buona e mala politicaA Lesbos l’accordo UE-Turchia provoca tensioni. In attesa di Papa Francesco

Mitilene (isola di Lesbos) 9 aprile 2016 La "questione globale migranti" vista da qui resta avvolta ancora nei dilemmi che l'attuazione dell'accordo EU-Turchia non ha sciolto. Mentre l'annunciato...

Mitilene (isola di Lesbos) 9 aprile 2016

La “questione globale migranti” vista da qui resta avvolta ancora nei dilemmi che l’attuazione dell’accordo EU-Turchia non ha sciolto. Mentre l’annunciato arrivo tra una settimana di Papa Francesco insieme al primate orotodosso greco incrementa gli interrogativi.
Lesbos – rispetto alle brevi rotte per raggiungere la frontiera europea dalla Turchia – e’ la rotta più breve. L’hanno percorsa siriani e afgani in fuga dalle guerre, pakistani e bengalesi in fuga da violenze e altre etnie migranti soprattutto del Medioriente.

La Grecia ha subito – come l’Italia (non solo Lampedusa) – un lungo assedio. Greci e italiani hanno provato a scuotere l’Europa per ottenere aiuti nella gestione dell’impatto di emergenza e soprattutto per condividere un piano di riparto delle popolazioni accolte in forma equa. La pressione migratoria sull’Italia e’ attorno al 7% della popolazione residente, quella registrata in Grecia (2015 e primi 2016) e’ attorno al 10%. A parte la Germania che ha fatto la sua parte, l’Europa e’ (dato medio dei primi 2016, riferito di recente dall’ex presidente dell’Istat ed ex ministro Enrico Giovannini) solo dello 0,4%.

Su questa grave base di declino di responsabilità si genera la veloce e imprevista intesa a metà marzo tra i 28 membri del Consiglio UE e la Turchia. 6 miliardi di euro (di cui 3 già versati) in cambio della piena assunzione di responsabilità dei turchi di tutto il “flottante migratorio” che ora e’ ai confini dell’Europa. Via il dente, via il dolore.

Il portavoce di Junker Margaritis Schinas, greco, spiega qui – nel corso del meeting dei comunicatori di governi e istituzioni UE (Club of Venice) – come si è arrivati a quella unanime decisione a fronte del fatto che sull’altra rotta politica ( la cosiddetta “rilocation” ) “l’intendence non arrivava“, ma ammette che ora sarebbe necessario “implementare l’accordo“.
Perché non si è deciso di sostenere Grecia e Italia nel loro prolungato sforzo forse con molto minore costo? Perché si sarebbe magari ottenuto di dare energie ai campi di accoglienza ma non si sarebbe trovato un accordo di riparto equo dei migranti.
Ai greci (e in parte anche agli italiani, che potrebbero fra poco trovarsi a fronteggiare nuovi arrivi dalla pista balcanica, via Albania) spetta ora il compito di decidere chi trattenere e chi rimettere sulle navi per rifare all’indietro la rotta che a molti migranti è costata tutto quello che avevano per comprarsi un diritto alla vita o almeno alla libertà.

Girando per i campi a Mitilene si incontrano situazioni diverse: alcune disperate (già abbandonate per protesta da UNHCR e da associazioni internazionali, con i presidi greci allo stremo): e altre invece meno tese dove un certo numero (cinque volte meno) di migranti viene gestito in condizioni più aperte e con maggiore qualità a spese della municipalità, ma senza avere chiaro un loro piano migratorio.
Nella prima tipologia di campi oggi c’erano i pakistani sdraiati per terra in uno sciopero della fame per opporsi alla decisione del loro rinvio in Turchia.
Nella seconda tipologia di campi oggi c’erano curdi sul piede di guerra per l’evidente inaccettabilità di rinvio in Turchia ma anche siriani polemici per l’assenza di un piano nei loro confronti, alcuni dopo quasi un anno di permanenza sull’isola (intanto siriani più fortunati sono riusciti ad aprire nella piazza del porto un ristorante che si chiama “Damasco”).

Le associazioni di volontariato e assistenza (MSF, STC e molte altre) sono contro l’ accordo ma anche perché perdono una parte delle loro ragioni di sostegno finanziario. Così alimentano, pur con argomenti seri, le tensioni laddove il loro compito sarebbe di mediazione per risolvere disagi e bisogni.
E’ più o meno in questo contesto che Papa Francesco ha deciso di venire qui, in questo tratto di costa europea che fronteggia la Turchia, dove la raffinata cultura greca ci ha lasciato i versi di Saffo e Alceo e dove una continua storia di occupazioni (persiana, ateniese, romana, bizantina, genovese, turca, greca) rende Lesbos metafora di una complessità capace di comprendere le mobilità.

Se Papa Francesco andrà a visitare il campo più disperato (quello con i fili spinati per intenderci) dirà probabilmente che quegli uomini, quelle donne e quei bambini devono essere liberati. Se andrà a visitare quello dei “selezionati”, per ora in lunga attesa, dirà di por fine alle attese e di generare un progetto.
Come “implementare”, come rimeditare, come riportare una quota di responsabilità nel quadro europeo? Come evitare che passi l’idea che un tema così serio e globale per il mondo (le fughe bibliche per causa di guerra, terrorismo, assenza di diritti) è rimesso in forma mercenaria alla responsabilità di un paese come la Turchia di Erdogan, grande paese certo ma la cui storia e anche una componente della sua politica attuale aprono interrogativi? Devono essere i leader religiosi del nostro tempo a dare risposte?
Oppure essi si devono limitare a un gesto simbolico per segnalare alla politica e alle istituzioni il bisogno di un salto di qualità nell’approccio?
I rappresentanti delle istituzioni UE considerano l’accordo (che esprime anche ragioni più generali di politica estera, quasi a prescindere dalla questione migranti) irreversibile.
Si capirà a giorni.

Chi si occupa di media e comunicazione intanto qui vede l’iceberg di una rivoluzione. Quella dei telefonini e dei social media che guidano in realtà i processi di migrazione, creando una rete informativa e di re-indirizzamento che nessun governo e’ in grado su questa materia di concepire o proporre. Una sorta di anima tecnologica interna a questi processi che sta combattendo la sua parte di battaglia contro le incertezze,le ritrosie, le gelosie e le burocrazie di un’ Europa che, in larga parte, continua a ragionare sulla base di visti e di fili spinati.
Chi si occupa di comunicazione connessa a questi processi dovrebbe partire ad occuparsi di interagire con queste reti, per cogliere anche meglio problematiche e bisogni, anziché continuare a puntare tutte le carte sugli uffici stampa.
La DG Home della Commissione UE, per esempio, illustra (Michele Cercone) qui a Lesbos un orientamento in questo senso.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter