Il 6 dicembre del 2009 Clemente Mimum direttore del TG5 intervistò Marco Pannella estraendo alcune domande sulla sua vita dal libro allora appena uscito, scritto in colloquio tra me e Pannella, che portava un titolo (sua la frase) già di straordinaria sintesi della sua esistenza politica, capace di spaziare da temi globali e culturalmente maggioritari alla condizione fragile e di minoranza dei radicali: “Le nostre storie sono i nostri orti (ma anche i nostri ghetti)“. Bompiani che lo editò allora, di recente ha ritenuto di rieditarlo mandando nelle librerie duemila nuove copie.
In quella intervista Marco Pannella si proponeva – per non deporre mai qualche tratto di provocazione – con una cascata di capelli bianchi, incurante di critiche e irritazioni (tra cui credo anche quella di Emma Bonino). Le risposte a Mimun non si piegavano mai a confermare la cronaca della sua vita. Nemmeno per un frammento. Andavano sempre oltre. Ad un punto paradigmatico che gli permetteva di usare lo spazio per segnalare un tema su una delle sue battaglie politiche generali del momento.
Pochi giorni dopo era Fabio Fazio ad invitare Marco a “Che tempo che fa” per parlare del libro. Impensabile per lui avere la chance di parlare in diretta con un pezzo d’Italia per “promuovere un libro” (che d’abitudine autori e cineasti fanno in quella trasmissione). Reagì con impeto ad ogni domanda prescindendo dalla domanda stessa. Trovò il modo di insistere sui punti d’attacco del momento: l’ antipartitocrazia, la democrazia confiscata, le istituzioni umiliate. Fazio fu costretto alla fine al copione di Marco. Lui torrentizio. Finì e mi mandò un messaggino di scuse, per non avere sostenuto il libro. Non mi era nemmeno passato per la mente (e nemmeno a Daniele Nahum che assisteva alla cosa) che Marco si piegasse ad una intervista di rito.
La stessa scrittura del libro era avvenuta – sue le parole – “malgrè lui“. Attratto da un microfono amico (anche se dialettico) aperto, ma non attratto dalla componente necessariamente celebrativa di una pur non enfatica biografia. Finì per non rileggere le bozze, decidendo insieme una rilettura dei dettagli storici fatta con la precisione di un comune amico come Gianfranco Spadaccia.
Questo frammento di vicende è marginale rispetto al torrente mediatico che è esploso oggi alla notizia della morte di Marco Pannella. E tuttavia come i tantissimi frammenti della vita di Pannella anche espressione delle sue coerenze.
Grande oggi lo spazio sui media sui commenti alla notizia della morte di Marco. Grande sulle pagine dei quotidiani – soprattutto i grandi quotidiani che si considerano eredi del liberalismo di destra e di sinistra (il Corriere e la Repubblica, per esempio) – che paiono oggi di non volersi fermare mai; straripando dalla politica alla cultura, dalla società alla cronaca. Bello Il Foglio. Bello Il Manifesto. Persino i necrologi appaiono firmati non per dovere ma per “segnale” civile. Quello del governatore della Banca d’ Italia, Ignazio Visco, mi ha colpito, esprimendo gratitudine all’impegno per i diritti civili, ma con il segnale formale di ringraziare anche il difensore di tutte le istituzioni.
E poi la grande regia dello sciame di testimonianze – di popolo e di rappresentanti – che va svolgendo, per ore e ore, Radioradicale.
Forse in molti il riconoscimento a Marco Pannella è oggi un segnale verso l’indisponibilità a far trasformare da 5 Stelle la battaglia contro la degenerazione dei partiti in una politica distruttiva. Ma anche il riconoscimento a chi – sorprendentemente – ha dimostrato che le storie e gli orti dei suoi racconti sono stati ghetti elettorali ma non ghetti culturali e civili del nostro tempo. Dunque il bisogno di politica connessa a storia e cultura.
Riconoscimento, infine, a Pannella perché in lui la rappresentazione anche drammatica non era funzionale a conquistare poteri ma ad affermare spazi di consolidamento dei diritti. Come ha detto oggi Sergio Mattarella e come scrisse nel 1974 Eugenio Montale: “Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella, che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi“.