Bruxelles, 5 maggio 2016
Quattro intensi giorni di “study visit” a Bruxelles, nella cittadella delle istituzioni UE, con i miei studenti del master universitario in management della comunicazione pubblica (MASPI IULM) producono ora qualche annotazione qui, magari scritta anche con i loro occhi. Giovani a Bruxelles, i più per la prima volta, mentre i dati sulla fiducia degli europei nei conforti dell’Europa non si risollevano da quel “due terzi” di nasi storti che da qualche anno inquietano i sonni degli eurocrati.
Anche se i dati demoscopici potrebbero avere una lettura un po’ più benevola, la perdita di reputazione c’è. Ma – appunto con gli occhi dei giovani – la percezione del ruolo e dell’importanza di questi palazzi, dominati da una effervescente babele linguistica (nella quale l’inglese ha finito per prevalere), e’ ugualmente innegabile. Come innegabile, per converso, e’ anche la resistenza di ruolo e di sovranità diciamo contro questi palazzi, esercitata dagli stati nazionali. Tema che ha ridotto le potenzialità seduttive dell’Europa come “casa comune” che furono certamente di moda per la mia generazione.
Provo a rispondere, per fare sintesi, a qualche interrogativo che nei colloqui di questi giorni ha avuto carattere ritornante.
Nell’era Juncker (lodo tedesco sulla governance, riluttanza degli stati membri al ruolo legiferante della Commissione), la comunicazione europea intende o non intende reagire al tema della scarsa reputazione?
1. Secondo i giornalisti di esperienza, qui accreditati, essa reagisce con forme autoritarie rispetto alle logiche di confronto con i media. Ci sarebbe più offerta ma a scatola chiusa e, si dice, con scarso dibattito. Insomma più comunicazione che informazione.
2. Secondo i giovani funzionari incontrati in Commissione, la comunicazione invece e’ più aderente alla sostenibilità delle politiche attorno a temi cruciali per la vita dei cittadini (salute, ambiente, lavoro, migrazioni) e con un orientamento che parrebbe premiare più la filosofia della flessibilità che quella della rigidità. Dice Luciano Consoli ( decano delle agenzie di stampa): “E’ passata anche in Consiglio, cioè tra i ministri, la tesi di Renzi non quella di Schauble, che salvo la posizione di cortesia della presidenza olandese, si rivela senza alleati”.
3. Si sente dire in Parlamento che essa corrisponde alla tenuta di una maggioranza europositiva (popolari, socialisti, liberali con il rinforzo sui temi eurocostitutivi dei verdi), attorno al pacchetto delle misure per la cosiddetta economia circolare, argomento che divide le opinioni, ovviamente, tra chi loda l’ arte del possibile e chi parla di “un testo senza anima scritto da un agente di assicurazioni“.
Stando ancora sulle questioni comunicative ( oggetto della study visit), come si occhieggia davvero al cittadino, che è una ossessione nel glossario comunitario ma anche spesso un languido e lontano obiettivo?
1. Il cittadino europeo era pensato non solo come un destinatario ma anche come una fonte di diritti e doveri. Ora e’ soprattutto pensato come un elettore. Che almeno una volta ogni cinque anni si confronta con il mandato, ma che di continuo e’ impegnato a votare in un territorio locale o nazionale dei 28 paesi membri.
2. Il PE prova a utilizzare anche il canale dei social media per intercettare questo cittadino con l’obiettivo di contenere l’ astensione. La Commissione vorrebbe stare su contenuti propositivi, ma alla fine la scrittura tecnicistica, la “certezza del diritto” e altri aspetti burocratici mortificano il rapporto diretto e spingono a utilizzare la ben più selettiva leva dei media. Insomma, rapporti diretti sempre difficili e poco apprezzati dagli Stati membri. Per così dire una mezza zappa sui piedi.
3. Comitato Regioni e Comitato Economico-sociale avrebbero il vantaggio della prossimità ma anche lo svantaggio della pura consultivita’ così da limitarsi a poche azioni di rilievo.
4. La storia del rapporto tra UE e cittadini e’ tutta “stop and go”. Dal vertice di Milano dell’85 un po’ di investimenti sulla cittadinanza europea vi sono stati. Ma alla fine lo spazio di relazione diretta la UE non è riuscita a conquistarselo rispetto alle evidenti gelosie nazionali, inducendo il ripiegamento sulla relazione indiretta,cioè quella gestita dai media. E siccome i media hanno scelto di profilare la notizia europea più sulla patologia che sulla fisiologia, l’investimento si è rivelato piuttosto un boomerang.
5. E allora cosa fa notizia? Dice Patrizia Toia ( europarlamentare PD, assidua e presente): “Colpisce vedere non tanto ciò che fa notizia ma ciò che non fa notizia. Per esempio sui 73 miliardi deliberati per Orison – ad integrazione del budget dei fondi – abbiamo sentito redazioni di grandi testate dirci che non interessa“.
A partire dall’ipotesi Brexit ( si discute, ma nessuno oggi sa prevedere con certezza l’esito) , quali capacità reattive fanno intravedere le istituzioni della UE?
1. Francesca Ratti – segretario generale aggiunto del PE, napoletana, avviata alla carriera da Altiero Spinelli – dice: ” Non passerà. Obama ha spiegato bene agli inglesi che fuori dalla UE loro staranno in fila. Non in prima fila”.
2. Al contrario dice Luigi Gambardella (presidente dei 36 operatori telefonici europei raggruppati a Bruxelles in ETNO): ” Il loro punto di vista sembra essere: perché UK dovrebbe continuare ad andare con la velocità frenata e intermittente della UE, quando correndo e decidendo da sola ottiene investimenti internazionali e fa correre la sua economia ?”.
3. Emerge in molte conversazioni una risposta più ampia all’ombra dell’ipotesi Brexit. Cioè una risposta che riguarda la diffusa posizione, soprattutto di alcuni paesi entrati con l’allargamento (Polonia, Ungheria, Cechia in testa) di “scostamento valoriale” rispetto all’Europa dei fondatori. E ciò promuove il rafforzamento dell’ipotesi della Europa a due velocità, proprio ripartendo dall’Europa dei fondatori (pur facendo i conti con l’attuale perplessità costante della posizione francese). “Del resto – sempre Ratti – lo stesso Spinelli diffidava della europeita’ degli inglesi e quindi la prospettiva delle due velocità potrebbe alla fine riguardarli”. Se poi un eventuale successo del no all’Europa in GB (oltre ad un intricatissimo divorzio, che alla fine dovrebbe anche comprendere i piazzatissimi funzionari inglesi a Bruxelles) si trascinasse anche una Olexit o una Danexit , si aprirebbero scenari che nel caso olandese toccherebbero anche l’ ambito dei paesi fondatori.
Dice Fabrizio Barca, lasciando il suo incarico al Tesoro, ma mantenendo le sue da sempre stette relazioni con Bruxelles : “Questa volta vado a Bruxelles per bastonarli. Basta. Troppa burocrazia”. Allora e’ proprio vero?
1. I commenti a questa osservazione percorrono tutti un ragionamento che riguarda le procedure. La corruzione, si dice, prospera laddove la procedura e’ precaria, opaca e sregolata. Ma Bruxelles e’ per definizione “procedura”. Il che significa che nessuna abituale manovra di corruzione prospera a Bruxelles perché nessuno può piegare per interessi particolari un sistema istruttorio e decisionale che riguarda molte gente, di diversa nazionalità, diversa ottica, diversa provenienza. La trafila, le carte, i moduli, le rendicontazioni, con schemi obbligati e dichiarati, tolgono di mezzo la diffusa corruzione che prospera in contesti in cui la catena decisionale si restringe a poche ed omogenee persone.
2. Poi vi e’ chi dice che la burocrazia scrupolosa toglie di mezzo la corruzione da strapazzo, ma non quella dei giganteschi interessi global. Ma nessuna “study visit” potrebbe davvero andare a fondo su un tale scenario.
Un pezzo giornalistico non può eccedere questo format. E qui ci si ferma.
Bruxelles – presidiata da soldati fiamminghi (il cui costo e’ ansiosamente sul tavolo del primo ministro) – mantiene in piazza della Borsa la montagna di fiori appassiti della memoria recente frutto della scudisciata dei terroristi. Ma resta una città a due velocità. La cittadella europea con i grattacieli e con la cravatta da una parte; la città a tre piani, un po’ trasandata, arabizzata e in bicicletta dall’altra parte. Il traffico e’ impressionante. La babele giovanile e’ entusiasmante. Gli occhi dell’Europa sono puntati sul 23 giugno, giorno del referendum in UK. E intanto l’oneroso accordo italo-turco ha rimandato l’ idea di ricominciare a far politica partendo da un’interpretazione moderna e condivisa delle nuove migrazioni. Con i primi di maggio, a buoni conti, Bruxelles ha riscoperto il sole lucente. Che per definizione mitiga le ombre.