Ego politicoRosso relativo: Pd, imperatore e triumviri vs il popolo

Il rosso ogni tanto torna di moda. Il triumvirato di ex candidati alla segreteria del Pd Emiliano-Rossi-Speranza, ora pronti a una separazione nel nome di tutto e di niente (le poltrone e il potere...

Il rosso ogni tanto torna di moda. Il triumvirato di ex candidati alla segreteria del Pd Emiliano-Rossi-Speranza, ora pronti a una separazione nel nome di tutto e di niente (le poltrone e il potere, sì, ma anche che idea di fondo del partito di centrosinistra e di sistema politico italiano), si sono riuniti tra copie del Manifesto e “Bandiera rossa”, con quel ritorno di stile vintage un po’ forzato, quasimacchiettistico. Dall’altra parte un leader vittima di se stesso e della sua volontà di potenza, Matteo Renzi.

“La voglia scalpitava, strillava, tuonava..cantava..Da notte fonda nel petto di” cominciava a cantare Tiziano Ferro nella canzone da cui prende il nome questo post. Nel petto di entrambe le fazioni, che non si capiscono, che non trovano sintesi, non fanno mediazione. La voglia di bloccare l’avversario. Per Renzi togliere di mezzo ingombranti personaggi che, come Jep Gambardella in La grande bellezza, volevano avere il potere di far fallire i piani del fiorentino; per i neosocialisti bloccare il capo al potere e la sua corte.

“Il tuo e’ un rosso relativo
Senza macchia d’amore ma adesso
Cantera’ dentro di te
Per la gran solitudine”

continua a cantare Ferro. E c’è chi tocca ferro che non si faccia sta scissione malefica. Quando la sinistra sostantivo diventa aggettivo in senso negativo: rosso relativo o 50 sfumature di rosso.

Però c’è un nodo politico fondamentale, che riguarda anche la gestione del potere. Chi ha sbagliato? Tutti, la responsabilità maggiore però la tiene chi ora comanda e ha il potere di trovare un punto di incontro.

Il Pd vede allontanarsi la sua vocazione maggioritaria in solitaria e con un ritorno del proporzionale (diciamo, come direbbe D’Alema) dovrà fare i conti con altri partiti, forse con coalizioni chissà. Ma soprattutto dovrà fare i conti con se stesso, guardandosi allo specchio come un Dorian Gray prima di ritrovare improvvisamente la vecchiaia e la morte.

“Voglio essere quello che vuole i voti di centrodestra o quello che guarda a sinistra? Voglio il sostegno di Marchionne o degli operai? Voglio un partito leggero e che si mobilità in virtù delle elezioni o una struttura vera con sezioni, dibattiti etc? Voglio un modello più tendenzialmente presidenzialista o parlamentarista? Voglio primarie come strumento plebiscitario, dove il capo poi ha la concessione di fare quel che vuole o le primarie come strumento di seria partecipazione dei cittadini, anche per incanalare le priorità?”

Non so se se le fanno queste domande, un po’ tutti intendo. Ma soprattuto c’è da capire se e quando si ragiona delle cose da fare in questo triste periodo, come per esempio ha provato a fare Guglielmo Epifani all’assemblea di domenica che ha deciso il processo che porterà al congresso.

Però do ragione a Civati che Cita Enzo di Salvatore quando scrive:

“Un cittadino comune – come me, come chiunque altro – ragionerebbe, credo, così: aderisco o resto se mi convince o continua a convincermi ciò che si intende fare in tema di ambiente, di scuola, di lavoro, di immigrazione, di Europa; non aderisco o me ne vado se non mi convince o smette di convincermi ciò che si intende fare su quei temi.
Un cittadino comune – come me, come chiunque altro – ragionerebbe, credo, ancora così: poiché la democrazia è dialogo e mediazione, la pratica delle alleanze è scontata quando vi è convergenza politica sul modo di affrontare e risolvere i problemi che quei temi pongono.
Un cittadino non comune ragiona, invece, diversamente: aderisce, resta o va via perché prima della politica arriva la geometria: prima le strategie, le fronde, i posizionamenti e i riposizionamenti, gli inciuci (non già la mediazione), le scadenze elettorali.
Sicché, alla lunga, quel “prima” finisce per diventare un “per sempre”, e cioè un “mai” alle questioni che pone il cittadino comune”.