Generazione/i
Ho smesso di credere alla capacita’ di una generazione, la mia o la prossima ventura, di cambiare qualcosa. Non per una forma di delusione, ma per una constatazione profonda: le generazioni non esisteranno piu’, come non esistono ormai piu’ confini temporali e nazionali per il pensiero e per i capitali. Nonostante quello vi facciano credere quelli che ancora sperano in un posto fisso in un qualsiasi parlamento. Non esistono piu’ le generazioni miracolose, forse non sono mai esistite. Si e’ sempre e solo trattato di passaggi di consegne. Ma, oggi, francamente, le rivoluzioni che stanno accadendo simultaneamente ci fanno inquietamente pensare ad un mondo dove le generazioni umane saranno un retaggio superfluo di tempi in cui la prestanza fisica e l’esperienza sul lavoro erano fattori vitali.
Stiamo entrando in un periodo nel quale non conteranno piu’ le generazioni, ma la capacita’ di tecnologia e scienze mediche di far aumentare a dismisura la nostra esperienza umana. Realta’ allargata, arti bionici. E liberazione dalle dimensioni nazionali, dagli spazi angusti dei populismi, dei generazionalismi. Il futuro e’ gassoso, mellifluo, entra ovunque e il suo passaggio lascia tracce. Diventiamo sempre piu’ connessi e sempre meno profondi, dato che, per il sistema del futuro, non saremo altro che un sensore umano, spirituale, forse, ma pur sempre un sensore. Siamo dati, data, decisioni da interpretare, o da assecondare.
Lo dissi con rabbia, quasi, all’autista di Uber, mentre, la mattina alle cinque, pedessiquamente seguendo le indicazioni di una application chiamata Wayze o qualcosa del genere ci aveva trovati confusi e soli di fronte a quello che credo sia l’unico passaggio a livello all’interno della M25, il GRA londinese.
La nebbia, le luci delle case e nessun segnale del sole o di qualche forma di bagliore matutino. Lo guardo e gli dico: ‘Ecco cosa ci fotte: hai seguito la application, senza pensarci, se non lasciando una piccola parte del cervello seguire la voce meccanica che, in nessuna parte del mondo, azzecca mai una pronuncia di una via. E ora siamo qui, di fronte ad un passaggio a livello. Io e te siamo l’umanita’ e quel passaggio a livello e’ un portale verso un altro mondo’.
Ricordo il suo viso terrorizzato. ‘Non lo intendo come una cosa magica, ma qui, caro mio, ci giochiamo il futuro perche’ abbiamo deciso di abdicare ogni forma di res cogitants, di pensiero razionale ed abbiamo permesso neanche ad altri, ai politici, al potere, ma ad un sistema elaborato di algoritmi di decidere cosa fare. Lo saprai come andare dal centro di Londra ad Heathrow. Invece, hai voluto seguire la macchina che ti prometteva tre minuti meno di viaggio. Ma, magari, potevi andare piu’ veloce, se fosse stata estate potevi abbassare il finestrino e goderti la brezza. Invece, siamo qui, bloccati. E lo stesso accade con ogni cosa che facciamo, la rete, o le sue protuberanze che teniamo in mano ogni momento, ci dicono cosa scegliere, cosa ci piacerebbe fare, dove vorremmo andare, cosa vorremmo proporre. Scegliamo libri, compagnie per una serata occasionale o potenziali partner, viaggi, cibi, ristoranti, perche’ un meccanismo di elaborazione elettronica sa tutto di noi e ci racconta quello che vogliamo sentirci dire. Non ci salva dalla delusione, ma ci permette di provare, ci facilita l’esperienza tutta umana di scegliere. La cosa che mi spaventa della intelligenza artificiale non e’ che i computer saranno piu’ intelligenti dell’uomo, ma che prima di tutto cercheranno di rubarci il predominio sul libero arbitrio, sul poter scegliere quando smettere, come vestirsi, come rispondere. Per quello ho tolto il predictive text da ogni gadget elettronico che uso. Capisci? Tutto quello che un tempo era solido ora non esiste piu’, sciolto, dissolto, gassificato. Siamo una fonte di dati, e, per ora, ci va bene che ai server non piace mangiare bene e fare all’amore, senno’ saremmo veramente fregati.’
E le generazioni, aggiungo dentro di me, sono scomparse. O non conteranno molto, in un mondo dove tutto viene mescolato, confuso, dove le barriere nazionali, fisiche, mentali, verranno abbattute ogni giorno, ogni istante. Potremo non solo ordinare foglie di te da un coltivatore indiano, ma potremo anche vivere l’esperienza di passeggiare per le terrazzature dove ci sono le piante. Potremo incontrare persone in ogni parte del globo. E viaggiare senza il timore di passaggi a livello. Lentamente, inesorabilmente, diventeremo la rete, diventeremo altre esperienze. Barriere fra quello che e’ fisico e quello che e’ elettronico scompariranno. Nel tempo. Ma accadra’.
E, probabilmente, non saremo piu’ costretti ad apparire, a sentirsi parte di una generazione, perche’ il tempo si allunghera’. Ma, ancor piu’ probabilmente, non saremo noi a decidere tutto quello che ci accadra’ ma sara’ un algoritmo.
Mentre le ultime parole che ho proferito al guidatore di Uber si spengono contro il parabrezza, il passaggio a livello diventa quell’ultima barriera fra questo mondo distutopico del futuro e questo desiderio di rimanere umani, di poter continuare ad esprimere che esiste un ordine che prescinde le reazioni prevedibili, le statistiche e gli atteggiamenti medi. Esiste, da qualche parte, un desiderio, un vento di opposizione a questo meccanismo perfido per il quale ogni scelta sembra possibile, tanto una sola sara’ quella scelta.
Torneremo ad essere lupi, nella steppa elettronica. Per costruire passaggi a livello, con dubbi, domande, questioni esistenziali o vitali. Senza piu’ generazioni, ma con quel leggero senso di fatica dei giorni di cambiamento.
Perche’, dal lato politico e sociale delle cose, il ruolo che alcuni di noi vorra’ avere sara’ non piu’ quello della sicumera e della certezza ottimista ma ottusa in un futuro senza piu’ problemi, ma quel ruolo preciso di chi vuole sbalestrare le cose, dire cosa non torna ed indicare una via diversa, appena appena piu’ umana. Una visione basata su esperienze, capacita’ e desiderio di essere migliori. E non solo piu’ adatti a quello che la cultura dell’algoritmo ci imporra’.
Al tipo di Uber dissi: ‘Gira a destra, proviamo a seguire l’istinto. Vedo gli aerei che vanno verso Heathrow’. Sorrise, fece fare due giri al volante e seguimmo una strada improvvisata lungo il Tamigi, seguendo gli aerei, fino ad un ingresso della M25, nonostante le ribellioni a’ la Odissea nello Spazio del software che continuava a ricalcolare distanze. Quando arrivammo al terminal, entrambi mostrammo, in maniera infantile o punk, all’iphone il dito medio e ridemmo di gusto.
Siamo i lupi.
Dhani Harrison – Ulfur Resurrection
https://m.youtube.com/watch?v=b3wgerSdqL4
Garbo – Generazione
https://m.youtube.com/watch?params=EAEYAdoBAggB&v=Cs-9AnAUv_E&mode=NORMAL