C’è una piattaforma tendenzialmente gratuita, con una crescita costante, ci si iscrivono circa 2 persone al secondo, è unica nel suo genere ed altamente focalizzata sul business. Si chiama LinkedIn, si trova in un qualche punto tra le parole balle, bolle, problemi ed opportunità.
Ricorrendo a una celebre frase di Henry Ford, anche su LinkedIn che tu creda di farcela o meno, avrai comunque ragione.
Prima però partiamo dai problemi. Sono quelli di sempre, o meglio quelli che ormai ogni prodotto, servizio, ogni professionista ha imparato a conoscere, quelli relativi alla distribuzione.
Il problema numero uno è questo, pochi giri di parole: puoi avere il miglior prodotto sul mercato, essere il più valido dei professionisti, ma se non sai come distribuirlo (essere visibile e convincente) non concluderai mai nulla.
La parola d’ordine a questo punto è crescita. O ad essere precisi, per dirla con un termine che vediamo con sempre più frequenza, Growth, Growth Hacking.
Ho pensato di parlarne con Raffaele Gaito, autore di “Growth Hacker. Mindset e strumenti per far crescere il tuo business”, esperto e assiduo frequentatore di LinkedIn.
LinkedIn anche in Italia vede la presenza di un buon numero di startup, di aziende digitali ma soprattutto di aziende tradizionali e liberi professionisti. Ha senso parlare di Growth Hacking?
Effettivamente c’è questa tendenza nel credere si tratti di una disciplina solo per start up, in pratica è vero il contrario. Io per primo applico il Growth Hacking nel mio lavoro, alla mia persona, alla mia attività da consulente. Non c’è un campo in cui si dovrebbe fare o non fare, ci sono invece delle considerazioni e una filosofia da seguire o non seguire.
Una citazione che amo ripetere spesso, l’ho voluta inserire anche all’inizio del mio libro, è quella di Michael Brenner:
“Il Growth Hacking è marketing, è il futuro del marketing ed è quello che il marketing avrebbe dovuto essere fin dall’inizio”
Se si comprende questo, si comprenderà anche a chi si rivolge e perché tutti dovrebbero pensare alla propria “crescita”.
Mi piace. Da qualche anno però ho iniziato a pensare che parlare di social sia tutt’altra cosa rispetto ai lavori cosiddetti tradizionali. Vendere social sui social è facile…negli altri casi, pensiamo a un coach, un venditore, un assicuratore, che si può fare e cosa è lecito aspettarsi?
Questo è tendenzialmente vero ma è anche l’effetto di una visione parziale della situazione. Spesso sui social ci si circonda di persone e idee del proprio campo e si inizia a vedere una realtà omogenea pensando sia il quadro completo e reale della situazione. Anche io per lungo tempo ci ho creduto, poi ho iniziato a cercare di uscire dal mio settore per vedere cosa stesse succedendo in giro.
Su LinkedIn ad esempio ho scoperto che ci sono tantissimi professionisti, in ambiti diversi e tradizionali, che comunicano e che si sono posizionati in modo corretto. Chiaramente i numeri sono diversi, non arrivano alla visibilità dei colleghi di altri settori come il nostro ma ci sono ed il trend, anche su LinkedIn e in Italia, mi sembra incoraggiante.
La parola hacker fa pensare a qualcosa di veloce, ma forse anche borderline. Mi viene in mente il discorso delle automazioni su LinkedIn.
Io sono da sempre contrario a tutto ciò che è black hat (attività non etiche e/o illecite ndr) ma penso anche che bisogna conoscere comunque alcuni meccanismi. Da una parte ci sono alcuni tool ed automatizzazioni che possono semplificare la vita, d’altra parte è bene anche riconoscere quando certi meccanismi vengono utilizzati nei nostri confronti.
Quanto a LinkedIn: credo convenga ancora puntare sulla personalizzazione dei messaggi, sul proprio posizionamento e su tutto ciò che è inbound marketing.
Sono d’accordo. Per chiudere lascia 2 consigli per i professionisti che intendono crescere. Ma non parlarmi del caveau per favore….
Penso sia simile al discorso del growth hacking in generale.
Innanzitutto c’è da comprendere che non esistono formule magiche. “La crescita” è questione di mindset, di approccio, qualcuno direbbe di una filosofia. Parlare in questi termini è di fondamentale importanza: nel mondo digitale i cambiamenti sono troppo veloci per affidarsi a una tattica, un tool, una forma preconfezionata di contenuti – pensiamo anche a quanti e quali cambiamenti si siano verificati su LinkedIn a proposito del feed e della visibilità.
Il mindset invece resta per sempre. Mi viene da pensare a Dropbox, uno dei casi di growth hacking più famosi di sempre. In quel caso il mindset prevedeva due elementi fondamentali: fare leva sui propri punti di forza, dare più valore possibile agli utenti.
Allo stesso modo su LinkedIn si tratta di questo: esaltare la propria unicità, posizionarsi in modo coerente, offrire valore tramite contenuti per farsi riconoscere, per creare fiducia e autorevolezza.
E poi ci sono due paroline imprescindibili: costanza, pazienza.
Si Raffaele, anche oggi, anche su LinkedIn, si tratta di questo.