Le liberalizzazioni sono tornate di moda. Non tanto perchè il nuovo governo dovrebbe occuparsene, bensì grazie a un bel focus del Corriere della Sera sulle autostrade italiane, le più care d’Europa, realizzato da Milena Gabanelli e Ferruccio Pinotti. A dieci anni dalla liberalizzazione del mercato autostradale (1999) lo scenario è impietoso: le nostre autostrade “sono le più care d’Europa. In Germania, Olanda e Belgio le autostrade sono gratuite. (…) In Austria l’abbonamento annuale alla rete autostradale costa 87,30 euro l’anno per gli automobilisti e 34,70 per i motociclisti. In Italia con 34 euro si percorrono 400 chilometri. Parigi-Lione sono più o meno 450 chilometri, 19,80 euro in moto, 33,30 in auto. In Italia la tratta Ventimiglia-Bologna, chilometraggio equivalente, costa 40,50 euro”. Scrivono nel loro dettagliatissimo articolo Gabanelli e Pinotti, che rilevano anche il nostro sistema di pedaggi basato su caselli “(..) in molti Paesi europei è giudicato antiquato e oneroso in termini di costi di progettazione, costruzione, personale per la riscossione (dove non sono automatici) e assistenza. Inoltre, i caselli consumano corrente e producono incolonnamenti quando il traffico è intenso”. Messa così verrebbe da dare ragione a chi dice che le liberalizzazioni non funzionano. La situazione però è più complessa. Non fosse altro perché le nostre autostrade non sono state effettivamente liberalizzate. Quindi in teoria non dovremmo parlarne in questa maniera. Ma procediamo oltre.
L’inchiesta di Milena Gabanelli e Ferruccio Pinotti è fatta molto bene. Snocciola una quantità di dati inoppugnabili, tuttavia ha il limite di non spiegare il perché. Dice che nella gestione delle infrastrutture c’è poca concorrenza e che le concessioni autostradali vivono ormai un regime di proroga permanente. Quindi non si fanno gare. Gli incumbent promettono investimenti, lo Stato ci crede, quindi resta sempre tutto come prima. Ok, ma perché?
Lo scorso anno il professor Marco Ponti – uno dei massimi esperti di economia dei trasporti – su La voce.info sosteneva che la mancanza di gare potrebbe essere riconducibile a ragioni politiche. O meglio di interessi. Dietro il paravento delle liberalizzazioni, la longa manus dello Stato, attraverso società per azioni sussidiate da capitali pubblici, si muoverebbe per controllare il mercato occupazionale del settore trasporti, ma soprattutto per aggirare i vincoli di bilancio o di trasparenza richiesti dall’Europa. Mi fa piacere che le mie idee, più volte espresse su questo blog, coincidano con quelle di un esperto in fatto di trasporti com’è il professore (in pensione) del Politecnico di Milano. Segno, questo, che da qualsiasi prospettiva parta l’analisi, le conclusioni sono le medesime.
E ancor più soddisfazione – si fa per dire – mi dà la realtà, che effettivamente dimostra quello che tutti noi pensiamo. Le liberalizzazioni sono uno specchietto per le allodole. Il problema dunque non sono le liberalizzazioni di per sé, ma come vengono gestite. È bene ricordare che le liberalizzazioni sono uno strumento per migliorare la vita dei cittadini, offrendo un servizio migliore e facendo risparmiare lo Stato che così può investire in altri settori. Come tutti gli strumenti vanno però effettuate bene: è ovvio che se diventano la continuazione della politica con altri mezzi non produrranno alcun beneficio positivo per i cittadini.
Questa non è una vicenda che riguarda solo le autostrade ma anche il trasporto pubblico locale. Cito un caso che conosco: la Provincia di Pavia, dove Fs attraverso Autoguidovie è subentrata ai precedenti gestori del trasporto pubblico locale in maniera a dir poco discutibile, resta un caso da manuale. Quella di Fs – per espressa volontà del suo amministratore delegato Mazzoncini – è una scalata che non ha nulla a che vedere con il miglioramento del servizio. A Pavia come altrove, ma soprattutto in Lombardia, il tema del miglioramento del servizio all’utente passa in primis attraverso una profonda ristrutturazione della rete ferroviaria, prima che dei treni. E che nulla ha a che vedere con la gestione da parte di Fs dei servizi su gomma.
Fino ad oggi il ministro Toninelli sulle liberalizzazioni non ha detto nulla – e non si può dire che sia un tipo silenzioso. Il ministro ha qualche scusante: il governo si è insediato da poco e i temi sul tavolo sono tanti. Tuttavia, una riflessione sul ruolo dello stato nelle liberalizzazioni sarebbe necessaria, proprio per evitare casi come quello delle autostrade italiane, raccontato da Gabanelli e Pinotti, dove a rimetterci sono i cittadini. Il ministro Toninelli è un convinto sostenitore della mobilità sostenibile, ma la sostenibilità è possibile solo grazie a interventi innovativi e a un miglioramento dell’efficienza del servizio. Tutte cose che non possono emergere da un monopolio de facto, come quelli del settore autostradale (ma non solo), già più volte sanzionati dall’Europa, sulla base di proroghe continue. Gabanelli e Pinotti chiudono la loro inchiesta con un “chi vivrà vedrà”. No! Il fatalismo non rientra nel contratto del governo di cambiamento.