Buona e mala politica1919-1920, gli anni del governo Nitti e la loro proiezione nell’attualità

L’Europa e la pace minacciata, la libertà e la “democrazia fragile”, l’Italia tra potenzialità e rischio. Stefano Rolando Per questa rubrica – che alcuni anni fa ho intitolato Buona e mala p...

L’Europa e la pace minacciata, la libertà e la “democrazia fragile”, l’Italia tra potenzialità e rischio.

Stefano Rolando

Per questa rubrica – che alcuni anni fa ho intitolato Buona e mala politica, pur avendo chiara la percezione che, in modo meno polarizzato, la condizione politica del nostro tempo è di mescolare e poi molto faticosamente dividere il bene e il male – ritornare sui passi della storia consente un po’ meglio e con meno rimorsi di coscienza di operare questa distinzione. Già, altrimenti a cosa servirebbero gli studi storici, ovvero le frequenti convergenze di opinione di chi per anni ha lavorato sulle “carte”? A cosa servirebbe l’evidenza dei riscontri in cui non pesa tanto chi grida occasionalmente in tv quanto piuttosto come la voce di vincitori e vinti si mescola nei convincimenti profondi dei popoli? A cosa servirebbe il giudizio che aggrega la comunità delle stesse nazioni a cui si è deciso di appartenere quando quella stessa storia ci ha fatto uscire dall’immatura condizione nazionalista per abbracciare la condizione delle diversità compatibili?

L’attualità di accadimenti storici

Questo prologhetto è per introdurre la riflessione di oggi, in questa rubrica, non su un fatto di stretta attualità, come d’abitudine, ma sulla “attualità di accadimenti storici” giunti ad un anniversario degno di celebrazione.

Parlo del centenario di un biennio cruciale nella vita dell’Italia e dell’Europa, costituito dagli anni 1919 e 1920, che rappresentarono la difficilissima fuoriuscita dalla prima guerra mondiale con due dossier che appunto la storia riconsegna, dopo un secolo, con un vasto corredo di analisi, di approfondimenti, di pubblicazioni.

Per la vita europea (e mondiale) si tratta dell’avvio ad inizio gennaio 1919 della Conferenza di pace di Parigi che portò sei mesi dopo alla firma del Trattato di Versailles (esattamente il 28 giugno 1919), firma che un protagonista come il maresciallo francese Ferdinand Foch definì al tempo “non una pace, ma un armistizio per vent’anni”.

Per la vita italiana si tratta del cambio di governo del Paese, dal liberal-statualista Vittorio Emanuele Orlando al liberal-radicale Francesco Saverio Nitti. Cambio di governo (il 23 giugno del 1919) soprattutto a causa della mediocre e miope conduzione della delegazione italiana (lo stesso Orlando e il ministro degli Esteri Sidney Sonnino) al tavolo della conferenza di pace, come si è capito nel corso del tempo, attenti a preoccupazioni nazionali ma privi di visione sull’assetto della politica globale ed europea in particolare, che proprio Nitti insieme al delegato inglese John Maynard Keynes avrebbero voluto meno punitiva nei confronti della Germania e più capace di perseguire le condizioni di pace e di unione. Laddove invece nel giro di venti anni si produsse una seconda catastrofica guerra mondiale.

La storia d’abitudine non si ripete mai tale e quale. E tuttavia il governo Nitti cadde dopo un anno sotto la pressione populista del dannunzianesimo, della radicalizzazione tra lo scontento popolare e dei reduci di guerra e la paura dell’annuncio espansivo del sovietismo generato dalla rivoluzione russa del ’17. Insomma un attacco molteplice alla democrazia liberale. E il fascismo insorgente si rivelò in breve tempo il laboratorio di un’Europa nazionalista, razzista e bellicosa che, con la Germania revanscista, scomponeva e ricomponeva le alleanze della prima guerra mondiale in uno scontro – che fu violentissimo – tra regimi totalitari e democrazie pluraliste.

La Fondazione “Francesco Saverio Nitti” – che chi scrive ha l’onore di presiedere dal 2008, succeduto all’amb. Joseph Nitti – ha così lavorato a un progetto di centenario in grado di saldare con sguardo al presente storico, italiano ed europeo, molti dei temi fin qui appena accennati. In particolare:

  • la creazione al tempo di una nuova classe dirigente, in grado di avere una visione più moderna dello sviluppo e di imprimere al tempo stesso riforma sociale e riforma delle istituzioni;
  • il rapporto politico tra la cultura liberale post-risorgimentale e quella delle nuove forze del riformismo sociale (cattoliche e socialiste);
  • la visione dell’Europa e della pace come cornice di una diversa piega dello stesso rapporto Nord-Sud che il post-risorgimento, a guida piemontese, aveva impresso all’Italia;
  • un’idea della politica permeata da valori culturali e da una riflessione rigenerativa sull’identità italiana.

In questa chiave comparare la situazione di un secolo fa e quella attuale assume rilievo importante, al servizio di un dibattito pubblico più serio e magari di maggiore qualità, rispetto a quello che il nostro Paese sta esprimendo in questa fase. Da qui la necessità di collocare la “celebrazione” non nella sfera della retorica degli eventi; ma in quella della permeazione tra territori, quella della ruminazione scientifica, quella della percezione dei rischi e delle opportunità riguardanti l’interesse sociale, quella della configurazione di un’idea della vocazione nazionale che deve avere al centro l’interrogativo sulle elezioni europee che si stagliano a metà del 2019.

Per fare ciò era necessario costituire un comitato ad hoc affidando la responsabilità di supervisionare il programma e quindi anche il perimetro del potenziale dibattito, sia scientifico che civile. La disponibilità di Giuliano Amato – giudice costituzionale, già presidente del comitato per le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia – è parsa a tutti una straordinaria opportunità: due figure di professori laureati in Giurisprudenza e con forte tendenza scientifica verso l’economia e la scienza delle finanza pubblica; entrambi per due volte presidenti del Consiglio dei Ministri (Nitti, sia pure con un brevissimo secondo mandato e un terzo infruttuoso incarico nel successivo dopoguerra); entrambi già ministri del Tesoro e dell’Interno (Nitti in più anche ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Amato presidente fondatore dell’Autorità per la Concorrenza e il Mercato); entrambi concretamente protesi attorno al destino dell’Europa.

Nel Comitato per le celebrazioni, la presenza della Fondazione Nitti (chi scrive con la vicepresidente e rettrice dell’Università della Basilicata Aurelia Sole), gli storici (il presidente del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Mascilli Migliorini e il presidente degli storici contemporaneisti italiani Fulvio Cammarano), le istituzioni territoriali della Basilicata (la vicepresidente della Regione Flavia Franconi e il sindaco di Melfi Livio Valvano), la famiglia Nitti (la nipote di Nitti e presidente dell’Associazione melfitana a lui intitolata Patrizia Nitti).

Il 15 novembre vi è stata la presentazione a Roma (a cui si riferisce la fotografia), alla Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del programma e l’anteprima del film realizzato da Rai Storia sulla figura politica, istituzionale, scientifica e umana di Nitti. Patrocinio del Parlamento (Camera Deputati) e del Governo (la Presidenza del Consiglio, con il Ministro per gli Affari europei Paolo Savona che è intervenuto proprio sui nessi tra Italia ed Europa nell’azione di governo e soprattutto nel profetico pensiero politico di Nitti).

Complessa l’articolazione del programma. A Potenza una seconda presentazione generale, presso l’Università della Basilicata, insieme a tutti i soggetti del territorio. Poi Melfi, ancora in regione, su “Nitti meridionalista”; a Maratea, nella Villa Nitti buen retiro per letture e brani teatrali; a Napoli, alla Federico II (l’ateneo in cui Nitti fu ordinario di Scienze delle Finanze) su “Nitti intellettuale” (il rapporto con Croce e gli anni della Riforma Sociale); a Roma nell’anniversario dell’avvio di quel governo nel giugno del ‘19 su “Nitti politico”; poi a Milano in autunno su “Nitti e l’identità italiana” (sviluppo, economia, lavoro e rapporto Nord-Sud); infine Parigi (esilio, antifascismo, Europa).

Dichiarazioni e commenti

Dopo la presentazione – e la messa in onda del film “Francesco Saverio Nitti. L’ottimismo dell’agire” di Rai Storia (di Simona Fasulo, regia di Nicoletta Nesler) – i primi commenti hanno colto messaggi espliciti e impliciti. Curiosa la controversa e comunque articolata intitolazione di alcuni giornali di opinione. Rendicontando il dibattito il Messaggero ha intitolato “I 100 anni del governo Nitti profeta dell’Europa divisa” (a firma di Andrea Velardi); Avvenire ha intitolato “Il centenario del governo di Nitti, profeta dell’Europa dalle frontiere aperte” (a firma di Roberto L. Zanini); la Stampa ha intitolato “Terre ai contadini e lotta al Duce: Nitti a 100 anni dal suo governo”.

Giuliano Amato (che nei giorni precedenti aveva scritto per il Corriere un articolo sul “trend illiberale su scala mondiale” che così prende inizio: “Durante il ventesimo secolo, specialmente nella seconda metà, siamo vissuti nell’illusione che la democrazia potesse prosperare in qualunque circostanza. Oggi rimaniamo sorpresi dalla sua fragilità”) ha detto in esordio: “Nitti fu un liberale che seppe vedere nel socialismo un movimento trasformatosi in tanti Paesi in moltiplicatore di democrazia un capo di governo di solida cultura istituzionale, convinto delle ottime ragioni italiane dopo la prima guerra mondiale, ma non meno persuaso che l’intransigenza adirata con cui le si era fatte valere prima di lui aveva isolato e indebolito l’Italia. Umberto Terracini, nel commemorarlo, lo paragonò a quelle piante antiche di cui percepiamo tutta la grandezza dal vuoto che lasciano quando cadono. Aveva ragione e per questo motivo oggi lo ricordiamo“.

Paolo Savona ha detto: “Francesco Saverio Nitti è noto principalmente per il suo impegno a favore del Mezzogiorno d’Italia e per aver promosso importanti iniziative per il sostegno dello sviluppo italiano; meno, anche se non assente nella pubblicistica, lo è per il contributo altrettanto rilevante dato alla diffusione dell’idea di un’Europa unita. All’epoca fu uno dei pochi intellettuali in sintonia con Keynes, con il quale condivideva la filosofia delle sue Conseguenze economiche della pace. In un suo scritto del 1921 Nitti rivolse elogi agli Stati Uniti per aver respinto i Trattati di Versailles e scrisse che ‘non si può vivere a lungo in un’Europa divisa in due campi e fra un insieme di rancori e di odi, che la separazione aumenta’. L’attualità di questo monito, per fortuna in termini meno pesanti, ripetuto in occasione della presentazione del programma per le celebrazioni del Centenario del Governo Nitti mi sembra il modo migliore per ricordare il contributo antesignano alla pace e al benessere dell’Europa dato da questo grande intellettuale e politico. Le divisioni nell’interpretazione dei bisogni dell’Unione Europea di questi tempi portano alla separazione ed è perciò urgente pervenire a una diagnosi di consenso per proteggere il buono che è stato fatto dai nostri Padri.”

Nel messaggio del capo del governo, Giuseppe Conte, è scritto: “Ripercorrendo la biografia di Francesco Saverio Nitti, le sue esperienze personali e le aspirazioni intellettuali che lo hanno indotto a prevedere e ad auspicare un futuro europeista, possiamo tuttora ammirarne la straordinaria lungimiranza politica. I confini nazionali, europei e continentali definiscono – oggi come allora – le grandi mappe che, partendo dalle nostre origini, dalla terra in cui siamo nati, devono condurci verso orizzonti di pace, di integrazione, di giustizia sociale ed economica”.

Luigi Mascilli Migliorini ha anticipato sul quotidiano di Napoli Il Mattino un punto interpretativo cruciale: “Parlare di Francesco Saverio Nitti oggi significa parlare di un altro e diverso punto di vista della storia d’Italia. Non di una storia che è passata e che vale la pena, quasi come un riconoscimento obbligato, far rivivere per il tempo di un anniversario. Ma di una storia che non c’è mai stata e che oggi, così disorientati come siamo tra tante strade che sembrano chiudersi e tante che dichiarano di volersi aprire, vale la pena di domandarsi – anche solo per il breve attimo di una celebrazione – se in essa non ci sia la strada su cui varrebbe la pena di incamminarsi”.

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