Riporto in questo mio blog, l’articolo di ArcipelagoMilano oggi on line.
Piero Bassetti è nato a Milano il 20 dicembre del 1928. Domani compirà 90 anni.
E domani pomeriggio al Palazzo dei Giureconsulti – dove per molti anni ha immaginato e gestito momenti importanti del dibattito pubblico, quasi tutto e quasi sempre attorno al tema di come può essere che il mondo ruoti attorno alla storia di una città nella misura in cui quella città abbia occhi per leggere il mondo – coloro che hanno scritto sulla sua vita, nel testo d’occasione[1], diranno pubblicamente le sue virtù.
Nel 2014 ero suo ospite all’Alz, un meraviglioso posto collinare nel comune di Civenna, nel lecchese, sobrio e incontaminato, vicino al Ghisallo, il santuario celebrato dalle cronache del ciclismo, dove la registrazione di un colloquio si fece troppo lunga per non mettergli la pulce nell’orecchio che si stesse prefigurando una sorta di intervista biografica. Dentro cui non aveva alcuna intenzione di inscatolarsi. Perché Piero Bassetti nemmeno dalle sue parole vuole sentirsi legato o dipendente.
Ha inventato un lessico, rimeditando nella sua sottile calata milanese quello che trasudava a metà Novecento tra la Bocconi, la Cornell University e la già celebrata London School.
Un lessico concettuale che aveva un compito molto difficile: tenere insieme impresa, politica, società, scienza e futuro. Così che, nelle repliche tutte diverse di questo esercizio ormai quasi secolare, se scappa a qualcuno di dargli del profeta, lui capisce che è meglio tagliar corto ed evitare il rischio di essere così certamente fuori dalla partita.
Quella intervista rimase pertanto nel cassetto, finché non mi decisi a ritagliarne una parte sola, pur robusta, dedicata a Milano. E a farne il trait-d’union di un testo sul Public branding e un caso applicativo, cioè il caso della Milano delle nuove narrazioni in vista di Expo[2]. Decisi anche di fermare quel colloquio – pieno di cose interessanti, colte, senza retorica – proprio sul punto della presa di distanza dal rischio di essere schiacciato sulle sue profezie. Questo il passo: “Lungimiranti e profeti non sono la stessa cosa. Ai milanesi sono piaciuti i barnabiti alla Rizzoli, fattisi un po’ da sé. Allo stesso Berlusconi hanno chiesto experiency, non preveggenza. Quando mai i milanesi hanno premiato qualcuno per “profetismo”? Non li hanno messi la rogo, come i fiorentini e i romani. Me se ne sono infischiati”[3].
È stato atleta (staffettista nel team olimpionico a Londra nel ’48) e ha appeso le scarpette al chiodo. È stato imprenditore (nella scia familiare) fino a che ha fiutato che la passione politica travalicava gli interessi aziendali. Iscritto alla DC dal 1947, al Comune di Milano da consigliere e da assessore dalla metà degli anni ’50. Presidente fondatore della Regione Lombardia nel 1970, appartenne (militando nella sinistra di “Base” della DC) a quel triumvirato interpartitico (con l’emiliano Guido Fanti comunista e il toscano Lelio Lagorio socialista) che diede dignità progettuale al regionalismo italiano, pur lasciando quel progetto dopo il primo giro. L’ingresso in Parlamento avvenne nel 1976, con il vento nelle vele e una fama di kennediano che lo avrebbe certamente portato al governo. Ma anche qui, dopo una legislatura, l’incantesimo si ruppe e il richiamo della foresta (la foresta urbana della sua città) si rivelò più forte di quel destino. Ancora a Milano per rivoluzionare il ruolo della Camera di Commercio e poi – reggendo per quindici anni Mi-CamCom – per cambiar verso a tutto il sistema camerale italiano e alle stesse camere italiane nel mondo.
Già, il mondo. Destino questo più longevo e duraturo, capace di esplorare nel tempo la trasformazione dal concetto di internazionale verso il concetto di globale. E poi per riconoscere nel globale il protagonismo dello sciame dei punti locali fino a scoprire in ciascuno di quei punti la vocazione o almeno l’ipotesi globalista.
Con il sistema camerale in Italia, Bassetti inventa il civismo di nuove classi dirigenti, non accettando mai fino in fondo di considerare questo movimento tra imprese e interessi generali un carattere “borghese” (pur attribuitogli per definizione). Mentre con il sistema camerale italiano nel mondo Bassetti inventa gli italici, cioè il superamento definitivo dell’immenso secolare processo migratorio italiano in una parallela classe dirigente. Sarà l’arrivo dell’era internet, con l’evidente umiliazione dei confini nazionali, a fargli dichiarare finita la grande epoca instaurata dalla pace di Westfalia (1648), quella che costruì è legittimò l’idea dello Stato-Nazione, in nome di una rivoluzione al tempo stesso globale e territoriale. Aggiornando l’orma teorica di un grande lombardo dell’Ottocento, troppo in anticipo sui tempi per vincere in quell’epoca la sua partita, ossia Carlo Cattaneo.
A questa cifra di pensiero Piero Bassetti è arrivato a ridosso del nuovo millennio, mettendo in pista le sue fondazioni (Globus&Locus sul tema del ripensamento glocal dell’identità italiana e Fondazione Giannino Bassetti attorno al rapporto tra etica, impresa e scienza). Con questa infrastruttura di spunti, di interpretazione e di governo, Piero Bassetti ha dialogato con la politica del nostro tempo, purtroppo in una fase progressivamente di declino della politica stessa che ha reso idee veloci e mutanti non sempre metabolizzabili e non sempre trasferibili. Politica e accademia sono state però da lui pazientemente tallonate e sollecitate: a volte penetrabili e a volte, molte volte, impenetrabili.
La Milano verso Expo e verso la grande modernizzazione successiva alla depressione del passaggio di secolo ha molte volte riacceso in Piero Bassetti il convincimento di una penetrabilità più facile nel quadro mutato dei gruppi dirigenti. E lui stesso è stato parte di alcuni di questi passaggi, come la vicenda, che abbiamo convissuto, dei “51”, nel quadro della campagna del 2011 di Giuliano Pisapia per un risveglio borghese progressista verso i temi della città “in avanti“, che ha avuto passaggi di vera e propria eccitazione civile.
Intatto e lineare nei suoi valori. Intatto e lineare nella percezione mai buonista e caso mia perfino un po’ cinica dei conti che ogni teoria di progresso e cambiamento deve fare con la dinamica del potere. Argomento questo che lo ha tenuto appassionato al tempo stesso alla forza della trasformazione digitale e alla forza di adattamento di Santa Romana Chiesa.
E come il vento che sospingeva la sua staffetta 4×100, ecco oggi tutta la velocità dei 90 anni di Piero Bassetti, parte solida e luccicante del brand Milano.
[1] Francesco Samorè, Guardare oltre. Innovazione e politica nell’esperienza di Piero Bassetti, Carocci Editore, 2018.
[2] Stefano Rolando, Citytelling – Raccontare identità urbane. Il caso Milano, EGEA, 2014
[3] Op. cit, pag. 142.