Lost in BusinessLinkedIn: il futuro sarà esclusivo. Pochi clienti, super fan, meno contatti e più conversazioni

“Questo è (o sarà) LinkedIn”: pochi follower, super fan, messaggi mirati, meno contatti e più conversazioni. Il problema non è più soltanto l’attenzione. La fiducia e il significato delle nostre az...

“Questo è (o sarà) LinkedIn”: pochi follower, super fan, messaggi mirati, meno contatti e più conversazioni. Il problema non è più soltanto l’attenzione. La fiducia e il significato delle nostre azioni è diventato il vero problema.

Come sta LinkedIn alle soglie del 2019

Negli ultimi anni ho scritto di LinkedIn e di come ottenere attenzione. Mi è sempre parso quello il problema. Come riuscire a spiccare in un mondo rumoroso? Come fare arrivare il proprio pensiero a più persone possibili? Come essere conosciuti e riconosciuti? Domande che sono ancora oggi al centro dell’attenzione e della preoccupazione di molti utenti, e che anche LinkedIn continua a individuare come sfida principale.

A ottobre ad esempio, ha annunciato dal blog ufficiale un problema di disimpegno e una distorsione nel meccanismo, algoritmo, che regola la visibilità. In sostanza, visibilità e coinvolgimento vanno verso l’1% dei creatori di contenuti, mentre il restante delle persone ottengono scarsa o nessuna risposta.

La soluzione alla quale si sta ancora lavorando, una sorta di Robin tax o qualcosa di simile, prevede dunque di ricompensare l’impegno con una maggiore visibilità. Concretamente: si sta lavorando per redistribuire la visibilità “in modo che nessuno rimanga indietro”. Probabilmente qualcuno lo avrà già notato: c’è un generale livellamento dei feedback e probabilmente sarà, con le dovute proporzioni, sempre più così.

È giusto? Ma soprattutto perché?

Prima ho usato il termine “Robin” perché in fondo è di questo che si parla: rubare ai ricchi per dare ai poveri, riequilibrare il mercato interferendo sul mercato. In campo fiscale ed economico non tutti sono d’accordo, non mi aspetto che ci sarà un diverso consenso applicato a un social.

Ma il punto è un altro: perché LinkedIn sta agendo in questo modo? La risposta mi fa pensare.

Sintetizzando il pensiero di LinkedIn: chi riceve 10 like o più ha una maggiore tendenza a pubblicare, essere attivo, nella settimana successiva; diversamente si tende a disimpegnarsi progressivamente. È in linea con l’effetto Mattew, “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri” ma spiega anche bene come LinkedIn e noi potremmo giocare due giochi diversi. Anche se molti non se rendono ancora conto.

La modifica dell’algoritmo probabilmente assicurerà più visibilità ma, se dobbiamo essere sinceri, assicurerà soltanto quei numerini e feedback superficiali (like) che sappiamo creano dipendenza e ci fanno sentire protagonisti del gioco.

Potrebbe avere ancora senso se pensiamo che giocando a lungo, non mollando di fronte alle prime difficoltà, qualcuno avrà alla fine un risultato. È sbagliato invece se, alle soglie del 2019, fingiamo ancora che il problema sia (solo) l’attenzione.

Il problema non è più soltanto l’attenzione

“Quando l’offerta supera la domanda, i prezzi diminuiscono. Ma nel mondo del content marketing, i prezzi non possono diminuire perché il prezzo del contenuto è già zero: lo diamo via gratis. Anzi, paghiamo le persone perché leggano le loro idee”.

Con queste parole, nel 2014, Mark Schaefer pubblicò un pezzo che ancora descrive bene il mondo, digitale, in cui viviamo. Un mondo in cui ci sono più persone che parlano di quante disposte ad ascoltare.

Il content shock appariva già allora ad una fase avanzata e più che critica: Nel 1920 le persone spendevano 2 ore della propria vita a leggere contenuti. Oggi siamo intorno 11 ore o forse 12. Ma a quanto possiamo arrivare? A 13? A 14? È chiaro che l’attenzione sia un bene finito e stia per finire.

Per un certo periodo di tempo, diciamo dal 2014 al 2016, mi è parso che LinkedIn facesse in un certo senso eccezione. Un social di nicchia in cui, almeno in Italia e in lingua italiana, la maggior parte fossero timidi e pronti ad ascoltare. Oggi la situazione mi sembra sbilanciata anche su questa piattaforma: moltissimi sono coloro che hanno iniziato a comunicare con costanza. E se non tutti sfornano idee eccezionali, ciò contribuisce ad aumentare il rumore di fondo, la confusione, la lotta per l’attenzione.

Ma la cosa più importante è che, questo al pari di altri social e ambienti digitali, la nostra risposta alla crisi dell’attenzione è stata comunicare ancora di più, alzare insomma la voce per farci sentire sopra altre persone che parlano, e infine urlare.

Basta fare mente locale o un giro sul feed per rendersi conto di come ci abbiano insegnato questo e stiamo ancora facendo questo. Un paio di esempi concreti:

  • Il link nel primo commento (che mi vanto di criticare dalla sua apparizione su LinkedIn) è un modo per aggirare la tendenza di LinkedIn a preferire contenuti nativi (che non spostino le persone fuori dalla piattaforma). Tuttavia, sono ancora in attesa di sapere quali possono essere i veri vantaggi, quali possono essere i vantaggi di un link che si perde nei commenti (il primo commento è simile a quando mia moglie mi dice che le chiavi sono là…) e alla rinuncia al comodo clic sopra l’immagine per andare all’articolo direttamente.
  • Le menzioni (o tag) selvagge (recentemente usate anche per trovare lavoro) sono in definitiva un modo per dire alle persone “so che non ti interessa e che LinkedIn, intelligentemente, non ti avrebbe sottoposto la mia idea nel feed. Però se metti un like almeno posso estendere la mia visibilità. Per favore…”
  • La tecnica del “caveau”, in bello e o bruttissimo stile, “commenta se sei interessato/se vuoi accedere/se anche tu sei d’accordo” sono il modo migliore per sacrificare tecnologia e usabilità all’altare della visibilità.

(Esistono fantastiche cose chiamate landing page, a buon mercato e diffusissime, dove chi vuole ricevere qualcosa inserisce la propria mail e riceve in modo automatizzato il contenuto promesso; che senso ha andare manualmente a rintracciare tutte le persone che hanno commentato e inviare un contenuto per il quale magari si dovranno fare ancora due o tre salti nell’etere?)

  • Sei d’accordo?

Le domande retoriche, teoricamente di questo si tratta, che terminano i post sono l’invito poco ambizioso di ricevere commenti e, dato il peso dei commenti sull’algoritmo, di aumentare la visibilità.

Esempi reali che puoi trovare su LinkedIn:

  • Quando qualcuno ti invia un messaggio, sarebbe buona educazione rispondere. Sei d’accordo?
  • Non importa quanto duro colpisca la vita, l’importante è come ti rialzi… Sei d’accordo?
  • Mi viene da dire: Questa cosa del “Sei d’accordo?” è una stronzata. Sei d’accordo?

Stiamo affrontando, e forse risolvendo, la crisi sbagliata

Visibilità x visibilità = Zero

Non sempre è stato così. Agli albori del web, essere visti poteva ancora avere un bricolo di senso. Per un certo periodo ha avuto quello strano effetto del “visto in tv” al quale per anni ci avevano abituato.

Su LinkedIn, almeno sino a qualche anno fa, aveva comunque il pregio di renderti “familiare” ad una schiera di persone potenzialmente interessate. Ho personalmente cavalcato e sfruttato quest’idea: pubblicando contenuti che mi rendessero visibile e affrontando poi, tramite messaggistica ad esempio, conversazioni più serie con chi aveva interagito con determinate idee e aveva comunque espresso un qualche segnale.

Oggi però ha pochissimo senso e funziona ancora meno. Il problema principale è dovuto alla crescita della piattaforma. Nel 2011 in Italia c’erano appena due milioni di utenti, oggi abbiamo superato quota 11 milioni e ci collochiamo tra i paesi più rappresentati dietro Inghilterra e Francia. Potrebbe sembrare una buona cosa, e non dico non lo sia in senso assoluto, ma il costo è la perdita di quello che era il peso specifico della piattaforma: l’iper targetizzazione dei nostri messaggi.

Per spiegare cosa sta succedendo mi è utile un aneddoto.

“Greenpal è un’azienda molto conosciuta in America che si occupa di manutenzione del prato domestico, una sorta di Uber del giardinaggio. Quando iniziò la promozione dei suoi servizi, racconta Bryan Clayton, il team di marketing puntò su una campagna AdWords per fare sapere ai proprietari di Nashville la propria offerta. Vennero create landing page accattivanti con uno slogan di impatto: “I professionisti del prato a portata di click”. In teoria era tutto corretto: in zona quasi ogni casa ha un giardino privato e tutti ci tengono ad averne uno curato, l’annuncio compariva in quasi tutte le SERP attinenti al giardinaggio e presentava già dopo poco tempo una percentuale di click superiore all’1%

Greenpal però cercò di fare meglio e analizzò i dati a disposizione. Comprese allora che Nashville era popolata in maggioranza da una classe demografica lavoratrice, a medio e basso reddito, e che dunque sarebbero stati molto sensibili al prezzo. Il nuovo annuncio venne dunque scritto sulla base di queste informazioni: “La cura del prato a partire da soli 20 $”

I risultati non tardarono ad arrivare: un aumento del 200% della percentuale di click e un aumento del 30% della conversione in-page.”

Tratto da “Search Marketing Design: un nuovo approccio strategico per ottenere risultati on line, partendo dai dati e applicando buon senso” di Pietro Marilli

Se non stiamo troppo a puntualizzare sui termini, ci sono parecchie analogie, almeno con l’inizio di questa storia.

  1. Stiamo considerando LinkedIn, LinkedIn tutto, il nostro target
  2. Lottiamo per inviare a più persone possibili il nostro messaggio
  3. Quando ci riusciamo ne siamo fieri, se non ci riusciamo addolciamo i nostri messaggi o ricorriamo alle tecniche viste prima
  4. Ci sentiamo appagati dai numeri (una percentuale di click superiore all’1%/ 1000 o 2000 0 1000 visualizzazioni) senza chiederci cosa ci stiano realmente portando e se potremmo fare di più con meno
  5. Non teniamo conto della situazione demografica del nostro pubblico, intercettando inevitabilmente persone che “o non sono interessate o non hanno i soldi per comprare il nostro prodotto o servizio”. *

*Per forza di cose le categorie più attive e facilmente raggiungibili su LinkedIn sono: venditori, freelance nel settore digitale, persone in cerca di un lavoro. Bene se i nostri servizi si rivolgono a loro, altrimenti cosa stiamo facendo?

Rumore, fatica e pochi risultati. Ne vale la pena?

Mi rendo conto che la situazione raccontata possa sembrare esagerata ma non lo è se si è mai provato, o si prova tutt’ora, a fare di LinkedIn parte centrale della propria strategia digitale.

Il grande problema non è la mancanza di un lieto fine ma ciò che porta al lieto fine e il rammarico per ciò che poteva e potrebbe essere. Negli ultimi mesi sto sviluppando un’avversione a questo modo digitale di fare le cose e, parlando con tante persone, so di non essere il solo.

Il punto è che andare avanti su questa strada è sfiancante e in un certo senso avvilente. Dov’è finita l’idea di nicchia, di “Less is more”, di libertà che Internet sembrava averci regalato?

Se siamo schiavi di un algoritmo e se dobbiamo urlare per coprire coloro che parlano ad alta voce, probabilmente ci tocca farci qualche domanda.

Di più, “questa spudorata ricerca dell’attenzione a spese della verità – ha scritto Seth Godin in “This is Marketing” – ha spinto molti marketer etici e generosi a nascondere il loro lavoro migliore, a provare vergogna per la prospettiva di essere guidati dal mercato. Non va bene.

Una persona che stimo, di recente mi ha chiamato per discutere il suo posizionamento nel digitale e iniziare a lavorarci insieme. Ma prima mi ha testualmente detto “se pensi che mi tocchi rendermi ridicola, per favore dimmelo, che non se ne fa niente”.

Qual è il Roi di LinkedIn (e del digitale)?

La domanda che mi sto facendo e mi faccio continuamente, è qual è il ritorno dall’essere e comunicare, con sacrificio e investimenti, su una piattaforma come LinkedIn, e in generale nel mondo digitale.

Non ne faccio necessariamente una questione di soldi ma un certo cinismo mi è utile per chiarirmi le idee e determinare la strada.

Per un utile economico: se comunicare mi porta x allora procedo ma mi chiedo sempre se per fare x debba necessariamente comunicare alle regole degli altri. Solitamente, quando x è dato da pochi clienti (quando il tuo prodotto o servizio ha un medio o alto valore), ci sono quasi sempre buone e migliori alternative.

Per quanto riguarda la crescita, cioè il confronto, il networking relazionale: l’impegno nelle discussioni e i miei sforzi devono portarmi un valore oppure sto sprecando solo tempo.

Per girare a chi legge le stesse domande, formulerei così la questione:

Quanti soldi ti sta portando LinkedIn? Ti piace come stai comunicando o come sei costretto a comunicare?

Se non esprimi due sì convinti, anche tu hai un problema 🙂

Non sono scoraggiato, sono elettrizzato

Se sei arrivato sin qui, oltre ad un grazie, ci terrei a chiarire che non sono affatto scoraggiato. Sono elettrizzato. Lo sono sempre quando intravedo una crisi e LinkedIn, per come stanno le cose, mi sembra prossimo o già dentro una crisi bella e buona.

La cosa bella delle crisi è che in generale ti offre una grande possibilità. Dirti: “visto che così non ha funzionato, ho tutto il diritto di non seguire le (loro) regole e giocare alle mie condizioni, forse anche divertirmi.”

Ecco alcune idee per un gioco diverso.

(Nota: sono le mie e non pretendo debbano essere vere, sempre valide o anche le tue.)

Non mi serve il mondo, mi servono 3 clienti l’anno

Dato che siamo a dicembre e a ridosso dell’anno nuovo, ho fatto qualche conto: mi servono tre clienti l’anno. Significa che non ho bisogno di una moltitudine di gente che mi segua o che impazzisca per le mie idee. Significa che non pubblicherò più (e non ho necessità di farlo) post come: “Quando non ce la fai, sappi che c’è sempre una possibilità.”

(Si, chiedo scusa. Ho pubblicato un sacco di queste schifezze nel 2018. Sigh.)

Significa che ho la possibilità di comunicare con un fine in mente e con una determinata categoria di persone in mente. Significa anche che sarà bello selezionare e spulciare. Significa che forse dovrò ricorrere anche a un po’ di outbound ma è un rischio necessario se l’inbound si è trasformato in una sagra di paese.

La cosa interessante di questa storia è che la situazione non cambierebbe se, di clienti, me ne servissero 30 in un anno. In questo caso si tratterebbe di trovare 2,5 persone al mese e anche in questo caso non avrei bisogno di giocare sui grandi numeri e/o comunicare a una folla senza volto.

Come facciamo le cose è importante

Alla fine della storia rimane il fatto che la sera ti sentirai bene o male per come hai trascorso la giornata. E anche se raggiungi il budget sarai più ricco o più povero in base a come hai fatto il lavoro e come hai raggiunto l’obiettivo.

È qualcosa che è e sarà sempre più determinante in questo mondo frenetico. Parliamo da anni di trovare significato e questo dovrà essere definitivamente il momento; nei miei obiettivi di fine anno è ben chiaro.

Non hai bisogno di competere quando sai chi sei

Lo ha scritto Bernadette Jiwa in Story Driven. Il senso è più o meno questo: se cerchi di riempire un buco sul mercato, sei condannato a guardare continuamente nello specchietto retrovisore per vedere se qualcuno ti sta raggiungendo e sorpassando. Sei diffidente nei confronti della concorrenza, e in generale delle persone, e probabilmente (lo aggiungo io) sei mediamente infelice.

L’altro aspetto è che tutto è determinato dal principio di scarsità. E il futuro invece, per dirla con Peter Diamandis, è abbondante.

Se sai chi sei e cosa vuoi, non hai bisogno di competere. E non avere bisogno di competere fa tutta la differenza del mondo.

Allevare vs crescere

Il che porta ad un altro aspetto, ancora un’idea di Bernadette. L’ansia di crescere porta spesso a fare cose che nel lungo periodo ti remano contro. In quest’ultimo anno ho parlato spesso di sostenibilità. Quanto è sostenibile la tua crescita?

Un modo migliore potrebbe essere quello di pensare in termini diversi. Allevare la tua impresa, il tuo talento. Fare scelte che oggi potresti fare con fatica ma sai che ti ripagheranno un domani.

Rovesciare questo cazzo di imbuto

Ok, ho detto una parolaccia ma non è che imbuto (funnel) sia un’idea meno volgare. E, soprattutto, non funziona mica.

Il più grande proposito che ho per l’anno nuovo è di rovesciare l’imbuto. Non voglio più sparare nel mucchio e poi scremare… anche perché sparare nel mucchio porta via un sacco di tempo, di energie, e in definitiva non mi fa sentire bene.

Voglio invece potermi concentrare nella parte finale, che è quella larga una volta rovesciato l’imbuto.

Qui posso dedicare tempo, attenzione, passione, alle persone con le quali lavoro e in linea (non devono essere necessariamente paganti e possono anche essere potenziali).

Posso dedicarmi a chi ho già “conquistato” ricordando che:

  • Bisogna sempre mantenere la fiducia e ripagare la fiducia
  • L’acquisizione di un cliente è mediamente più costosa del 25% rispetto al mantenimento di uno esistente.
  • Comunicare con le persone che conosci ha quasi sempre un impatto maggiore, fosse solo per il fatto di sapere di cosa vorrebbero parlare.

Secondo McKinsey le persone parlando mediamente di 60 marchi di a settimana. Se dovessi indovinare, che tipo di società pensi che queste persone parlino di queste persone? Certo, parlano di quelli che li fanno sentire trattati in modo eccezionale.

Sono molto d’accordo con quanto disse Ben Chestnut, fondatore di Mailchimp:

“Più mi guardo intorno, più penso che questo sia il modo più normale, più umano, più sostenibile per gestire la tua attività.” Anche su Linkedin.

One Metric That Matter

Tutto quanto discusso porta infine a un concetto che mi pare calzante e attuale: decidere su cosa si debba puntare, e disinteressarsi, mi si passi il termine, di tutto il resto.

L’idea è stata introdotta da Croll e Yoskovitz in Lean Analytics. Lasciando perdere i tecnicismi, penso sia vincente il fatto di individuare e concentrarsi su una sola metrica. In un mondo fatto da tanti numerini che non capiamo sino in fondo, e che ci disturbano e deviano (l’idea di crescita della quale parlavamo prima), è senz’altro utile scegliere la (non le) propria priorità.

In questo caso, quale potrebbe essere? Conversazioni di qualità, cos’altro?

Extra: Cose concrete

Sulla scia di quanto detto, sto lavorando per rimodulare la mia strategia on line. Due novità su tutte: un blog privato, con accesso solo a persone con le quali ho piacere di parlare (più naturalmente i miei clienti) > scrivimi se potrebbe farti piacere accedere.

Contenuti esclusivi e su misura

Una delle fantastiche funzionalità di LinkedIn Sales Navigator è la possibilità di condividere contenuti con determinate persone. Un’esperienza personalizzata che mi pare sia sempre più la strada da seguire. L’inconveniente? PointDrive è disponibile solo nelle versioni Team, acquistando un minimo di 10 licenze.

Una soluzione a buon mercato, e per il prezzo decisamente funzionale, è ShareKits. Ha un costo di 9 dollari al mese e permette di creare una pagina con materiale allegato e link personalizzati per il tuo interlocutore. L’ho provato con alcuni clienti, ho inserito non solo idee mie ma anche contenuti che avevo trovato funzionali per loro, e sono rimasti molto colpiti. Probabilmente potrebbe funzionare anche per te.

(Nota: non ho alcun rapporto con l’azienda e il link non contiene affiliazioni)

Se ti fa piacere, ci vediamo nel 2019

Davide

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