Il congresso di fondazione di Più Europa si è chiuso attorno alle ore 20.00 con la proclamazione degli esiti della votazione da parte di 1400 iscritti partecipanti per l’elezione del segretario. Il risultato ha visto prevalere Benedetto Della Vedova (56%) su Marco Cappato (30%) e Alessandro Fusacchia (14%).
Questo il commento predisposto prima di questo esito.
Stefano Rolando
Milano, 27 gennaio 2019 – Al congresso di Più Europa al Marriott di Milano anch’io ho criticato la maggiore stampa italiana che non ha pubblicato nemmeno una riga il giorno dopo l’avviamento di un evento partecipato da 1400 iscritti (sugli oltre 5000 effettivi) e che porta un nuovo soggetto politico a collocarsi, attraverso i liberaldemocratici europei, nello spazio politico forse più necessario per negoziare una maggioranza europea anti-nazionalpopulista. Per il secondo giorno – salvo un articolo di cronaca di taglio basso di Repubblica e una battuta a qualche TG sulla posizione della Bonino a proposito del Venezuela – si è registrata la stessa sorte mediatica per ciò che questo congresso va esprimendo. Insomma è parso giornalisticamente poco giustificato che sia mancato finora uno sforzo di ascolto e di interpretazione da parte della stampa d’opinione italiana, soprattutto pensando che questa forza politica è la più vibrante contro l’attacco alla democrazia liberale e quindi la più a favore della libertà di stampa. Emma Bonino ha infatti ironizzato, in proposito, sul “congresso invisibile”. Poi Benedetto Della Vedova, aspettando un giorno per vedere se a Via Solferino avessero soppesato meglio i fatti della giornata e verificando la reiterazione dell’atteggiamento, ha fatto nomi e cognomi e ha ricordato al Corriere della Sera qualcosa della sua stessa storia.
Comincio da qui per dire che credo sia giusto che ciascuno, nel suo piccolo, metta una goccia d’acqua nel flusso informativo e provo per questo a fare sintesi di quel ho visto di persona, in questa rubrica che intitolandosi “Buona e mala politica” da tempo alterna la critica alle derive che vediamo con la speranza di fatti che possono produrre cambio di tendenza.
Il congresso degli europeisti italiani ha raccontato tre storie: quella delle opinioni (dei gruppi territoriali, delle liste di sostegno, dei membri degli organi direttivi); quella dei “grandi ospiti” (Guy Verhofstadt, Beppe Sala, Carlo Calenda, Astrid Panosyan cofondatrice di En Marche, un leader keniota); quella dei tre candidati alla segreteria.
Il clima che si è percepito dai tanti contributi di soggetti intermedi di un partito in cantiere
Molto entusiasmo, molti giovani, molta passione civile. Sala affollatissima, capace di maratone per dibattiti anche su dettagli di regolamento, voglia diffusa di volerci essere nel mettere in modo giusto le prime pietre di questa scommessa sull’Italia. C’è anche, si intende, un po’ di sorvolo: sulla necessità di un vero programma, su come declinare in modo “europeo-compatibile” il tema di “più Europa”, su quali basi storico-culturali poggiare il senso oggi della difesa della democrazia liberale. La politica italiana ha tagliato molti ponti e ne risentono anche i migliori. Ma alcune premesse sinceramente si vedono.
L’augurio della maggior parte dei presenti, colto nell’attesa degli esiti per la segreteria, è parso nettamente quello di mantenere il pluralismo convergente e collaborativo di anime destinate a creare in modo non fittizio il nuovo. L’emotività civile ascoltata è nutrita centralmente in particolare da tante esperienze della vicenda radicale e quindi dalle battaglie per i diritti civili e umani. Ma ci sono anche altre storie rappresentate. Quelle dell’Italia dove c’è “meno Europa” e che chiede di star dentro nell’inclusione al rapporto tra crescita ed equità. Quelle della strategia necessaria per rilanciare l’istruzione, l’educazione, la conoscenza. Quelle della priorità europea del nuovo approccio alla sostenibilità. Quelle della parità di genere fuori dalla retorica. Quella dei tessuti urbani che appartengono ad economie in sviluppo e in dialogo con il mondo. In piccola parte anche testimonianze di qualità attorno al servizio alle istituzioni.
Il ruolo della memoria
Nel “giorno della memoria” (la domenica di conclusione e delle votazioni) c’è stato posto (con il contributo del consigliere della Comunità ebraica di Milano Gadi Schoenheit, comunità che vide deportare 896 suoi componenti di cui solo 50 tornarono vivi) per il ricordo delle maggiori sciagure prodotte dal nazionalismo cieco e criminale che ha insanguinato l’Europa. Ma grazie ad alcuni interventi c’è stato anche un po’ di posto per i tanti che hanno costruito a poco a poco nuove e moderne ragioni della libertà. Marco Cappato ha ripreso il cenno al paragone tra oggi e il “diciannovismo” quando un secolo fa il populismo e il fascismo italiano travolsero l’intera classe dirigente post-risorgimentale. E se mi è permesso dirlo, per quel che ho potuto rappresentare intervenendo nel dibattito (il cantiere di cultura politica post-azionista che aderirà formalmente dopo il congresso), ho ricordato Norberto Bobbio e il suo riferimento a un istituto democratico oggi sotto attacco: “non è vero che il difetto del sistema è quello di essere rappresentativo – diceva il filosofo liberalsocialista torinese – ma di non esserlo abbastanza”.
Emma Bonino, Gianfranco Spadaccia e Bruno Tabacci sono certamente figure di nesso al tema della memoria del ‘900 riformatore, all’idea della difesa della democrazia parlamentare, alla questione dei contrappesi nella divisione dei poteri. Appare comunque importante immaginare che, soprattutto per i giovani, si produca un’iniziativa formativa permanente che tenga in tensione la lezione della storia e l’approccio alla complessità per diventare classe dirigente oggi in un paese tanto importante quanto politicamente fragile quale è l’Italia con tutti i suoi territori.
La storia raccontata da alcuni selezionati ospiti
Quella espressa da Guy Verhofstadt, presidente del gruppo liberaldemocratico al Parlamento europeo, è anche la più interna al posizionamento europeo di Più Europa. Interno perché Verhofstadt ha accettato di far parte del Consiglio allargato di questo partito ma soprattutto perché Più Europa – che avrà certamente qualche rappresentante nel PE – è il soggetto politico italiano che si posiziona in una autostrada del buon senso politico in questo momento, essendo il PD collocato tra i socialisti europei (gruppo che sta subendo la maggior erosione), mentre Forza Italia è collocata tra i Popolari (a loro volta nella morsa di contemperare robuste democrazie consolidate, come i democristiani tedeschi, ma anche partiti di estrema destra, tra cui l’ungherese Orban). Lega e M5S sono fuori da questo arco e pur raggiungendo risultati significativi in Italia avranno un posizionamento poco strategico, per gli stessi interessi dell’Italia, nel PE. Così che l’intervento caloroso e incoraggiante di Verhofstadt al congresso segnala un potenziale percorso di europeismo costruttivo importante che andrà saggiamente amministrato. Quanto a Carlo Calenda (che è andato al di là delle dichiarazioni di stima politica) e a Beppe Sala (che è andato al di là dei doveri di buona ospitalità della città di Milano), a cui si potrebbe unire anche l’intervento di Sandro Gozi, a nome dei federalisti europei (senza mai citare il suo partito di appartenenza, il PD), si tratta di interventi che segnalano inquietudini interne all’evoluzione del PD e che fanno capire l’importanza di un consolidamento di una forza politica nello schieramento del centrosinistra in posizione distinta e non fagocitata dallo stesso PD in questa fase.
La storia raccontata dai tre candidati alla segreteria
Tutti e tre i candidati sono di sesso maschile, anche se la “forza d’urto” delle donne, soprattutto giovani, appare di rilevante qualità. Cappato vorrebbe promuovere una figura di co-segreteria per rispettare il pluralismo di genere alla guida. Stanno nella fascia di età dai 40 (Alessandro Fusacchia) ai 56 (Benedetto Della Vedova), in mezzo Marco Cappato (48), hanno vicende con diversificazioni di esperienza ma tutti e tre con nucleo originario nella storia radicale.
Di questa storia Cappato rappresenta con maggiore veemenza e narrativa l’epica pannelliana, Fusacchia esprime richiami etici con particolare riferimento alla centralità della qualità relazionale, Della Vedova la assume come fondamento della sua formazione con coscienza di una evoluzione più orientata in senso istituzionale (e politicamente si direbbe “moderata”).
Fin qui l’immagine è coerente con gli elementi biografici noti. Tutti e tre negli interventi di presentazione ricevono applausi in continuazione, che non sembrano claque, ossia sembrano convincimento di condivisione che in qualche misura si mescolano nella platea che pure si è formata con tre indirizzi predefiniti. La somma delle argomentazioni che i tre esprimono appare – a chi ha subito la politica stantia dei partiti tradizionali di questi tempi ma anche la politica vociante e sguaiata di questi tempi – finalmente come aria fresca.
Questo è il paragone che mi è venuto in mente ascoltandoli, in un clima di maggiore sdrammatizzazione rispetto al periodo preparatorio del congresso.
Politicamente parlando Della Vedova ha trovato dalla sua i “fondatori”, cioè la componente del Centro democratico di Tabacci e forse la pur non espressa opinione di Emma Bonino (che tuttavia è sbottata sulla proposta di Marco Cappato di promuovere a ravvicinata data prefissata il prossimo congresso) e Gianfranco Spadaccia che riconoscono a Della Vedova il buon esito dello sforzo di avere portato +EU fino alla brillante partecipazione del congresso di Milano in una piattaforma di tessitura politico-istituzionale senza protagonismi (che Della Vedova chiama “al massimo il ruolo di un mediano”).
Cappato esprime una tendenza più movimentista e valoriale (in senso radicale), cerca di ampliare la visione delle tematiche strategiche rispetto alla reputazione che lo stringe un po’ sulle questioni di bioetica (qui riguardando questioni della scienza e della conoscenza), esprime anche evidente distinzione rispetto alla componente ex democristiana e auspica rapporti con le culture laico-socialiste-ambientaliste. Fusacchia (il cui gruppo “Movimenta” dovrebbe pure confluire dopo il congresso) rispetto a questa divaricazione offre l’opportunità di una linea di compromesso politicamente meno definita e più sostenuta da una certa affabulazione personale simpatica. Tutti e tre sembrano fermi nel promuovere una linea elettorale distinta rispetto al PD – pur nel quadro di una coerenza con linee generali di alleanza – anche rispetto al manifesto di Calenda (discorso tuttavia apprezzato) che appare, nelle dichiarazioni svolte, come un “posizionamento” interno agli equilibri del Partito Democratico.
Mentre la campagna elettorale europea è così già iniziata, ciò che esce da questo congresso deve al tempo stesso “cantare e portare la croce“, cioè costruire se stesso e irrobustire la sua piattaforma teorico-progettuale e anche tenere in tensione – laddove già istituzionalmente rappresentato – quella funzione di controllo e vigilanza democratica, sempre importante nella vita dei partiti all’opposizione, ora prioritaria.