Expo2015. La parolina magica, quella che doveva ridare lustro a Milano nel mondo, è ormai scomparsa dal vocabolario pubblico della città. A parlarne via via sempre meno sono stati anzitutto i politici, a cominciare da Letizia Moratti, che di Expo è commissario straordinario con attribuzione di poteri speciali a partire dal 5 ottobre scorso. Dai palazzi della politica milanese si fa capire che «il tema non è molto popolare» tra i cittadini. Sarà forse per questo, per “colpa” dei cittadini, che in vista della campagna elettorale che si avvicina i piani di comunicazione del Sindaco valutano anche una soluzione radicale: non parlarne proprio e non citare nemmeno l’Expo nel programma, evitando di esporre pubblicamente un fiore all’occhiello tanto appassito da diventare potenzialmente assai imbarazzante.
Tre anni sono infatti passati dall’assegnazione e quattro ne mancano all’apertura del grande evento internazionale che vedrà il via, sulla carta, il 31 marzo del 2015. Chiedersi «a che punto siamo» non è più una domanda retorica: significa ormai chiedersi se siamo ancora in tempo.
Il primo problema, il principale, è quello su cui l’organizzazione è incagliata da anni: la cessione dei terreni dei privati alla società pubblica Expo2015, controllata dal Ministero dell’Economia di Giulio Tremonti, dal Comune di Letizia Moratti e dalla Regione di Roberto Formigoni. Senza avere in mano i terreni, nulla si può fare. Si tratta di un’area di circa 900 mila metri quadrati circa nella zona nord-ovest di Milano e in piccola porzione nel comune di Rho. La Fiera di Milano, quotata in Borsa ma controllata indirettamente dalla Regione Lombardia, possiede oltre 520 mila metri, il gruppo immobiliare Cabassi altri 260 mila, gli altri 120 mila sono nelle mani di Poste Italiane e comune di Rho. Da luglio il commissario straordinario Letizia Moratti ripete che «Si va verso la soluzione del comodato d’uso». Sulle cifre della cessione e sulla gestione del dopo-Expo ci si incagliò già a luglio, quando circa 50 milioni dividevano l’offerta pubblica dalla richiesta privata. L’accordo di massima ci sarebbe, si ripete, almeno dall’estate scorsa, e prevede che parte delle costruzioni siano permanenti e restino all’ente pubblico, parte siano provvisorie e vengano smantellate alla fine dell’Expo. Solo che questa bozza di accordo – fondamentale per sbloccare l’Expo – nessuno l’ha mai vista e, anzi, anche diversi operatori coinvolti da vicino nel grande progetto giurano di non conoscerne i dettagli.
I tempi stringono, dunque. Una volta firmato l’accordo di programma per Expo, esso dovrà essere vagliato e approvato dal consiglio comunale, che ha al massimo 30 giorni per votarlo perché non decada. Il consiglio comunale, tuttavia, dev’essere sciolto 45 giorni prima delle elezioni, che potrebbero svolgersi il 15 maggio. Se questa fosse la data prescelta, il 31 marzo sarebbe l’ultimo giorno di attività dell’assemblea cittadina. Lo statuto comunale prevede, in effetti, che anche sciolto il consiglio comunale possa essere convocato per deliberare su «atti dovuti»: ma è sicuramente meglio evitare di infilarsi in eccezioni e procedure straordinarie su un tema tanto delicato. Dunque, ricapitolando: se l’accordo di programma venisse sottoscritto da Expo spa e dai privati nella prossima decade, resterebbe poi un mese scarso di attività comunale per poterlo ratificare e rendere quindi efficace. Se ciò non avvenisse, o avvenisse dopo, la palla si infilerebbe nel tunnel della campagna elettorale e, poi, della nuova giunta. L’accordo stesso è fondamentale per tutte le attività accessorie e centrali che servono a realizzare l’Expo e per cui si devono predisporre grossi appalti, dei quali sono già state diramate le prime “preinformazioni”.
Si chiamano così i riassunti sintetici delle procedure di gara che si possono già trovare sul sito di Expo 2015. Riguardano la progettazione, la movimentazione dei terreni, la supervisione e la realizzazione dei lavori infrastrutturali: in una parola, la “costruzione” dell’Expo del 2015. Le partite più importanti riguardano “la progettazione definitiva, esecutiva e realizzazione dell’insieme di urbanizzazioni e infrastrutture di base del sito (rete di impianti, percorsi pedonali, canali, ponti, ecc)”. Valore dell’appalto: oltre 236 milioni. Data prevista della procedura di gara: il prossimo 16 maggio. Gli operatori del settore, le imprese che giustamente guardavano all’Expo come a una grande occasione di sviluppo, stanno guardando con naturale attenzione a un’opportunità del genere. C’è solo un problema: il fatto che i terreni non siano ancora nella disponibilità dell’Expo rende tutto molto “teorico”. Bisogna anzitutto procedere alle valutazioni ambientali del terreno e capire se siano necessarie bonifiche, e sono recenti e numerosi i casi in cui – proprio a Milano – la questione delle bonifiche ha rallentato e non poco la realizzazione di progetti che erano pronti all’esecuzione.
Più di un osservatore attento fa notare, a tal proposito, che l’area su cui deve sorgere l’Expo è collocata a poche centinaia di metri dalla Fiera di Milano – proprietaria del grosso dei terreni – sorta a sua volta dove prima stava una raffineria dell’Agip. Un approfondimento è quindi obbligatorio, e non si può dare certo per scontato un esito positivo. La scoperta della necessità di una bonifica, ovviamente, imporrebbe un ulteriore rallentamento dei tempi, che si può calcolare – secondo gli operatori del settore – in 6/9 mesi tutti dedicati alla purificazione dell’area secondo le norme vigenti. Inoltre, data la dimensione degli appalti, servirà in molti casi che sia una cordata di imprese, cioè un consorzio, a presentarsi dopo essersi adeguatamente formato. E anche questo non è certo un processo immediato: richiede tempo, trattative tra le varie aziende e poi la predisposizione di un’offerta che rispetti i termini del bando.
Di conseguenza, per evitare di infilarsi nel pieno della campagna elettorale sarebbe necessario – anzi, indispensabile – chiudere l’accordo in questi giorni per poi procedere alla ratifica e a tutte le procedure che abbiamo solo parzialmente spiegato. Restano sul tavolo i numeri promettentissimi della grande manifestazione internazionale stimati appena lo scorso autunno dall’Università Bocconi: 69 miliardi di produzione aggiuntiva legata all’Expo; 60.000 nuovi posti di lavoro; circa 12 miliardi di gettito nelle casse dello stato. Numeri importanti, che hanno fatto sperare, fin dal 2008, che questo Expo potesse essere una tappa fondamentale per Milano e per un sistema di imprese reattivo ma provato dalla crisi. Il rischio, adesso, è che le lentezze della politica e dell’amministrazione cittadina possano trasformare quella promessa in un rimpianto.