Post Silvio«Il modello-Berlusconi ha vinto anche in Europa»

«Il modello-Berlusconi ha vinto anche in Europa»

MILANO – Per chi ami la politica in senso classico, per chi sia cresciuto pensando che “i partiti sono una cosa seria”, i Radicali sono comunque una riserva della Repubblica. Ai loro comitati si parla di “analisi radicale del fenomeno berlusconiano”, di “legalizzazione del paese”, di Mediterraneo e del fallimento dell’Europa. Dentro a una politica sospesa tra i meccanismi della comunicazione e le retoriche del territorio, i Radicali credono per vocazione al “voto d’opinione”. Emma Bonino incontra Linkiesta in un cortile interno del centro di Milano. In una seminterrato è riunito il comitato e appena fuori conversiamo di politica italiana e internazionale.

«Il modello politico italiano sta facendo scuola in Europa, l’infinita transizione italiana, iniziata 17 anni fa, si sta espandendo oltre confine. Anzi, la peste italiana si è trasferita in Europa: non solo perché certi modelli politici nostrani prendono piede in altri stati membri, ma anche e soprattutto perché le istituzioni europee rinunciano a fare il loro mestiere. Come da noi». L’ex ministro e commissario europeo la spiega così: «Ogni paese, in Europa, fa le sue leggine per sé. Ognuno protegge il suo orticello. I microinteressi nazionali o subnazionali sono ormai egemoni nel processo politico europeo. La tendenza al localismo e al particolarismo è fondativa di questa coalizione di governo e di questo blocco politico fin dall’inizio. Così facendo, però, l’Europa politica non solo si ferma, ma si sfascia». La vittoria di un antieuropeismo che ha visto nel centrodestra italiano un suo avamposto la si vede chiaramente oggi «nella debolezza assoluta della Commissione di Barroso, che ormai si è ridotta a serva delle decisioni prese dal Consiglio, cioè dall’organo che riunisce i singoli governi nazionali. Del resto la Francia ha sempre pensato a un modello di Europa delle patrie, di una somma delle nazionalità: solo che così facendo si distruggono anche le patrie, perché nessun paese da solo è in grado di affrontare i passaggi chiave di quest’epoca, o di sedersi al tavolo con Russia, India, Cina o Stati Uniti. Questo può farlo solo l’Europa, e nessuno stato membro, neanche la Germania o la Francia». Sarebbe bello, prosegue Emma Bonino, che ogni tanto l’Europa politica facesse battaglie a tutela di se stessa e del proprio rafforzamento: «Sarebbe già un successo se ogni tanto la Commissione facesse proposte impopolari agli occhi dei governi nazionali e del Consiglio, anche a costo di farsele bocciare. Almeno si capirebbe che l’Europa vuole esistere al di là delle resistenze nazionali. E invece no: quando si capisce che una proposta non passerebbe in Consiglio, neanche la si avanza… Di fatto non abbiamo messo in comune, come europei, la politica di difesa, la politica estera, la politica economica, ma neanche esercitiamo le competenze che abbiamo già».

L’ondata migratoria di queste settimane, che arriva in seguito all’esplosione dei regimi nordafricani, è una bella metafora di un’Europa fragile, assente, e in preda ai protagonismi nazionali. «Questa crisi mediterranea mostra oltre ogni ragionevole dubbio il fallimento assoluto della politica europea. Salta il Mediterraneo, e nessuno si accorge di niente, nessuno è pronto a niente e noi stiamo qui a parlare di Lampedusa…». Una piccola isola e piccoli numeri, «visto che quelli che sono arrivati a Lampedusa rappresentano meno del 10% di quanti si sono messi in marcia, magari passando dalla Turchia e puntando a entrare in Europa dalla Grecia. Senza dimenticare che dalla Costa d’Avorio, dove c’è una crisi violentissima e pressoché ignorata dalle nostre parti, è partito un milione di persone. Direzione? Naturalmente l’Europa». Un rivolgimento epocale che sembra avere colto tutti di sorpresa. «Già, erano tutti troppo impegnati a frequentare e conoscere i regimi, per avere il tempo di conoscere bene i paesi e i popoli…». Resta un fatto, sicuro prima durante e dopo la crisi del Mediterraneo: «Noi degli immigrati abbiamo bisogno, le stime europee parlano chiaramente: per mantenere i nostri livelli di sviluppo abbiamo bisogno di 50 milioni di immigrati nei prossimi 40’anni. Il razzismo e gli allarmi attecchiscono facilmente, sradicarli è più complicato per una politica che ha completamente rinunciato alla funzione di leadership e preferisce seguire gli istinti e le paure. E così siamo arrivati ad avere un paese ed un Europa sempre meno capaci di governare un fenomeno planetario».

Il tentativo di governare seriamente i fenomeni migratori è per definizione un esercizio politico complicato ed empirico. «Tanto che – annota amaramente Emma Bonino – abbiamo finito con delegare all’unico che era disponibile a massacrare chi tentava di emigrare, cioè a Gheddafi, una parte importante delle nostre politiche per l’immigrazione. E questo è avvenuto in maniera sostanzialmente bipartisan, in Italia e questo è grave. E il fallimento è qui da vedere, anche a voler valutare il tutto solo in termini di real politik». E in Europa, come si guarda al Nord-Africa? «Domina un atteggiamento strano, per me incomprensibile. Si sta seduti e fermi ad aspettare il cadavere, a vedere come finiscono le rivoluzioni del nord-Africa. Come se non dipendesse anche da un’attività dell’Europa il destino di queste rivoluzioni, e di altre situazioni di cui non si è capito ancora il potenziale: penso alla Siria, allo Yemen e alla Costa d’Avorio». Per mettere le emergenze in prospettiva, e guardarle con gli occhi che la politica dovrebbe sempre avere aperti sul futuro anche meno immediato, vale la pena di notare «ad esempio che oggi migliaia di turchi emigrati di prima e seconda generazione tornano nel loro paese dalla Germania, perchè la Turchia cresce dell’8% all’anno ed ha una grande capacità attrattiva. Sono cose che ha senso immaginare per molti gruppi nazionali, da qui a qualche decennio, annotandoci da subito che questo, per la Germania, è un grosso problema dal punto di vista degli equilibri produttivi».

E invece il dibattito politico italiano e degli altri stati europei è tutto volto alle scadenze elettorali. «Vale per l’Italia, ma anche per Sarkozy o per la Merkel alle prese con le elezioni dei Laender».
La politica italiana, in effetti, non offre squarci di novità strutturali in grado di far pensare che quest’epoca ne stia preparando di per sé una migliore. «Già, tanto è nervosa, caotica e veloce negli insulti tanto risulta statica e immobile nelle dinamiche profonde». L’unica cosa sicura è che Berlusconi ha una leadership. «Non c’è dubbio: ha una grande capacità di rischio, oltre che un grande potere. Trattarlo da clown o sottovalutarlo o demonizzarlo non serve a niente, ormai dovrebbe essere chiaro. Lui non sta comunque granché bene, politicamente parlando, ma ancora non esistono alternative serie». Ma a sinistra si riesce a stare peggio di lui… «Dipende. La sinistra che non si pone il problema di governare il paese – penso a Di Pietro, ma direi anche allo stesso Vendola – sta benone. La sinistra che si pone come alternativa di governo sì, effettivamente non sembra in grande salute. Finché si parla di stare contro Berlusconi si può anche trovare un accordo. Ma poi, nel merito: sulla politica economica continuo a non sapere cosa vogliano fare. Sulla riforma della giustizia invece credo di sapere cosa vogliono, e non mi piace, perchè domina una posizione fortemente conservatrice per cui nulla va toccato o cambiato. La politica estera del centrosinistra è molteplice. Questo è il centrosinistra per come lo vediamo oggi. Altre alternative? Penso a Fini, alla sua confusione tra urgenza e fretta e a un’opportunità bruciata da errori e sottovalutazioni gravi. Insomma, grande movimento e nessun cambiamento strutturale all’orizzonte».