I nerd hanno ragione, il futuro è dei videogame

I nerd hanno ragione, il futuro è dei videogame

I videogiochi roba per ragazzini e nerd solitari? Niente di più sbagliato. In realtà si tratta di un’industria gigantesca e ultra-tecnologica, in continua crescita, con un giro d’affari globale intorno ai 40 miliardi di dollari (meglio di Hollywood). I videogiochi di maggior successo, i cosiddetti “titoli AAA” (l’equivalente videoludico di un bund tedesco), possono incassare anche centinaia di milioni di euro. Non sono solo i titoli a contribuire a un mercato in continua crescita. Anche lo sviluppo dei computer all’avanguardia è appannaggio dell’industria videoludica. Prova ne è il supercomputer più veloce del mondo, il Tianhe-1A (capace di lavorare a 2,5 petaflop al secondo), usa circa tre milioni di processori Nvidia. Costato la bellezza di cento milioni di dollari, sviluppato dall’Università Nazionale Cinese di Difesa Tecnologica (il nome è tutto un programma), Tianhe-1A ci dice due cose: la prima, arcinota, è che l’informatica avanzata non è più un monopolio (nippo)occidentale; la seconda, un po’ meno scontata, è che i videogiochi, e chi se ne occupa, rappresentano un importante fattore d’innovazione tecnologica.

A riprova dell’importanza di questo ultimo fattore, un articolo di Andy Kessler sul Wall Street Journal parla di «complesso ludico-industriale» che avrebbe sorpassato il più tradizionale e statale sviluppo di provenienza militare. In più si sottolinea come «i videogiochi influenzeranno il modo in cui la prossima generazione di lavoratori interagiranno fra di loro». Tornando ai titoli di maggior successo, c’è l’ esempio di “Black Ops”, l’ultimo capitolo della celebre saga sparatutto “Call of Duty”. Ambientato ai tempi della Guerra Fredda (una delle missioni è uccidere Fidel Castro), il titolo ha incassato in pochi mesi oltre un miliardo di dollari. E il suo primo DownLoadable Content (DLC) è stato scaricato più di un milione e mezzo di volte in sole 24 ore.

“Black Ops” è in buona compagnia. “Grand Theft Auto IV”, videogame free-roaming in cui s’impersona un ex veterano serbo a piede libero in una città americana, ha fruttato in una settimana oltre mezzo miliardo di dollari. “Halo 3”, nello stesso lasso di tempo, “solo” trecento milioni. Insomma, numeri impressionanti, paragonabili a quelli di kolossal come “Avatar” o album come “Thriller”. Un mercato ghiottissimo, per il quale i giganti del settore (Sony, Microsoft e Nintendo) combattono una guerra, la console war, a colpi di esclusive, servizi online e nuove periferiche (come il Kinect della Microsoft, che dal lancio ha venduto oltre dieci milioni di unità). La concorrenza, naturalmente, non si ferma alle Tre Sorelle. Le software house, soprattutto le maggiori, sono in feroce competizione tra loro. Specialmente nello sviluppo di motori grafici sempre più performanti. Lo scopo? Rendere i loro videogiochi più allettanti sul piano estetico, migliorandone al contempo la giocabilità.

Tra i tanti motori grafici spicca l’Unreal Engine 3 della Epic Games. Benché da anni sul mercato, è un concorrente difficile da battere. Non a caso la Epic Games è in partnership con la Nvidia, società leader nelle soluzioni di elaborazione visiva. Forse in Italia il nome Nvidia è poco noto, però è senz’altro conosciuto in Cina. “Laddove vi è la possibilità di generare profitto in genere vi sono investimenti, innovazione, competizione e quindi altri investimenti. L’industria del videogioco da ormai trent’anni genera tutto ciò.” dichiara a Linkiesta Daniele Pietrobelli, bioinformatico di Cambridge “Mi viene in mente lo ZX Spectrum, lanciato nel 1982, che fu tra i primi computer distribuiti, a un prezzo relativamente accessibile, principalmente ai giocatori di videogame. Ebbe un enorme volume di vendite e permise alla sua ditta produttrice, la Sinclair Research, di investire in innovazione hardware per cercare di competere con prodotti quali il Commodore 64.” Anche Edward Stern, senior game designer della software house Splash Damage, è dello stesso parere. “I videogiochi sono davvero difficili da creare. Se si vuole spingere al massimo un hardware bisogna far girare su di esso un videogioco. Con tutti quegli effetti grafici… è davvero un lavoraccio per un hardware far girare bene un titolo.” dice a Linkiesta “Quindi non è una sorpresa che gli hardware usati per i videogiochi si stiano sviluppando più in fretta degli altri. Un mucchio di innovazioni e di tecnologia viene dunque dai videogiochi. È una sorta di processo darwiniano.”

Non sono solo gli eredi di HAL, il supercomputer di “Odissea nello Spazio”, a beneficiare del boom dei videogiochi. Un istituto della Technische Universität di Vienna ha creato, insieme alla software house danese Serious Games Interactive, un programma che sfrutta il sistema di motion-capture (usato da anni nel settore videoludico) per monitorare le tensioni muscolari dei pazienti in riabilitazione motoria. Il contributo dei videogiochi alle scienze mediche non si ferma qui. Nel 2008, per esempio, degli informatici della Washington University hanno creato “Foldit”, simpatico videogame che permette di assemblare sullo schermo di un pc nuove proteine: più le creazioni del giocatore sono “chimicamente stabili”, più punti gli verranno attribuiti. Ma a differenza di vecchi game come “Tetris” o “Puzzle Bobble”, “Foldit” non è un semplice rompicapo per ammazzare un pomeriggio: infatti le proteine vincenti vengono analizzate e testate da veri scienziati, che potranno perfino utilizzarle nella lotta contro malattie come l’Alzheimer. Insomma, non c’è bisogno di un dottorato per capire che i videogiochi sono un vero motore di innovazione tecnologica. Persino settori come quello del 3D, che solo ora inizia ad affacciarsi sul mercato, beneficiano dell’attivismo di chi sta scommettendo sui videogiochi in tre dimensioni. Perciò non prendete in giro i nerd. Chi passa quattro ore al giorno di fronte a uno schermo uccidendo alieni sta davvero contribuendo al futuro dell’umanità.

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