Mps, 2,15 miliardi per guardare più in là della Grecia

Mps, 2,15 miliardi per guardare più in là della Grecia

E’ la volta del Monte dei Paschi. Il Cda della banca ha fissato ieri il prezzo e le modalità dell’aumento di capitale che scatterà lunedì prossimo, 20 giugno. Verranno emesse 4.824.826.434 azioni ordinarie da offrire in opzione agli azionisti a 0,446 per azione per un controvalore 2, 15 miliardi. Le azioni di nuova emissione saranno offerte nel rapporto di 18 nuove azioni ogni 25 possedute. Il prezzo delle nuove azioni è stato determinato applicando uno sconto del 27,88% circa rispetto al prezzo teorico ex diritto (il cosiddetto TERP) delle azioni ordinarie, calcolato sulla base del prezzo ufficiale di Borsa della giornata di ieri. Uno sconto più alto di quello deciso dalle banche che in questi mesi hanno avviato operazioni analoghe e di quanto si aspettava il mercato che ipotizzava un prezzo tra 4,5 e 5 euro. Il buon esito dell’operazione è garantito da un consorzio coordinato e diretto da JP Morgan Securities, Mediobanca-Banca di Credito Finanziario e MPS Capital Services .

L’assemblea straordinaria della banca 10 giorni fa aveva dato il via libera ad un aumento più pesante di 2,471 miliardi, suddiviso in 2 miliardi mediante emissione di azioni ordinarie, e in 471 milioni di euro per il riacquisto e la conversione di titoli ibridi fresh del 2003. Il presidente, Giuseppe Mussari in assemblea aveva anticipato che l’operazione sarebbe scattata entro fine giugno, “non appena arriveranno le autorizzazioni partiamo, le cose vanno chiuse”. I tempi sono stati rispettati ma i quantitativi alleggeriti, 2,15 miliardi rispetto ai 2,47 previsti, una modifica (insieme allo sconto) che non può che piacere al mercato e fa capire come il timore della reazione della borsa sia ben presente anche a Rocca Salimbeni.

L’ aumento permetterà alla banca senese di affrontare gli impegni previsti da Basilea 3, senza dover ricorrere ad altre interventi. La strada della ricapitalizzazione vede impegnati diversi istituti bancari italiani che con l’aumento di capitale vogliono adeguarsi ai requisiti richiesti dai nuovi accordi di Basilea 3. Ma diversi sono i stati i tempi di partenza e differenti le reazioni del mercato. A rompere gli indugi agli inizi dell’anno è stato il Banco Popolare, poi Il fischio di partenza ufficiale lo aveva dato il governatore Draghi al Forex a febbraio, invitando le banche a non perdere ulteriore tempo e a procedere senza esitazioni o timori. Invito accolto nei mesi successivi da Banca Intesa San Paolo a maggio e da Ubi Banca a giugno. E settimana prossima sarà la volta del Monte dei Paschi di Siena.

Con una ricapitalizzazione da 5 miliardi Intesa San Paolo ha portato il Core Tier 1 (il numeretto magico che indica la solidità di un istituto) oltre l’8% e vicino al 10% chiesto alle banche di interesse sistemico. Al Monte dei Paschi i nuovi capitali servono per rimborsare i costosi Tremonti-bond e per portarsi in linea con i requisiti patrimoniali senza aiuti di Stato. Intesa si candida a rafforzare il proprio ruolo di banca di sistema. Il Monte dei Paschi vuole chiudere il capitolo avviato con la sottoscrizione dei Tremonti-bond per 1,9 miliardi di euro a fine 2009. Quei titoli sono stati d’aiuto, ora sono un peso: costano 160 milioni di euro ogni dodici mesi. Attualmente la banca senese ha un “Core Tier 1” all’8,3%, se si eliminassero i Tremonti–Bond scenderebbe al 6,6%. Un aumento di capitale da 2 miliardi lo riporta all’8%.

Ma mettere i conti in ordine si sta rivelando un tracciato impervio. Gli aumenti di capitale non sono mai accolti volentieri dal mercato, chiedono di metter mano al portafoglio e sono visti con sospetto. Poi ci si è aggiunta la crisi della Grecia e le ripercussioni negative sui mercati borsistici in particolar modo sui titoli bancari. A volte senza troppi distinguo, dal momento che le banche italiane non sono particolarmente esposte sul fronte ellenico a differenza di quelle francesi e tedesche. Il fattore tempo rischia di essere un elemento determinante: forse chi si è mosso per primo, mettendo da un lato le incertezze, ha colto una congiuntura meno complessa. Banco Popolare e Intesa hanno chiuso le loro operazioni senza particolari problemi, solo qualche patema iniziale, quasi senza inoptato e senza far ricorso al consorzio di garanzia. Ma nelle ultime sedute il clima è peggiorato in parallelo con il deteriorarsi della crisi ad Atene e la prima vittima sul mercato italiano è stato proprio l’aumento di capitale di Ubi Banca che non ha superato la prova della borsa. Partito il 6 giugno ha fatto perdere al titolo in meno due settimane quasi il 20 % e i diritti legati all’aumento che avevano esordito a 0,3 sono finiti a zero. Il titolo rischia di toccare il prezzo dell’offerta a 3,808. Alla chiusura di venerdì 3 giugno Ubi valeva 4,7894, giovedi 16 giugno ha chiuso a 3,93 euro.

Comincia insomma a piovere sugli aumenti bancari e Ubi Banca di pioggia ne ha presa parecchia. La debolezza del titolo nei primi giorni di borsa non aveva preoccupato, chi non intende sottoscrivere tende a cedere i diritti subito e i prezzi delle azioni si allineano. Il calo costante nelle ultime sedute invece è stato gravoso, non succede così spesso in Borsa che i diritti finiscano con il valore vicino allo zero. Un segnale non proprio incoraggiante per Monte dei Paschi, ma la speranza è che il peggio sia passato e nelle prossime settimane sia meno severo il clima verso i titoli bancari, anche perché in queste situazioni si tende a colpire nel mucchio senza particolari distinzioni.
Certo i fattori di crisi sono anche esterni alle crisi del debito greco, ai timori di recessione e alla tensione che si respira nei mercati. Contribuiscono un clima generalizzato di sfiducia degli investitori e la progressiva erosione delle quote di risparmio in capo alle famiglie italiane. Fare ricorso al mercato non è così facile come in passato, per cui la leva dell’aumento va manovrata con estrema attenzione. Le banche in procinto di chiedere al mercato nuova liquidità sono avvertite. Non sarà casuale che per il varo dell’aumento di capitale da 5 miliardi Intesa avesse messo in piedi un maxiconsorzio di garanzia che poi non è servito visto che il mercato ha risposto in modo positivo. Nel suo caso lo sconto di circa il 24% dell’aumento è servito, quello del 22% di Ubi non pare, e il consorzio dovrà probabilmente farsi carico di un buon numero di diritti.

Lunedì è la volta del Monte e poi toccherà a Banca Popolare di Milano, che rispetto ad altre banche si trova in una situazione di criticità, non tanto e non solo per i pesanti rilievi mossi da Bankitalia, quanto perché l’entità dell’aumento di capitale e le caratteristiche dell’istituto aumentano di parecchio i rischi. Anche solo guardando i numeri, l’operazione non si preannuncia una passeggiata: la popolare capitalizza in Borsa circa 670 milioni di euro e le nuove azioni saranno circa tre volte di più di quelle attualmente in circolazione. Insomma per le banche italiane in cerca di nuove risorse sul mercato la strada in questo momento appare in salita, la speranza è che smetta di piovere.
 

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