Post SilvioColpite gli evasori, non i soliti senza voce che lavorano

Colpite gli evasori, non i soliti senza voce che lavorano

C’è un pezzo di paese che non è abituato alle prime file, non conosce la ribalta, non sa calcare i palchi e le televisioni. È un popolo silenzioso per definizione, perché quando si lavora molto si ha poco tempo di parlare o per studiare come farsi sentire, in un mondo in cui comunicare è sempre più complesso. È l’Italia degli imprenditori, degli artigiani, dei professionisti, dei lavoratori che mandano avanti il sistema dei servizi e delle imprese. È il paese di chi produce reddito col lavoro, di chi reinveste da sempre sulla propria impresa e su di sé, perché crede alla crescita al di là (o prima) di ogni teoria economica che spieghi come generarla e sostenerla. È l’Italia che funziona, che paga le tasse – tra le più elevate del primo mondo, con servizi pubblici costosi e spesso da secondo mondo -, che innova e che troppo spesso rema per tutti: proprio perché è abituata a pagare in silenzio.

È pensando a questo pezzo d’Italia, un’Italia alla quale ambiamo ad assomigliare, che ci sembra giusto – mentre il cammino della manovra finanziaria entra nel vivo – dire cosa secondo noi questa manovra non deve diventare.
Il “contributo di solidarietà” lungamente discusso è il primo nodo da sciogliere. È quasi l’emblema di un’ingiustizia che continua e finisce con l’essere drasticamente rafforzata proprio da chi – Berlusconi&Bossi – nasceva politicamente promettendo di dare voce a chi non aveva mai avuto abbastanza voce, cioè al popolo dei produttori. Inutile discutere di dettagli ancora in fieri: quel che si capisce e si sa, fin da ora, è che invece di recuperare risorse dalle gigantesche rendite – finanziarie e immobiliari, anzitutto – si colpisce chi produce lavoro e reddito, innalzando le aliquote.

Chi pagherà? Naturalmente chi paga già, chi non evade il fisco perché non può o non vuole. La lotta alla mastodontica evasione fiscale italiana, evidentemente, per il governo può attendere: ma nell’interesse del paese, invece, sarebbe bene che non si aspettasse un minuto di più, perché combattere l’evasione non è solo una questione di equilibrio delle finanze pubbliche, ma di tenuta dell’intero patto nazionale. Non è possibile, infatti, che un paese regga se chi paga le tasse – a fronte di servizi apertamente inadeguati e magari senza nessuna ragionevole certezza del proprio trattamento previdenziale – veda tutti i giorni attorno a sé che altri concittadini – più “fortunati” per business o collocazione geografica – non pagano e magari se ne vantano pure. Non è solo una questione di giustizia, di etica o di ragioneria generale: diventa una questione di pace sociale vera e strutturale di cui una classe dirigente responsabile deve farsi carico.

Un esecutivo capace di dichiarare guerra all’evasione fiscale sarebbe anche in grado, poi, di procedere in tempi rapidi all’innalzamento dell’età pensionabile a 65 anni per tutti, uomini e donne. Anche questo provvedimento, in un paese troppo attento ai diritti di chi ne ha già tanti per ricordarsi di chi deve ancora averne alcuno, aiuterebbe il risanamento strutturale e un patto sociale e generazionale che scricchiola, e non da ieri.
In un contesto di provvedimenti come questi, severi ma equi, sarebbe più facile approvare una tassa patrimoniale: un’imposta cioè che si basi sui patrimoni e penalizzi, per definizione, le rendite e non il lavoro. Non una patrimoniale “autocertificata”, come quella proposta da Luca Cordero di Montezemolo, ma una norma rigorosa e seria, che non faccia affidamento sulla buona volontà dei contribuenti ma sul rigore della macchina amministrativa. Con Luigi Einaudi, peraltro, vien da pensare che la patrimoniale – una misura eccezionale e per sua natura impopolare – abbia bisogno di una classe dirigente credibile, rispettata e “benedetta” dal voto popolare. Chi saprà presentarsi agli elettori italiani con la forza e il coraggio che servono per toccare le rendite e le ricchezze improduttive dopo averlo scritto, nero su bianco, nel suo programma? È un problema di domani, ma sarebbe bene iniziare a pensarci fin da oggi.  

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