Post SilvioEcco la “nuova” manovra. Ma i soldi dove sono?

Ecco la “nuova” manovra. Ma i soldi dove sono?

La manovra di prima era brutta, faceva pagare i soliti che già pagavano, non affrontava nessun nodo strutturale del paese, non toccava la spesa improduttiva: insomma, non ci piaceva affatto. Questa manovra, quella che esce dalle sette ore di Arcore di vertice di maggioranza, propone invece un grande dilemma: i “saldi invariati”, cioè gli oltre quaranta miliardi che servono, da dove arrivano? Vengono infatti citate parole d’ordine come “pensioni” ed “evasione fiscale” ma, grattando dietro ai primi annunci, si vede che di misure strutturali vere per non ce ne sono neanche stavolta. Ma andiamo con ordine.

Partiamo dall’abolizione del contributo di solidarietà, misura che doveva colpire i redditi dichiarati superiori a 90 mila euro. Una misura, lo ricordiamo per inciso, fortemente penalizzante delle classi produttive che le tasse le pagavano già, in un paese segnato da un’evasione fiscale spaventosa. La sua abolizione, oggi, viene compensate da misure ancora assai vaghe e tutte da scrivere: “nuove misure fiscali finalizzate a eliminare l’abuso di intestazioni e interposizioni patrimoniali elusive”. Misure, sia detto per inciso, che potrebbero finire nella delega per la riforma fiscale che la manovra di Luglio ha attribuito al Ministero dell’Economia. Sempre a compensazione del mancato gettito del contributo di solidarietà, la riunione di Arcore partorisce una misura nell’aria da settimane: la fine del regime agevolato per le cooperative. Non solo quelle rosse nell’occhio del ciclone per la vicenda-Penati, dunque, ma anche quelle bianche e quelle degli inquieti alleati ciellini. Nulla viene proposto, a quanto si apprende ad ora, per limitare invece l’uso del contante e per favorire quindi un’emersione almeno parziale di tutto il sommerso riconducibile al lavoro autonomo e artigianale: misura analoghe, effettivamente, esistevano già e son state tra le prime cancellate dal governo. 

Le pensioni erano (e resterebbero) il capitolo forte per una vera riforma strutturale. In una lettera-appello pubblicata sulle nostre pagine e firmata da esponenti del mondo dell’impresa, delle professioni, del management, si chiedeva tra l’altro l’innalzamento immediato dell’età pensionabile per uomini e donne. Il veto della Lega, invece, ha fatto scegliere una misura che di fatto non tocca la struttura di un sistema previdenziale che resta squilibrato: viene mantenuto l’attuale regime previdenziale per chi abbia maturato pensioni di anzianità con quarant’anni di contributi, ma dal regime vengono esclusi gli anni di servizio militare (roba da uomini) e di studi universitari. Parliamo di briciole, rispetto a quel che serve per rimettere in carreggiata un percorso tutto sbilanciato a vantaggio di chi la pensione ce l’ha già o la vede da vicino come un traguardo, e a tutto svantaggio di chi invece teme o sa – è ormai un luogo comune – di non vederla mai. Insomma, non è una riforma, e neppure un embrione di riforma, quello che è uscito dalla riunione di Arcore.   

Le molteplici proteste degli enti locali hanno poi favorito un generico alleggerimento della manovra nei loro confronti. E se è positivo che siano incentivati per i piccoli Comuni i consorzi e forme di risparmio ed economie di scala, è tutto da capire il potenziamento della lotta all’evasione fiscale incardinato con maggiori poteri proprio in capo agli enti locali e territoriali. Del resto, la lotta all’evasione spesso non aiuta la popolarità degli amministratori, e la misura obbliga un cambio di mentalità davvero radicale. 

Quanto ai costi della politica e al taglio degli enti inutili, anche ad Arcore deve essere arrivato il vento che tira nel paese. Così, per le province è promessa l’abolizione, mentre per il numero di parlamentari si lavorerà ad un dimezzamento. I provvedimenti sono ovviamente di natura costituzionale e richiedono maggioranze parlamentari assai ampie: e arrivare in tempo per la fine della legislatura richiederà un consenso compatto e una marcia a ritmi serrati. La volontà delle forze politiche (non solo della maggioranza, in questo caso) sarà facilmente misurabile seguendo il cammino delle modifiche. 

Politicamente, rispetto a nuova manovra, si dichiarano naturalmente tutti vincenti. Qualcosa i “frondisti” del Pdl hanno forse spuntato, ma a sorprendere è che, alla fine, i diktat leghisti hanno complessivamente tenuto. È vero, le province rischiano l’abolizione, ma le pensioni non sono toccate nella sostanza, così come di un aumento dell’Iva non si parlerà più, come ha sottolineato un plaudente Raffaele Bonanni, segretario della Cisl. La reazione più sorprendente, dopo tutto, resta però quella del ministro dell’economia, Giulio Tremonti che ha definito con un “molto bene” i lavori a casa Berlusconi. Delle due l’una: o la “sua” manovra, quella di prima, non gli piaceva, oppure ha già intravisto, in questa maggioranza balcanizzata che va da Tosi a Scilipoti, gli spazi per una sua rinnovata egemonia e quindi per il rinnovo di una permanenza al ministero che sembrava quantomeno a rischio. Forse il peso rinnovato di Tremonti sta nell’ampio spazio concreto che le linee guida della manovra lasciano alla delega fiscale e a chi – proprio Tremonti – ne è il depositario?

Dal conciliabolo di Arcore non ci si aspettava, per la verità, né che si aggredisse davvero la rendita aprendo un dibattito serio sulla patrimoniale, né che riaprisse il grande tema del lavoro e del suo mercato, né che guardasse lontano pensando alle generazioni che guadagnano mille euro con contratti da un mese per volta. Non ci si aspettava neanche che affrontasse il tema enorme di una spesa pubblica improduttiva, né che segnasse una pagina storica nella lotta all’evasione. Non ci si aspettava, ad essere realisti, tanto coraggio: ma è di questo che il paese continua ad avere bisogno.