Breivik, che fine ha fatto il più odiato di Norvegia?

Breivik, che fine ha fatto il più odiato di Norvegia?

In prigione, Anders B. Breivik, reo confesso (e senza rimorsi) delle stragi del 22 luglio, si annoia. «L’imputato descrive il suo isolamento come noioso e monotono, e lo ritiene un sadico metodo di tortura. – riferiva il 19 agosto Hugo Abelseth, giudice della corte distrettuale di Oslo.
Sia chiaro: nonostante le dichiarazioni folli di Breivik, nel sistema carcerario norvegese la custodia in isolamento è tutto meno che sadica.

«[Breivik] può vedere film su un computer per quattro ore al giorno. Il computer però non è connesso a Internet – dice a Linkiesta il dottor Thomas Ugelvik, criminologo e studioso di sistemi penitenziari all’Università di Oslo – Può vedere solo film “per famiglie”, e leggere unicamente libri selezionati. E il suo avvocato può incontrarlo in qualsiasi momento».

L’isolamento, d’altra parte, è più che fondato: «sia perché le investigazioni sono ancora in corso (e così non è in grado di inquinare le prove, minacciare i testimoni ecc…)», sia «per la sua stessa incolumità in prigione».

Come spiega l’avvocato Jon Wessel-Aas, partner dello studio legale Bing Hodneland di Oslo, «le condizioni della custodia in isolamento equivalgono, in sostanza, a quelle della normale custodia, eccetto per il fatto che il prigioniero è tenuto totalmente isolato dagli altri reclusi, e da chiunque eccetto personale autorizzato specializzato. Per Breivik, poi, sono state prese misure di sicurezza addizionali straordinarie. Si trova nella prigione di Ila, e le autorità hanno, tra le altre cose, ordinato una no-fly zone temporanea sopra l’area della prigione».

La prigione di Ila, a pochi chilometri da Oslo, ha un passato tragico: durante la Seconda Guerra Mondiale, con la Norvegia occupata dai nazisti, fu un campo di concentramento per oppositori politici. Oggi però è un carcere modello. Ospita poco più di cento detenuti, ha un vivaio di fiori e piante, una bella cappella, un negozietto dove sono venduti i manufatti dei prigionieri. E Breivik, che non viene mai perso d’occhio per timore che tenti il suicidio, è recluso in una cella spartana ma relativamente confortevole.

Purtroppo, da quando il mondo ha saputo che si trova lì, la prigione è stata inondata da lettere di fan deliranti, e di donne convinte di poterlo redimere. Lettere che Breivik però non può leggere, essendogli proibito qualsiasi contatto con l’esterno. L’autoproclamatosi “Cavaliere Templare” trascorrerà a Ila un altro bel po’ di tempo. Come minimo altre otto settimane, di cui quattro in isolamento. Lo ha deciso il 19 settembre la corte distrettuale di Oslo, in un’udienza a porte chiuse.

In realtà il 12 settembre la corte aveva optato per un’udienza pubblica, così da consentire la partecipazione della stampa, ma soprattutto dei superstiti e dei parenti delle vittime degli attentati. La decisione tuttavia veniva ribaltata tre giorni dopo dalla corte d’appello di Borgarting.

A Linkiesta l’avvocato Wessel-Aas, coinvolto nel procedimento in quanto legale della stampa, spiega: «La corte d’appello, fondamentalmente, ha ritenuto che a) in questa fase delle investigazioni sarebbe stato prematuro escludere la possibilità dell’esistenza di complici e/o altre “cellule” [terroristiche] b) se le dichiarazioni di Breivik e/o altre informazioni derivanti dall’udienza fossero trapelate, avrebbero potuto mettere a rischio le investigazioni c) aprire l’udienza anche solo alla stampa, e con divieto di pubblicazione, avrebbe implicato un realistico rischio di diffusione di dette informazioni, soprattutto considerando che un gran numero di media nazionali e internazionali sarebbe stato presente in aula».

La decisione della corte d’appello ha provocato un grande dibattito in Norvegia, Paese dove la trasparenza è considerata una virtù nazionale. «Le porte aperte sono la regola in tutte le udienze, anche in quelle preprocessuali. – spiega l’avvocato Wessel-Aas – In ogni modo, non è insolito che le porte siano totalmente o parzialmente chiuse in udienze preprocessuali nelle prime fasi di indagini inerenti reati gravi, in cui terze parti potrebbero essere coinvolte. A mio parere, e sulla base di materiale non-pubblico a cui ho potuto accedere confidenzialmente in qualità di legale della stampa in questo procedimento, valuto la decisione della corte d’appello come troppo cauta, e basata, dal punto di vista fattuale, su una catena molto lunga di presunzioni ipotetiche».

L’avvocato è chiaro in proposito. «Benché sia nell’interesse della giustizia evitare di mettere a rischio un’indagine, credo che bisognerebbe pretendere più sostanza da uno scenario di rischio a cui la corte d’appello ha dato così peso. Ovviamente è anche nell’interesse della giustizia che, in uno stato democratico, al pubblico, e per suo conto alla stampa, sia consentito di seguire tutte le fasi di un processo, a meno che speciali circostanze non rendano strettamente necessario esentare parti del processo dallo scrutinio pubblico. Dover contare solo sulle informazioni fornite dall’accusa, dalla difesa e dai legali delle vittime non è soddisfacente nel lungo termine».

Più sicurezza contro più trasparenza. È il dilemma che deve fronteggiare la Norvegia. Una società aperta, ma che dopo le stragi del 22 luglio teme nuovi attentati, proprio come l’America dopo l’11 settembre. E infatti i fondi per la polizia sono stati accresciuti. E infatti nuove misure di sicurezza saranno probabilmente varate.

Ma se la paura c’è, c’è anche la voglia di non cedere a essa. Alle recentissime elezioni amministrative sono stati premiati, a destra come a sinistra, i partiti politici con i leader più pacati. E con i programmi più equilibrati.

Ha fatto bene il Partito Laburista del primo ministro Jens Stoltenberg (quasi il 32% dei voti), che si conferma come la prima forza politica norvegese. Ed è stato un vero trionfo per i moderati del Partito Conservatore (Høyre), passato dal 19% dei voti del 2007 al 28%. Altrettanto significativo il tonfo del Partito del Progresso (FrP), irruente formazione ultraliberista che quattro anni prima, con il 17,5% delle preferenze, tallonava il Partito Conservatore, e ora si deve accontentare di un misero 11,4%.

Soprattutto, è cresciuta l’affluenza alle urne. Segno che i norvegesi non hanno smesso di credere nella loro democrazia, pacifica e tollerante. Breivik, che si annoia nella prigione di Ila, per ora non ha vinto.  

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