L’omertoso paese di Camilleri denuncia solo le comparse di un film

L’omertoso paese di Camilleri denuncia solo le comparse di un film

Porto Empedocle è nota per essere la città natale di Camilleri. In omaggio allo scrittore, e per assicurarsi qualche visitatore in più, nel 2003 il consiglio comunale decise di cambiare il nome del paese in Vigàta, per poi tornare alla denominazione originale sei anni dopo.
Ma rimarrete delusi se pensate di trovare lo sfondo sognante delle avventure di Montalbano. Siamo in provincia di Agrigento, una terra dove “Cosa Nostra” può vantare un’antica tradizione. Ancora oggi è in vigore la divisione in “mandamenti”. E Porto Empedocle è uno di questi. La mafia locale aveva una particolarità: il controllo dell’acqua. Le rotture nell’acquedotto che parte dal dissalatore di Gela riempivano alcuni laghetti, e poi l’acqua rubata veniva venduta, specie agli agricoltori. Nel settembre 2009 il presidente dell’Akragas (la squadra di Agrigento) dedicò un bel 5-0 a un boss locale appena arrestato.

La Dia (Direzione investigativa antimafia) ha lanciato l’allarme in un rapporto riferito al 2010: lo sviluppo dell’intera provincia è ancora condizionato dal sistema criminale. «I mafiosi non chiedono il pizzo ma la “messa a posto”», mi spiega Roberto Di Cara, vicepresidente dell’antiracket della vicina Licata. L’imprenditore deve cioè regolarizzarsi con una tassa inesorabile quanto quella dello Stato. Negli ultimi anni il racket si è evoluto, specie in agricoltura ed edilizia. Non passa più per la richiesta monetaria. Si obbliga la ditta ad acquistare forniture, servizi di vigilanza e subappalti dalle imprese mafiose.

È il pizzo con la fattura. Il prezzo è spesso quello di mercato ma l’imprenditore non ha scelta sulla qualità del servizio, è obbligato a rivolgersi ai mafiosi. E spesso si ritrova in difficoltà. Allora l’estorsione si intreccia con il prestito a strozzo, in territori dove è più facile rivolgersi all’usuraio che alla banca. Nonostante alcuni importanti arresti, nonostante i collaboratori di giustizia, gli appalti pubblici sono ancora pesantemente condizionati. L’imprenditore che si aggiudica un lavoro, ancora prima di aprire il cantiere, è chiamato a mettersi in regola con il responsabile di Cosa nostra nel territorio. Eppure, per l’immaginario nazionale, per i commentatori che vivono a distanza di molti chilometri da questo lembo estremo dell’isola, la mafia siciliana è stata ormai sconfitta.

Paolo Ferrara, ex sindaco di Porto Empedocle, ha provato a invertire la rotta. Ha denunciato e fatto arrestare gli usurai che lo stavano soffocando. Da quel gesto sono seguite una serie di minacce. Qualche settimana fa gli hanno mandato una busta con tre proiettili e un mazzo di fiori. Ora è sotto scorta. Ferrara era riuscito nella straordinaria impresa di far coalizzare contro di lui tutti i partiti italiani. Alle ultime comunali di maggio si è presentato da solo contro una coalizione formata da un impressionante schieramento che andava dall’estrema destra al Pdl fino al Partito Democratico. Ovviamente hanno vinto col 93% senza lasciare agli avversari neppure un consigliere comunale.

Il primo a esprimere solidarietà a Ferrara è stato Giuseppe Arnone, avvocato di Agrigento, consigliere comunale e ambientalista noto per le battaglie contro l’abusivismo nella Valle dei Templi. Oggi Ferrara è cliente di Arnone. «Lo seguo per un vecchio procedimento», ci dice il legale. «Una lettera anonima con insulti di carattere personale fu diffusa in migliaia di copie. Tutto il paese nottetempo e tutte le auto furono tappezzate di questo infame scritto. Siamo riusciti dopo un processo molto complicato a far condannare il diffusore, cioè un altro ex sindaco».

Nella lettera si sosteneva che aveva un’amante perché la moglie era brutta, che per lei stava dilapidando il suo patrimonio e altri pettegolezzi di paese. A Porto Empedocle la politica si fa anche così. Solo che Ferrara ha pagato le falsità con la salute e la quiete familiare. «Poi gli usurai cominciarono a tartassarlo», racconta Arnone. «Minacciato, ha ritenuto di denunziarli. Era stato sindaco per l’Udc di Cuffaro fino al 2005, lo fecero dimettere, si avvicinò ad altri partiti, nel 2008 sponsorizzava un candidato del Pdl». Nel 2011 la candidatura per l’Italia dei Valori, solo contro tutti. Ma qui non c’entrano più i tassi di interesse e le corone di fiori. Ora entra in gioco un impianto che trasforma il metano liquido in gas. E che vale 800 milioni di euro. Una valanga di soldi che può cadere sulla povera Porto Empedocle.

«La sua candidatura fu dell’ultimo minuto, il suo avversario era fortissimo», ci racconta ancora Arnone. «Veniva dall’Udc ed era sponsorizzato anche dal ministro Alfano». Tutti si stringono intorno al candidato che vuole il rigassificatore. O, meglio, mettono nell’angolo l’unico contrario. Spiega Arnone: «Ferrara non aveva neanche una particolare storia contro l’impianto. Era semplicemente il candidato dell’Idv, l’unica forza politica contraria».

Il rigassificatore è un impianto che porta il gas liquido – usato per il trasporto marittimo – allo stato gassoso utile per il trasporto terrestre e il consumo. L’impianto di Porto Empedocle è un investimento Enel da centinaia di milioni di euro. A luglio il Consiglio di Stato ha sbloccato l’appalto, annullando la sentenza del Tar del Lazio che accoglieva il ricorso del Comune di Agrigento e delle associazioni ambientaliste.
Il comitato del no protesta per “il forte impatto ambientale che la struttura avrebbe, ricadendo a pochi metri dalla casa natale di Luigi Pirandello a poco più di un chilometro dalla Valle dei Templi, patrimonio dell’Umanità, e a una manciata di metri dal centro abitato, su coste già fortemente erose”.

Non è solo una questione di difesa dei luoghi. A regime l’impianto darà lavoro solo a 80 persone. E proseguirà quel modello industrialista che da queste parti ha il volto del petrolchimico di Gela, un’esperienza che ha barattato poca occupazione con un disastro ambientale che ha compromesso per sempre il territorio. Arnone ci dice di non essere contrario a questo tipo di impianti, che però andrebbero realizzati dove non ci sono altre prospettive: “Noi siamo una terra a vocazione turistica e non industriale”.

Ferrara è rimasto solo contro tutti durante le elezioni. Ed è stato isolato nelle denunce. Ma i bravi cittadini di Porto Empedocle non sono tutti omertosi. Sanno anche chiamare la polizia, se si sentono in pericolo. La scorsa estate hanno denunciato le comparse del film Terraferma, l’ultimo film di Emanuele Crialese presentato in questi giorni al festival di Venezia. Alle riprese hanno partecipato alcuni africani effettivamente transitati da Lampedusa negli anni scorsi e altri residenti a Palermo. Tutta gente in regola con il permesso di soggiorno.

Le comparse facevano la spola tra il set sull’isola di Linosa – nei pressi di Lampedusa – e Porto Empedocle. Dopo una brutta traversata di nove ore per rientrare in Sicilia con il mare in burrasca, alcuni di loro sono stati portati via in ambulanza e medicati in ospedale, per gli altri la produzione del film ha trovato alloggio in hotel. Ma la mattina seguente, due volanti della polizia si sono presentate all’albergo per identificarli.
Gli agenti erano stati allertati da numerose chiamate di cittadini allarmati perché “avevano visto un gruppo di clandestini aggirarsi per il paese”.

Enrico Montalbano, regista palermitano che per la produzione svolgeva il ruolo di assistente e accompagnava i ragazzi stranieri, ironizza sulla «coraggiosa collaborazione con lo Stato in un posto in cui normalmente la gente è abituata a farsi troppo spesso gli affari propri». «Sono sceso dalla macchina e ho chiesto immediatamente spiegazioni a un ispettore che conosco da anni», racconta. «Ho scoperto dal suo racconto che si erano precipitati, malgrado altri e più importanti impegni, dopo decine e decine di telefonate».

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