Oggi è arrivata la pubblicazione del rapporto Ue, ma l’agognato ingresso nel club di Bruxelles non sembra essere in cima ai pensieri del popolo della Mezzaluna e del suo governo.
Ci se ne accorge soprattutto dai giornali, che nelle ultime settimane hanno parlato di Europa riferendosi solo alla crisi che rischia di trascinare l’Unione nella voragine. Sembrano lontani gli anni in cui i risultati sui progressi del Paese occupavano più spazio sui media e venivano seguiti anche con dibattiti e sondaggi nell’opinione pubblica.
Il 2011 sembra addirittura presentare un ribaltamento di prospettive: quella che prima sembrava un’opportunità, adesso viene guardata con maggiore scetticismo. Il rapporto, pur dando atto alla Turchia di avere compiuto sforzi e passi avanti verso una maggiore democratizzazione del Paese, tocca ancora il nervo scoperto dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda la condizione dei minori e la libertà di espressione.
Ma viene da un’Europa che, nell’ottica turca, è sofferente: da una parte con l’asse Merkel-Sarkozy – guarda caso proprio i maggiori avversari di Ankara – che cerca di salvare la moneta unica dal collasso, e dall’altra una Turchia che si gode i risultati economici e il grande momento di popolarità internazionale. Un atteggiamento comprensibile, ma che mette a rischio il cammino di riforme di cui il Paese ha bisogno, nonostante l’impegno dell’esecutivo di dare vita entro un anno a una Costituzione che rispetti tutti i parametri europei.
Un mondo alla rovescia che nel 2005, quando partirono ufficialmente i negoziati di ingresso della Turchia con la Ue, Bruxelles non si sarebbe mai potuta immaginare. In questi sei anni di cammino verso la Ue, la Turchia è riuscita a chiudere appena 13 capitoli negoziali su 35. Dei 22 rimanenti, otto sono bloccati dalla Francia e connessi al “nodo Cipro”. L’isola, spaccata in due nel 1974 dall’intervento armato turco è spezzata a metà anche per quanto riguarda il suo destino. La parte greca è membro dell’Unione Europea dal 2004, ma non viene riconosciuta da Ankara, e dii qui il blocco dei capitoli negoziali. Mentre la parte a maggioranza turca, cioè la Repubblica turca di Cipro Nord, viene riconosciuta da Ankara ma non dalla comunità internazionale, soprattutto l’Unione Europea.
Sull’argomento, il mese scorso la Turchia ha fatto capire una volte per tutte che ha poca intenzione di discutere e trattare ancora. Dopo che, per anni, ha proposto una soluzione che mirava alla riunificazione dell’isola. Ora cambia: da metà settembre una nave della Mezzaluna ha iniziato a sondare i fondali del Mediterraneo, dove si troverebbero giacimenti di petrolio e gas naturali per un valore di decine di miliardi di euro.
Le esplorazioni sono condotte in collaborazione con la Repubblica turca di Cipro Nord, parallelamente a quelle portate avanti dalla Repubblica di Cipro in collaborazione con Israele. Le prime si svolgono nel braccio di mare che separa la Turchia dall’isola, le seconde nelle acque a sud della parte greca. Una sfida lanciata da una Turchia che si sente forte della sua economia e che, pur con grossi problemi strutturali (come il disavanzo delle partite correnti), continua a fare registrare tassi di crescita “cinesi”. Non solo: avanza fiera del nuovo ruolo di guida che il premier Recep Tayyip Erdogan sta costruendo nel Mediterraneo sud-orientale.
L’altra parte del Mediterraneo, quella occidentale, in questo momento manda segnali contrastati al Paese e rischia anche il tracollo. Non riconoscendo poi alla Turchia le sue potenzialità, rischia di limitarla. Tutti validi motivi perché la Turchia la giudichi molto meno interessante rispetto a una volta, con il rischio. Però. di fermarsi a metà nella strada verso la piena democratizzazione.