«Prima del 14 gennaio non mi ero mai interessato di politica», racconta Faysal Dahou, candidato del Partito democratico progressista (Pdp) nella circoscrizione di Tunisi 1 che Linkiesta ha incontrato a poche ore dai risultati definitivi delle elezioni. «Ma dopo la caduta di Ben Alì ho deciso di impegnarmi con un partito che negli ultimi sette anni aveva tentato di fare l’opposizione al regime. L’ho fatto più per affezione che per consapevolezza. Il Pdp non è nato dall’oggi al domani, ma ha una storia lunga, pagata con anni di repressione».
Ennahda, il partito di ispirazione islamica, avrà la maggioranza: cosa comporterà rispetto agli equilibri della costituente?
Loro sono contenti, tutti gli altri meno. Ma non vuol dire che per questo il futuro dell’assemblea sia segnato. Ennahda farà subito un accordo con il partito socialista tunisino, l’Ettakatol, che li renderà ancora più forti. Ma anche noi come opposizione faremo delle coalizioni credibili per avere peso nelle decisioni. Si voterà a maggioranza, all’interno dell’assemblea, e ogni punto della costituzione dovrà essere discusso e poi condiviso.
Non si poteva fare prima del voto una coalizione di maggiore peso?
Se non ci si è riusciti è perché c’erano troppe idee represse da 23 lunghi anni di pensiero unico. Ma ci sono dei punti programmatici che accomunano tutta l’opposizione: il lavoro e il rilancio economico del paese.
Anche Ennahda fa cenno a questi punti nel suo programma: ha parlato di misure per una crescita del reddito fino a 10mila dinari tunisini all’anno, equivalenti a quasi 5mila euro, e per la creazione di 600mila nuovi posti di lavoro nei prossimi cinque anni. Dove sta la differenza?
Sono temi trasversali, non c’è nessuno che dica che non vadano creati posti di lavoro o non si debba investire per migliorare l’economia. Le differenze stanno nelle modalità che saranno proposte per raggiungere gli stessi scopi.
Ieri c’è stato un presidio di alcune decine di persone che si sono riunite davanti al centro stampa gridando ai brogli da parte di Ennahda: è un sospetto diffuso?
Se è per questo quando Mouad Gannouchi, fondatore e leader di Ennahda, è andato a votare gli hanno gridato dietro «assassino». Eppure prende la maggioranza. Non si può parlare di irregolarità nel sistema di voto, ma le voci di promesse e regalie sono arrivate anche a noi. D’altra parte chi ha una forte base economica non fa fatica ed affermarsi.
Da dove arrivano i soldi di Ennahda?
Principalmente dall’estero. Dai paesi del Golfo ma anche dall’Iran, che ha tutto l’interesse di foraggiare un partito islamista, specialmente in un momento come questo, visto che con la rivoluzione sono emersi anche nuovi valori più laici. Durante gli anni dell’esilio a Londra Gannouchi è riuscito a tessere ottime relazioni internazionali, che ora sta sfruttando.
Manca poco ai numeri definitivi. Poi a seggi assegnati da dove si partirà?
Dalla memoria di quello che è stato il paese sotto il regime. Quello è il monito per il futuro. Ma sono ottimista, non a caso ho scelto prima ancora di impegnarmi in politica, di non lasciare questo paese e andare a vivere altrove, anche se il tenore di vita è ancora basso, gli stipendi magri. Ma tante cose sono già migliorate nel corso di quest’anno. Basti pensare all’informazione, che prima non esisteva se non schiacciata sulle posizioni governative. Ora che si parla liberamente, si troveranno dei punti di mediazione e la nostra costituzione ne beneficerà.