Berlusconi ha già cominciato la campagna elettorale

Berlusconi ha già cominciato la campagna elettorale

In Italia se ne sono accorti in pochi. Ma il premier Silvio Berlusconi ha dato il via alla sua campagna elettorale. Un po’ in sordina, senza proclami. Un secondo dopo aver promesso le dimissioni al Colle aveva già inaugurato la nuova fase della sua strategia comunicativa. Nel giro di poche ore il Cavaliere ha presentato i quattro argomenti forti della sua corsa alle prossime elezioni. Temi chiari, netti. E chissà, forse sufficienti a convincere quella piccola percentuale di elettori che oggi separa Pd e Pdl.

Il senso dello Stato, anzitutto. La responsabilità che ha spinto Berlusconi a lasciare Palazzo Chigi sarà un dato centrale della campagna pidiellina. Altro che attaccato alla poltrona, il Cavaliere ha abbandonato la presidenza del Consiglio senza nemmeno essere stato sfiduciato dal Parlamento. Non è una banalità. Perché è vero che ieri Montecitorio ha voltato le spalle al governo. E solo 308 deputati hanno approvato il Rendiconto. Ma in tutta la legislatura il premier non ha mai ricevuto una sfiducia formale. La litania è già pronta: «Mi sono fatto da parte per il bene del Paese». E adesso l’opposizione blateri pure di conflitto di interessi. «L’Italia viene prima delle aspirazioni personali». Lo slogan potrebbe essere questo. Magari da abbinare a un nuovo partito con chiari riferimenti patriottici.

L’altra carta da giocare è quella del ricambio generazionale. Anche se da Belpietro ha detto che ci saranno le consultazione, stamattina Berlusconi ha ripetuto che il candidato premier del centrodestra sarà Angelino Alfano, il quarantenne segretario del Pdl. Un giovane. Giovanissimo, considerata l’età dei colleghi di Palazzo. Il Paese è stanco della vecchia politica? Gli italiani vogliono davvero voltare pagina? Il Cavaliere offre agli elettori una faccia non proprio nuova, ma almeno fresca. Il paragone con il centrosinistra è a tutto vantaggio del Pdl. Anche se c’’è già chi dice che si tratti di un modo per bruciarlo. Dall’altra parte i protagonisti che si presenteranno alle elezioni sono sempre i soliti. Gente come Fini e Casini, sull’onda già durante la prima repubblica. Per non parlare di Pier Luigi Bersani, sessant’anni, in politica dai tempi del Partito comunista. L’unico giovane democrat che ha provato ad alzare la testa ha fatto una brutta fine. Si chiama Matteo Renzi, fa il sindaco a Firenze, gli è bastato parlare di rottamazione per inimicarsi la quasi totalità dei dirigenti del partito.

La dinamica delle dimissioni di Berlusconi offre alla sua campagna elettorale un terzo argomento. Il presidente del Consiglio si è accordato con Giorgio Napolitano per farsi da parte solo dopo aver approvato la legge di Stabilità. Il provvedimento che conterrà tutte le misure anticrisi imposte dall’Europa. La decisione non è casuale. Presentarsi agli elettori come l’uomo che ha provato concretamente ad arginare la piena della speculazione rappresenterà un merito indiscutibile. Certo, c’è il rischio che le misure presentate dal governo siano insoddisfacenti. Ma a quel punto il Cavaliere potrà spiegare agli italiani che almeno lui ci ha provato. Ha messo nero su bianco le proposte che riteneva utili. Impopolari forse, ma necessarie. Un governo di centrosinistra riuscirebbe a fare altrettanto? Berlusconi ha dovuto confrontarsi con i continui veti della Lega Nord (non ultimo quello sulle pensioni). Ma su certi temi – dalla previdenza al lavoro – Bersani dovrà tenere a bada alleati molto più scomodi. Nichi Vendola e Antonio Di Pietro, tanto per fare due nomi.

E poi c’è la congiura di Palazzo. L’antico cavallo di battaglia del ribaltone. A mandare a gambe all’aria il governo Berlusconi sono stati i nemici interni. I giuda. Loro sì, interessati solo al proprio tornaconto. Voltafaccia come Gianfranco Fini, che ha abbandonato il Pdl per inseguire i suoi sogni di gloria. Non ultimi gli otto «traditori» che non si sono presentati in aula per votare il Rendiconto. Il Cavaliere sa bene quanto sia nefasto per la propria immagine essere accomunato agli opportunisti del potere. Lo sa perché meno di un anno fa giornali e opinione pubblica gli si rivoltarono contro per aver “convinto” un pugno di esponenti dell’opposizione a seguirlo nella maggioranza. Si era stupito. Aveva persino adottato quel nome così accattivante: «I Responsabili». Ma il maquillage non era riuscito. Agli elettori il cambio di barricata non piace. Oggi i ruoli si sono invertiti. Stavolta il tradito è lui. Abbandonato persino dai forzisti della prima ora. Passati con il nemico in cambio di qualche riconoscimento (dice lui). Forse di una conferma per la prossima legislatura. Di fronte allo «sgomento» e alla «tristezza» che hanno sorpreso ieri il premier, c’è da scommettere che qualcuno lo voterà, anche solo per simpatia o solidarietà. 

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