Appalti e ricche commesse per Enav, l’Ente nazionale di assistenza al volo, e società del gruppo Finmeccanica. L’inchiesta della procura di Roma che ha portato ieri agli arresti domiciliari Guido Pugliesi, amministratore delegato dell’Enav, il carcere per il direttore tecnico di Selex Sistemi Integrati Manlio Fiore e per il commercialista del cosiddetto “gruppo Mokbel” Marco Iannilli, arriva ad una svolta. E aggiunge un altro “pezzo” al puzzle delle accuse e delle inchieste per il colosso delle difesa Finmeccanica. Le indagini intorno agli agli appalti Enav toccano infatti le commesse affidate alla Selex (controllata da Finmeccanica) guidata da Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, ed entrambi risultano indagati.
Secondo l’accusa i lavori assegnati a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc Trade, Techno Sky e altre hanno determinato una sovrafatturazione dei costi e la creazione di un surplus, poi redistribuito tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav. Questa pista era emersa nelle indagini della procura di Roma sulle tracce dei fondi neri della holding pubblica controllata dal ministero dell’Èconomia. Per capire questo intreccio tra politica, affari e aziende di Stato occorre fare un passo indietro e ricostruire la «relazioni pericolose» del presidente di Finmeccanica Guarguaglini con Lorenzo Cola, il faccendiere della banda di Gennaro Mokbel.
L’8 luglio 2010 viene arrestato Cola. L’accusa è pesante: riciclaggio di 8 milioni e 300 mila euro serviti ad acquistare le quote della società Digint, grazie alla quale con il socio Gennaro Mokbel (uomo d’affari romano con frequentazioni nella destra estrema) speravano di utilizzare la società specializzata in consulenza informatica e intercettazioni per ottenere appalti nel settore militare. Per poi rivendere ad un prezzo «di gran lunga maggiorato rispetto all’originario impiego di risorse finanziarie», come si legge nella richiesta della Procura di Roma di giudizio immediato per Cola. Ecco spiegata negli atti della Procura l’accusa: Marco Toseroni, braccio destro del senatore Pdl Nicola Di Girolamo, e Di Girolamo stesso su incarico di Mokbel, prendevano contatti con Marco Iannilli e Lorenzo Cola con i quali concordavano l’operazione societaria di rilievo del 51% delle quote della società Digint (partecipata al 49% da Finmeccanica) mediante il pagamento di 8 milioni e 300 mila euro circa versati su conti esteri a Iannilli e Cola.
La Digint viene dunque acquistata per il 51% da Mokbel e soci ad un prezzo esorbitante rispetto al valore di mercato: otto milioni e 300 mila euro (dei quali un milione e duecento mila euro “offerti” dallo stesso Di Girolamo). Perché? Il progetto è di ricavare, in tre-quattro anni, 500 milioni dalla cessione a Finmeccanica. E, secondo Di Girolamo, in questo modo Finmeccanica avrebbe creato un fondo nero a Singapore e Hong Kong per distribuire tangenti e ottenere appalti. In cambio Gennaro Mokbel e i suoi avrebbero avuto libero accesso alle forniture di armamenti prodotti dalle aziende del gruppo, che avrebbero provveduto a rivendere sul mercato asiatico portando a termine la seconda delle operazioni in programma: l’apertura di una società nella repubblica di Singapore. Che sarebbe diventata la centrale di smistamento per forniture di armamenti che avrebbero alimentato i tantissimi conflitti in corso nel continente asiatico.
L’operazione, però, non va a buon fine: dopo molti mesi dall’acquisto della Digint, Finmeccanica non mantiene i patti e le forniture promesse non arrivano. E con l’arresto di Cola inizia il calvario anche per Guarguaglini, scoprendo il vaso di pandora del presidente. Il faccendiere Lorenzo Cola è considerato uomo di fiducia di Guarguaglini e nelle indagini si scopre che i vertici di Piazza Montegrappa sapevano dell’operazione “Digint”, ne approvarono i termini finanziari, chiesero che la partecipazione dell’azienda fosse “schermata” da una società fiduciaria lussemburghese, la Finacial Lincoln sa, una scatola vuota che avrebbe dovuto nascondere i nomi dei soci di quell’avventura – la banda di Cola e Mokbel – e che avrebbe consentito la costituzione di una provvigione in nero.
Guarguaglini prova scaricare Cola nel suo interrogatorio davanti ai pm (siamo a luglio 2010) dicendo che è uno dei tanti consulenti e «dell’operazione Digint – dice il presidente – mi sono occupato solo delle linee generali. So che aveva avuto una valutazione positiva da Claudio Chierici, direttore tecnico di Finmeccanica. Quanto a Cola, l’ho conosciuto alla fine del 2006, inizi 2007 e l’ho frequentato poco. Non conosco Mokbel, né Toseroni, né Di Girolamo».
Purtroppo per Guarguaglini lo smentirà anche il suo direttore generale, Giorgio Zappa, interrogato il giorno successivo, dice di Cola: «Lo conobbi nel 2005, un anno dopo il mio arrivo in Finmeccanica. Frequentava il settimo piano di piazza Montegrappa (gli uffici della presidenza). Mi disse che arrivava da “Selex” e che conosceva il Presidente e la moglie da circa, 7, 8 anni». Guarguaglini smentito da Zappa? Di sicuro in un dialogo intercettato dagli inquirenti, Mokbel e i suoi parlano di un incontro con rappresentanti di Finmeccanica e di business futuri. Secondo gli inquirenti, in effetti, Mokbel e compagni attraverso Finmeccanica non solo volevano riciclare denaro sporco, ma costituire una joint venture per lanciarsi su altri business.
La Digint è solo il punto di partenza, una «scatola vuota» da riempire di contratti, in modo da lavorare direttamente con il colosso militare. Affari a tutto tondo per la banda di Cola: Mokbel e Di Girolamo sono infatti il punto di collegamento con un’altra inchiesta della Procura di Roma, la truffa delle fatturazioni di Fastweb e Telecom Italia Sparkle. Secondo la magistratura i soldi necessari all’acquisto della Digint sono infatti «parte dei proventi da attività delittuose, ed in particolare i proventi dell’attività di fatturazione per operazioni inesistenti nell’ambito dell’associazione per delinquere di carattere transnazionale» riferibile a Gennaro Mokbel.
L’inchiesta che vede protagonista l’ex amministratore delegato di Fastweb Silvio Scaglia esplode a febbraio 2010 e svela una gigantesca rete internazionale di riciclaggio legata alla ‘ndrangheta. I fatti sono stati commessi tra il 2003 e il 2007 e, secondo gli inquirenti, le operazioni sarebbero state realizzate con la compiacenza degli ex vertici di Fastweb e la Sparkle (azienda controllata da Telecom Italia) attraverso società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese e off-shore controllate dall’organizzazione che aveva ideato la truffa nei confronti del fisco italiano. In particolare, il riciclaggio veniva realizzato attraverso la falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici inesistenti, venduti mediante due successive operazioni commerciali a Fastweb e Telecom Italia Sparkle dalle società italiane Cmc, Web Wizzard, I-Globe e Planetarium che evadevano il pagamento dell’Iva trasferendoli poi all’estero.
Un giro di false fatturazioni da 2 miliardi di euro con un danno per oltre 365 milioni dal mancato versamento dell’Iva, attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Un’associazione per delinquere «transnazionale» composta da supermanager e imprenditori della telefonia che, sempre secondo l’accusa, non disdegnavano di mettersi in affari con uomini della criminalità organizzata, per coniugare il riciclaggio del denaro sporco, la costituzione di «fondi neri» e la crescita esponenziale delle proprie ricchezze personali.
A capo di questa operazione e sponsor dell’elezione del parlamentare Di Girolamo, sarebbe stato l’imprenditore romano Gennaro Mokbel, da cui sono partite le indagini, considerato il trait d’union tra le società di telecomunicazioni e gli interessi della ‘ndrangheta. Il 23 febbraio 2010 arriva l’epilogo per Nicola di Girolamo: con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illeciti, nonché la violazione della legge elettorale con l’aggravante mafiosa viene richiesto l’arresto del senatore. Dopo 8 giorni il Senato accoglie le sue dimissioni, e il conseguente arresto, con 259 voti favorevoli, 16 contrari e 12 astensioni. Di Girolamo in aula ha rivendicato, nonostante le accuse che gli si rivolgono, «di non avere portato l’indegnità della ’ndrangheta in quest’aula».
A luglio 2011 è stato condannato, con patteggiamento, a cinque anni di reclusione e alla restituzione di oltre 4 milioni di euro, tra liquidi, beni immobili, quote di società e auto di lusso. Pochi mesi prima anche Lorenzo Cola patteggia la pena a tre anni e quattro mesi e accetta la confisca di quattro milioni di euro e ammette le sue responsabilità. Per una “costola” di quella indagine principale per maxi-riciclaggio Mokbel, Marco Iannilli, Nicola Di Girolamo e Marco Toseroni si profila la richiesta di rinvio a giudizio per i reati di concorso nell’impiego di denaro di provenienza illecita e violazione della legge sul crimine organizzato transnazionale. Giorgio Zappa ad aprile 2011 al rinnovo del consiglio di amministrazione di Finmeccanica viene scaricato: ha pesato la sua dichiarazione ai pm di Roma?