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Il 18 novembre del 2007 Berlusconi salì sul predellino

18 novembre 2007, domenica. Ore 18, a Milano, pieno centro, piazza San Babila, un signore di 71 anni, odiatissimo ma a suo modo rispettabile, sale sul predellino di un’automobile e arringa i presenti: «Oggi nasce ufficialmente un nuovo grande partito del popolo delle libertà: il partito del popolo italiano. Anche Forza Italia si scioglierà in questo movimento. Invitiamo tutti a venire con noi contro i parrucconi della politica (come se lui facesse altro, ndr)in un nuovo grande partito del popolo». Passerà alla storia come il discorso del predellino.

È una domenica d’autunno. L’Italia vive uno strano periodo, politicamente. La risicatissima maggioranza del governo Prodi sembra non offrire segnali di cedimento e anzi a entrare in crisi è il centrodestra. Berlusconi ha annunciato la caduta dell’esecutivo per il 14 novembre, giorno della Finanziaria. Ma ha fatto i conti senza l’oste Romano Prodi.

La tensione nel centrodestra è altissima. Gianfranco Fini, leader di Alleanza nazionale e principale alleato del Cavaliere, becca il leader dell’opposizione sul Corriere della Sera: «Anziché tirare le cuoia, come assicurato da Berlusconi, Prodi tira a campare. Il governo cadrà un secondo dopo che si avrà certezza che dopo Prodi non si torni subito alle urne con l’attuale legge elettorale». Due giorni dopo rincara la dose su Repubblica: «O il centrodestra è in grado di ridarsi una missione, di rioffrire un progetto al Paese, oppure si prende atto che la coalizione non c’è più e ognuno va per la sua strada». Il nodo è, appunto, il partito unico. Nello stesso giorno, ad Assisi, a un convegno organizzato da An la platea fischia il forzista Fabrizio Cicchitto che reagisce dichiarando: «Non so dove volete arrivare. Non andate da nessuna parte mettendo in moto piccoli plotoni di esecuzione che in nome del partito unico tirano randellate a Berlusconi».

Lui, il Cavaliere, dato ovviamente per spacciato dai sopraffini puristi della politica, risponde a modo suo. Nel ’93 fece ridere mezza Italia con un messaggio videoregistrato; quattordici anni dopo fa sghignazzare i politologi salendo sul predellino di un’automobile. In pochi, ovviamente, gli concedono credito. Casini e Fini parlano di colpo di teatro. Lui, il giorno dopo, riempie il Tempio di Adriano, decreta la fine di Forza Italia e saluta la nascita di un nuovo soggetto politico. «Si chiamerà Partito della libertà o Popolo della libertà».

Le cose sono note. Berlusconi tira dritto per la sua strada. Il governo Prodi nel frattempo cade, il Pd si affida a Walter Veltroni e all’ultimo istante Fini cambia idea e con un doppio salto carpiato si pone al fianco del leader che anni addietro lo sdoganò. In questo il laeder di An vede lungo e capisce che se non si accoda a Berlusconi gran parte del partito non lo seguirà. Come poi la storia dimostrerà. Qualche settimana più tardi, quel partito nato in una piazza, con un signore salito su un’automobile, vincerà le elezioni e diverrà per la terza volta presidente del Consiglio. 

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