Il contagio arriva in Francia, e l’euro ora rischia davvero

Il contagio arriva in Francia, e l’euro ora rischia davvero

Dopo l’Italia e la Spagna, tocca alla Francia. E poi, l’intera eurozona. L’attenzione dei mercati finanziari si sta spostando su Parigi. Il deragliamento del fondo europeo European financial stability facility (Efsf), quello degli eurobond e di far diventare prestatore di ultima istanza la Banca centrale europea (Bce) stanno allontanando l’idea che la crisi finanziaria possa essere arginata. Ora il rischio più grande riguarda la Francia. La perdita del rating AAA potrebbe essere un duro colpo per la stabilità della zona euro. Ieri l’agenzia di rating Moody’s ha spiegato che il giudizio sul debito sovrano di Parigi è vicino a essere abbassato. Intanto, come riporta in esclusiva l’agenzia Dow Jones, uno dei principali player internazionali del mercato valutario, CLS, sta testando i propri sistemi per un possibile collasso dell’euro. Contatta da Linkiesta, CLS ha confermato la notizia, declinando ogni altro commento.

Il deterioramento della fiducia che gli investitori hanno in Parigi sta aumentando di giorno in giorno. Questa si sta riflettendo soprattutto sui mercati secondari. Il mercato obbligazionario ha visto un innalzamento dei rendimenti dei titoli di Stato francesi con scadenza a dieci anni. Solo oggi gli Oat decennali sfiorato un tasso d’interesse del 3,6%, poco distante dai picchi dello scorso aprile. Inoltre, nella seduta odierna lo spread fra titoli di Stato francesi decennali e Bund di stessa maturity ha registrato un incremento, dopo le flessioni degli ultimi giorni. Da inizio anno a oggi il differenziale di rendimento è aumentato del 305%, contando la chiusura di oggi, a quota 161 punti base. Lo spread massimo è stato toccato a 192 punti e la curva, senza l’intervento della Bce tramite il Securities markets programme (Smp), sarebbe potuta essere ancora peggiore. Finora gli acquisti di titoli di Stato francesi da parte della Bce sono stati molto modesti, ma questo valore è destinato a essere incrementato nel caso peggiori la situazione.

A preoccupare ancora di più è il possibile downgrade della Francia. Nelle sale operative si tratta di un evento considerato probabile. A poco sarebbe servita la correzione di bilancio che l’Eliseo ha messo in campo nelle ultime settimane, circa 8 miliardi di euro. Il premier francese François Fillon ha già spiegato che il Paese «attraverserà un periodo molto difficile, complice la crisi dell’eurozona». Ma non solo. Oggi ha spiegato di ritenere che «il periodo fra il 2008 e 2012 sarà ricordato come quello che ha posto fine alla supremazia dell’Occidente». Difficile pensare il contrario, considerate le notizie che arrivano dall’altra parte dell’oceano Atlantico.

Il contagio della crisi dell’eurodebito sta arrivando anche a Parigi e, con il completo disaccordo di Berlino su eurobond e mandato della Banca centrale europea, le istituzioni finanziarie si stanno attrezzando. Uno dei più importanti movimenti lo sta facendo, come riporta Dow Jones Newswires, CLS. La società newyorkese è la prima al mondo come controparte negli scambi forex. In altre parole, cura tutto il processo di marginazione, liquidazione e controllo delle transazioni sul mercato FX. Secondo l’agenzia di stampa newyorkese CLS sta compiendo diversi stress test per capire in che modo potrebbe esserci un universo finanziario senza euro. La società starebbe cercando di capire in che modo potrebbe essere influenzato il mercato valutario dall’eventuale passaggio da una valuta a un’altra. Non deve stupire questa serie di test. È normale valutare tutti gli scenari possibili, compresi quelli più estremi, di fronte a così tanta incertezza. La società infatti cura il 70% degli scambi presenti sul mercato valutario, per un totale di 17 monete, ed è utilizzata per mitigare il rischio di controparte che si ha operando nel forex.

Non è la prima volta che si parla apertamente di euro break-up, collasso della moneta unica. Una delle ultime banche d’investimento a farlo è stata la giapponese Nomura che, in un lungo report dello scorso venerdì, aveva preso in esame costi e benefici, legali ed economici, di una fuoriuscita di uno Stato membro dall’eurozona. Lo stesso si può dire per Credit Suisse e per Morgan Stanley. I principali investitori istituzionali hanno infatti già valutato i diversi scenari che si porranno davanti all’eurozona nei prossimi anni, compreso quello di un eventuale rottura della zona euro. Quella che fino ad alcuni mesi fa era un’opzione «del tutto irrealizzabile», come aveva spiegato Morgan Stanley, sta diventando giorno dopo giorno più verosimile.

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