Il welfare ai tempi della crisi, Milano e Torino cercano nuove strade

Il welfare ai tempi della crisi, Milano e Torino cercano nuove strade

Quaranta miliardi in meno per l’assistenza a bambini, anziani e disabili. A tanto ammontano i tagli previsti per i prossimi tre anni dalla riforma fiscale e assistenziale dell’estate 2011. La crisi imperversa e per far quadrare i conti non si guarda in faccia a nessuno. Spazzato via il fondo per le non autosufficienze (le risorse che garantiscono prestazioni assistenziali a persone disabili) ed è decisamente ridimensionato il fondo per le politiche sociali, che finanzia interventi di sostegno a persone e famiglie. Il primo passa da uno stanziamento di 400 milioni nel 2010 a zero euro nel 2011, mentre le risorse per le politiche sociali dai 435,3 milioni di euro del 2010 scendono a 75,3 milioni nel 2011 per arrivare a 44,6 milioni nel 2013. Ma cosa comporteranno concretamente queste drastiche riduzioni di budget?

«A causa dei tagli agli enti locali una persona su tre perderà i servizi sociali – spiega Pietro Barbieri, presidente nazionale della Federazione italiana per il superamento dell’handicap – E con la riforma assistenziale un’altra persona su tre perderà l’indennità di accompagnamento». Ad essere travolti molti servizi di competenza dei Comuni come asili nido, assistenza domiciliare, supporti all’autonomia personale, assegni di cura, tutti destinati a diminuire fortemente. Si stima che, con diversa intensità, saranno coinvolte almeno 10 milioni di famiglie su un totale di 24 milioni. Il risultato? Famiglie costrette ad ammortizzare da sole le carenze dell’assistenza sociale e fine del sistema di welfare che abbiamo conosciuto fino ad ora: dalla culla alla tomba. In una situazione così compromessa il sistema assistenziale non può pensare di continuare a basarsi semplicemente sulle risorse provenienti da Stato, Regioni e Comuni.

Sono per prime le grandi città a muoversi alla ricerca di nuove strade, che permettano di integrare sempre più l’azione del pubblico con quella del cosiddetto terzo settore. Quest’ultimo raccoglie al suo interno associazioni, fondazioni, imprese sociali e cooperative. Sono tutte imprese no profit: producono utili, ma li reinvestono totalmente nell’impresa stessa o in azioni a favore del territorio. Attualmente a Milano l’erogazione di molti servizi è garantita proprio dal lavoro di cooperative e imprese sociali. Il loro funzionamento si basa sul sistema dell’accreditamento: questo prevede che le organizzazioni ottengano un riconoscimento del Comune, l’accredito appunto, che permetterà poi loro di ricevere una retta a sostegno delle proprie attività. La retta è composta da una parte socio-assistenziale finanziata dal Municipio e da una parte socio-sanitaria, il cui contributo è regionale.

Per avere un’idea dell’ammontare delle rette prendiamo ad esempio il caso di un disabile che frequenta un centro diurno, dove si svolgono le attività riabilitative. Palazzo Marino stanzia per ogni paziente una quota di 45 euro al giorno, mentre la Regione fornisce un contributo che varia in base alla gravità dell’handicap del soggetto, con un tetto massimo di 80/90 euro al giorno. Con i nuovi tagli trovare le risorse necessarie sarà sempre più difficile e non sarebbe assurdo immaginare soluzioni drastiche, come quelle adottate ad esempio nel 2005, quando la Regione Lombardia stabilì che al compimento del diciottesimo anno di età i ragazzi disabili non avrebbero più avuto diritto alla fisioterapia. «Ciò che occorrerebbe per razionalizzare al meglio la gestione delle scarse risorse è una vera collaborazione fra pubblico e privato sociale», spiega Umberto Zandrini, presidente del consorzio solidarietà in rete di Milano (Sir).

Al momento il terzo settore opera in una posizione di subordinazione rispetto al pubblico: l’amministrazione emette un bando stabilendo i criteri, cooperative e aziende sociali vi partecipano e il vincitore si occupa poi di erogare il servizio. Quello che il terzo settore chiede è di diventare promotore delle politiche sociali e non solo semplice esecutore, facilitando l’introduzione di nuovi modelli. In un Paese come il nostro, secondo solo alla Germania per indice di vecchiaia, la gestione della popolazione anziana rappresenta una delle principali fonti di spesa pubblica. In Italia la vita media è di oltre 84 anni per le donne e di quasi 79 anni per gli uomini. Al primo gennaio 2010, secondo dati Istat, si contavano 144 anziani ogni 100 giovani. Il costo sociale dell’assistenza in case di riposo è altissimo e non più sostenibile in un momento di grave difficoltà per le casse pubbliche. La risposta a questo problema potrebbe essere data dall’assistenza domiciliare attraverso le badanti, metodo già largamente diffuso, ma spesso soggetto al mercato nero.

Da qui la proposta: se si utilizzasse il fondo per le politiche sociali per defiscalizzare chi mette in regola le badanti (spesso migranti) si otterrebbe un duplice risultato: da una parte far pagare le tasse alle badanti, ottenendo un gettito dai loro contributi, dall’altra si riqualificherebbe una professione, stimolando il mercato del lavoro. Le idee e le proposte non mancano: «Si potrebbero creare dei piccoli aggregati di anziani – propone il presidente di Sir- o trasferire un anziano rimasto solo in una casa in un appartamento più piccolo, in modo da potere assegnare quella residenza a un’altra famiglia».

Le amministrazioni comunali cercano da anni di innovare. A Torino dal 2006 è attivo un doppio sistema di accreditamento: uno destinato a selezionare aziende del terzo settore, per i servizi di assistenza specialistici, uno destinato alle agenzie del lavoro, che possono fornire badanti per quegli anziani che non hanno bisogno di assistenza specializzata. La collaborazione fra Comune, terzo settore e agenzie del lavoro permette di arrivare a più persone ma con minori spese. «Le badanti – spiega Angelo Perez, presidente del consorzio Kairos di Torino – vengono assunte dalle agenzie del lavoro e non dalle cooperative stesse. Questo permette di stipulare un contratto da colf, meno oneroso rispetto a quello di cui beneficia un operatore socio-sanitario specializzato».

È una sfida per l’evoluzione del welfare. «In una fase difficile come quella che stiamo vivendo – spiega Pierfrancesco Majorino, assessore alla Politiche Sociali del Comune di Milano – dobbiamo innovare non solo perché ci sono meno soldi, ma perché la precarietà riguarda fasce sempre più ampie della popolazione». Che significa più spese per il Comune. A Milano, secondo il rapporto Caritas, sono 108.000 le famiglie che vivono in una condizione di povertà relativa. Condivisione e inclusione sono le idee che guidano il nascente progetto di Molino San Gregorio. Siamo alle porte di Milano, nel parco Lambro, la più grande area verde della città. Qui un tempo un sistema di cascine regolava la coltivazione dei campi. Del vecchio “polo agricolo” rimane ben poco: San Gregorio Vecchio è l’unica azienda agricola ancora in attività, mentre le altre cascine oggi ospitano associazioni attive nel sociale.

Il restauro di Molino San Gregorio sarà diverso rispetto a quello delle altre cascine: il recupero infatti non sarà solo strutturale, ma anche funzionale per restituire così alla città parte del suo passato agricolo. All’interno della cascina si sperimenteranno pratiche per una produzione agricola di qualità, i cui prodotti saranno poi venduti tramite la realizzazione di un mercato aperto al pubblico due giorni a settimana. Oltre a riportare in vita il mulino, il progetto mira a rivitalizzare una zona periferica della città e a renderla un punto di incontro per i giovani. La cascina accoglierà infatti tre appartamenti: due saranno destinati a ragazzi con problemi psicosociali e familiari, mentre il terzo sarà dato in affitto a basso prezzo a studenti e giovani lavoratori che vogliano partecipare attivamente alle attività organizzate.

Questo è solo un esempio delle occasioni di contatto fra persone con difficoltà e cittadini che Molino San Gregorio si propone di favorire. Al suo interno sarà infatti aperto un ristorante per assaggiare i prodotti del mulino stesso. Gli spazi della cascina verranno poi utilizzati per proporre attività di carattere culturale e sociale, come mostre e concerti, ed è prevista l’attivazione di uno spazio polifunzionale. La consistenza di beni pubblici che potrebbero ospitare iniziative di questo genere è in crescita, ciò che occorre è che gli “attori” privati del sociale riescano a sfruttare appieno una risorsa in gran parte sottoutilizzata, facendone una leva della propria politica di investimento. Milano è pronta a muoversi in questa direzione: i lavori di restauro di Molino San Gregorio partiranno in primavera e nel giro di un anno e mezzo tutto sarà pronto per l’avvio del progetto.
 

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