Palazzo Madama ha reso noto che il Consiglio di Presidenza del Senato, presieduto dal presidente Renato Schifani, ha deliberato all’unanimità il superamento dell’attuale sistema degli assegni vitalizi, a favore di logiche di maturazione di un diritto pensionistico parametrato ai contributi effettivamente versati sulle retribuzioni percepite.
Gioia e tripudio per l’ormai prossima abolizione di uno dei privilegi più odiosi e detestabili tra i numerosi di cui beneficiano i nostri senatori e i nostri deputati?
Fino a un certo punto. In primo luogo, perché si tratta per ora di un annuncio e la fiducia nella consequenzialità tra parole e opere, in questo Paese, è ormai a zero spaccato.
Ancor più, però, perché la nota precisa che questa abrogazione si verificherà “a partire dalla prossima legislatura per i nuovi eletti”. La solita, maledetta logica del diritto acquisito. Abbiamo sottolineato più volte come sia proprio questa logica l’architrave dei mali del Paese. Non solo quando si fanno riforme degne di questo nome, ma persino quando si aboliscono veri e propri privilegi, si tira una riga e “chi c’è, c’è”.
Alla bisogna, trincerandosi dietro la Costituzione, nel senso che, come facevano osservare anche ieri alcuni senatori, i diritti acquisiti sarebbero costituzionalmente garantiti e, come tali, intoccabili.
Francamente c’e’ da dubitare che la nostra Costituzione non lasci spazio a interpretazioni che, sulla base di un criterio di ragionevolezza qualitativa e quantitativa, consenta di distinguere tra ciò che può costituire un vero e proprio diritto il cui disconoscimento può minare la dignità di un cittadino e ciò che sconfina nel puro arbitrio legislativo altrettanto arbitrariamente ritirabile in qualsiasi momento, quando si deve prendere atto che, se la festa e’ finita per chi verra’, non può che finire anche per chi già c’era e può dirsi fortunato di averne sin lì beneficiato.
E anche ove questo spazio interpretativo non dovesse esservi, secondo l’opinione di una Corte costituzionale che, anagrafe alla mano, su temi come questo, e’ da sempre meritevole di qualche legittimo sospetto di conflitto di interessi con riguardo alla totalità dei suoi componenti, ebbene: si cambi la Costituzione e subito.
Difficile infatti pensare ad attentato più grande alla democrazia di un Paese di un impianto costituzionale che, suo malgrado, avallasse logiche di cittadinanza fondate su padri di serie A, figli di serie B e, tra un po’, nipoti di serie C.
Per rilanciare il Paese servono riforme, sacrifici e abolizione di privilegi.
Pensare di poter riuscire a gettare le basi di questo rilancio ponendo in essere riforme che riguardino solo il futuro, chiedendo sacrifici solo a chi ancora non ha messo al sicuro il suo diritto acquisito e mantenendo in essere tutti i privilegi di cui qualcuno gia’ gode o potrà godere, significa non avere realmente chiaro come sia proprio il passato, con la sua insostenibilità, a precluderci una prospettiva di futuro.
Un passato che trova la propria esteriorizzazione e quantificazione finanziaria nella montagna di debito pubblico che ci sta tirando a fondo. Un passato con il quale dobbiamo rassegnarci a fare i conti, riscrivendone oggi per allora alcune pagine, in quelle parti in cui diritti irrinunciabili e privilegi rinunciabilissimi si confondono tra le righe.
Diversamente, se davvero vogliamo illuderci che tutto possa restare così com’e’ e possa essere sufficiente tirare una riga e girare pagina, sentendoci gia’ bravi e illuminati per questo, l’unica parola della storia che potremo scrivere su quella nuova pagina sarà, mestamente, “Fine”.
*direttore di Eutekne.info