Un passo indietro. Dopo aver rifiutato l’aiuto del fondo monetario internazionale l’Ungheria ci ripensa e torna a bussare alla porta dell’organizzazione con sede a Washington. Solo diciotto mesi fa infatti, Budapest aveva orgogliosamente rifiutato di ricevere finanziamenti dal fondo guidato da Christine Lagarde, e fino a mercoledì il governo guidato dal partito conservatore del Fidesz aveva dichiarato di non avere intenzione di rivolgersi al Fmi.
L’aggravarsi della situazione di giovedì, con la forte pressione sul fiorino ungherese e i crescenti costi per il credito, hanno però portato l’esecutivo a un deciso cambio di strategia. Le agenzie di rating Fitch e Standard & Poor’s avevano inserito il Paese fra quelli a più alto rischio in termini di investment grade.
Neel novembre 2008 l’Ungheria è stata il primo Paese dell’Ue a beneficiare di un prestito Fmi, la cui ultima tranche è stata versata un anno dopo. Arrivato al potere nel 2010, l’attuale premier Viktor Orban si era rifiutato di chiedere nuove linee di credito, per evitare di subire i diktat di Fmi e Bce, che gli chiedevano maggiore rigore nella gestione della finanza pubblica. Temendo di erodere il consenso ottenuto dal suo governo, Orban si era opposto e aveva così “salutato” il Fondo monetario internazionale, sostenendo che il suo Paese era in grado di cavarsela da solo. Pare che i fatti gli stiano dando torto.
Il caso ungherese è particolarmente allarmante: benché altre nazioni dell’Europa centrale e dell’est avessero già chiesto aiuto al fondo monetario internazionale per affrontare la crisi del 2008-2009, l’Ungheria è però il primo Paese della CEE a chiedere il sostegno del Fmi per reagire al contagio della crisi dell’eurozona. Le prospettive non sono delle migliori e si teme che presto anche altri paesi del centro Europa e non solo potrebbero avere bisogno di finanziamenti.
L’intervento che si prospetta ora per sostenere il Paese rappresenta «un nuovo tipo di cooperazione», come hanno tenuto a precisare dal ministero dell’Economia. Non si tratterebbe di un prestito vero e proprio, ma di un contratto di assicurazione per accrescere la sicurezza degli investitori nel Paese. In questo modo il debito pubblico non aumenterebbe, perché si tratterebbe di una sorta di garanzia e non di un credito vero e proprio. L’Ungheria quindi potrebbe partecipare alla cosiddetta “precautionary liquidity line” (PLL), “polizza” che mira a proteggere Paesi che si trovano vicini all’area di contagio dell’Eurozona, e che quindi potrebbero subire uno shock dall’aggravarsi delle condizioni economiche nei Paesi vicini. Il PLL prevede una rapida erogazione della durata di sei mesi. L’intervento immediato del PLL permette quindi di garantire un sostegno efficace e meno oneroso di quello che il fondo si troverebbe invece a dover stanziare per soccorrere un paese membro in bancarotta. Uno smacco non da poco per l’orgoglioso premier Orban, che nell’estate 2010 pensava di essere immune dalla crisi del debito sovrano europeo.