Riforme? Dieci proposte a costo zero per «rivoluzionare» il Paese

Riforme? Dieci proposte a costo zero per «rivoluzionare» il Paese

immigrazione

Il capitale umano che arriva da noi attraverso l’immigrazione è una risorsa troppo importante per essere gestita in questo modo. Occorre investire nell’integrazione degli immigrati riducendo al contempo i costi per chi li accoglie. Le nostre politiche dell’immigrazione dovrebbero tenere conto di questi vantaggi legati all’immigrazione, come dei fattori che spingono tante persone a lasciare il paese in cui sono nate, abbandonando pure le loro famiglie. Anche in periodi di forte incertezza politica (il caso attualmente di molti paesi del Nordafrica), la grande maggioranza degli emigrati non sono perseguitati politici, ma persone in cerca di lavoro e di prospettive economiche migliori. La nostra politica nei loro confronti è, invece, la stessa e resta indifferenziata. Guardiamo solo ai costi dell’immigrazione e cerchiamo di minimizzare i flussi di qualsiasi tipo.

università

La seconda riforma affronta la transizione tra scuola e lavoro, cerca di prosciugare il bacino immenso di giovani che oggi in Italia non sono né al lavoro né impegnati in un corso di studi e si basa su due cardini fondamentali: il contratto unico a tutele progressive e l’apprendistato universitario. Il rapporto tra università ed entrata nel lavoro è oggi intrappolato in una specie di circolo vizioso. Il sistema universitario è spesso accusato di preparare studenti poco adatti a entrare nel mondo del lavoro. Le imprese, a loro volta, sono accusate di non valorizzare le competenze scolastiche apprese all’università. Le indagini campionarie rivelano che in Italia il cosiddetto mismatch, la mancata corrispondenza fra le qualifiche acquisite nel corso di studio e quelle richieste dalle imprese, è nettamente più alto che negli altri paesi europei, a eccezione del Portogallo.

lavoro

La terza riforma riguarda la contrattazione salariale e l’introduzione di un salario minimo. Può servire anch’essa a migliorare l’utilizzo del capitale umano e a evitare forti emorragie occupazionali durante le recessioni. Nel riformare la contrattazione è fondamentale affrontare il problema delle rappresentanze sindacali. Si può fare molto a partire dall’accordo raggiunto a fine giugno 2011 da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Servirà a migliorare la produttività, ad aumentare il lavoro nel Mezzogiorno e ad attrarre più investitori verso il nostro paese.

decentramento

La quarta riforma riguarda la macchina dello Stato e gli incentivi dei dipendenti pubblici. Si tratta di installare un nuovo motore per la macchina dello Stato incentivando comportamenti virtuosi nel pubblico impiego, premiando le amministrazioni (piuttosto che i singoli), anziché introdurre nuove regole cervellotiche quanto inutili come fatto sin qui. Per tornare a crescere ci vuole un’amministrazione pubblica più efficiente. Il punto debole della riforma Brunetta (e della stessa riforma Gelmini dell’università) è l’impianto centralizzatore, in cui si vuole stabilire tutto per legge e si deresponsabilizzano i dirigenti pubblici, trasformati in semplici esecutori di decisioni prese da autorità terze o tribunali. Riteniamo che nel pubblico impiego si debba adottare una filosofia completamente diversa, basata sugli incentivi alle amministrazioni decentrate.

crescita

La quinta riforma guarda al lavoro autonomo e, in particolare, agli ordini professionali. Si tratta di avere professionisti più liberi e ordini trasparenti: sono tanti piccoli cambiamenti di regole che, in sé, possono apparire insignificanti e di scarso impatto sulla crescita, ma che in realtà, nel loro insieme, possono essere dirompenti contro il conservatorismo di chi ha in mano le leve del potere ai vari livelli e raccoglie una fetta consistente del nostro capitale umano.

famiglia

La sesta riforma serve a incoraggiare il lavoro di più persone nella stessa famiglia, rendendole meno vulnerabili a eventi avversi e attivando il capitale umano oggi largamente inutilizzato delle donne. È una miniriforma fiscale che trasforma le detrazioni per coniugi e gli altri familiari a carico in sussidi condizionati all’impiego.  Si tratta di destinare a miglior causa i circa quattro miliardi spesi ogni anno per scoraggiare il lavoro soprattutto delle donne, per spingerle a stare a casa. Queste risorse andrebbero destinate a sussidi condizionati all’impiego che aumentino i
redditi di famiglie poco abbienti in cui entrambi i membri della coppia lavorano. Gli esercizi che simulano gli effetti di questa riforma sono molto incoraggianti.

pensioni

La settima riforma si rivolge al sistema pensionistico e prevede l’estensione a tutti delle regole del metodo contributivo nel determinare l’età di pensionamento, nonché le riduzioni e gli incrementi delle pensioni associati a un ritiro dalla vita lavorativa prima o dopo aver raggiunto i 65 anni di età. Aumenterà il lavoro di giovani e anziani e darà alle famiglie maggiori opportunità di ricostruire, prolungando la vita lavorativa, i patrimoni intaccati dalla crisi. Completando la transizione al sistema contributivo potremo finalmente scrivere la parola fine sulle microriforme delle pensioni che continuano a turbare i sonni degli italiani.

credito

L’ottava riforma si colloca all’intersezione fra mercato del lavoro e mercati finanziari. Riguarda l’accesso al credito per chi vuole crescere, per le imprese che vogliono diventare più grandi, e richiede di procedere su piani diversi: la riforma della legge sull’usura, il superamento delle interconnessioni presenti a vari livelli nel nostro sistema di corporate governance, una authority per le fondazioni e la separazione fra banche e società di gestione del risparmio. Le riforme sin qui elencate avranno effetti sulla crescita nel corso del tempo, cambiando gli incentivi di chi lavora e produce. Perché questo processo sia più rapido possibile, bisogna avere istituzioni che rendano il cambiamento irreversibile, inducendo modifiche nelle norme sociali, nel modo in cui le persone che devono pianificare la loro vita lavorativa reagiscono ai tanti shock che colpiscono il mercato del lavoro e le economie avanzate.

politica

Proponiamo di avere meno politici sia a livello nazionale, sia locale, per sceglierli meglio. Riteniamo utile anche impedire ai politici di cumulare i compensi da parlamentari con quelli di altre attività e di modificare le regole di determinazione dei loro compensi indicizzandoli alla crescita del reddito pro capite degli italiani. Abbiamo un parlamentare ogni 60.000 abitanti, contro uno ogni 250.000 altrove. Potremmo, in altre parole, permetterci di avere solo 250 parlamentari, che potremmo scegliere con ben maggiore cura dei quasi 1000 parlamentari attuali. Vorrebbe dire una riduzione permanente dei costi della politica di oltre cento milioni all’anno, senza contare i risparmi sulla retribuzione del personale di supporto.

giovani

La decima riforma, infine, vuole costruire una costituency, un partito a favore delle riforme. Lo fa allargando il voto ai sedicenni e cambiando i criteri di calcolo delle quiescenze in modo tale da incentivare la fascia più consistente del nostro elettorato, i pensionati, a sostenere politiche per la crescita. Bisogna per esempio imitare l’Austria, che ha esteso il diritto di voto a sedicenni e diciassettenni. Vorrebbe dire aumentare l’elettorato di poco più di un milione di italiani – con un peso elettorale corrispondente a quello di chi ha superato gli 85 anni – e contribuirebbe a ridurre l’età media dell’elettore da 47 a 46 anni.
 

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