“Se la crisi scatena la violenza”, il piano di emergenza inglese

“Se la crisi scatena la violenza”, il piano di emergenza inglese

“Better safe than sorry”, meglio andare sul sicuro, che poi pentirsi. A questo modo di dire, tipico della cultura anglosassone, deve essersi ispirato il ministero degli Esteri, il Foreign Office, che avrebbe inviato una richiesta alle ambasciate e consolati di approntare piani di emergenza in vista di una possibile fine dell’euro. Sopratutto per instabilità e violenze che potrebbero determinarsi con la frantumazione dell’euro.

Secondo quanto riporta il Telegraph, il senso della richiesta è far sì che i cittadini britannici abbiano un punto di riferimento anche in caso di violenze di piazza e instabilità sociale che potrebbe determinarsi con l’uscita dalla moneta unica di uno (o più) paesi che attualmente fanno parte dell’eurozona. A quanto riferisce il Foreign Office, si tratta di una prassi «normale e standard».

In questo ormai prolungato periodo di instabilità della moneta unica europea, i report che analizzano la situazione di una possibile frantumazione dell’euro sono stati più di uno. Ad esempio la banca svizzera Ubs, nel suo Global Economic Perspectives di inizio settembre,  aveva analizzato uno scenario di un’Europa post-euro dove «cesserebbe il soft-power internazionale dell’Europa. Vale anche la pena di osservare che quasi nessuna unione monetaria si è frantumata senza una qualche forma di governo autoritario o militare, o di guerra civile».

Questa possibilità era stata analizzata da Alphaville, il blog finanziario del Financial Times, che aveva scelto un titolo significativo “Who is the doomiest of all?”, Chi è il più apocalittico di tutti? Secondo Alphaville, piuttosto che pensare agli stati ex-sovietici dopo l’abbandono del rublo che hanno avuto esperienze autoritarie anche in precedenza o anche alla separazione fra cechi e slovacchi, bisognerebbe considerare che in Europa ci sono «pochi eserciti permanenti e un solido quadro di diritti umani e quantomeno un controllo democratico nazionale = non esattamente una polveriera».

Torniamo a quello che scrive il Telegraph. Lo scenario di rischio: oltre all’instabilità sociale, ai diplomatici è stato detto di prepararsi ad un’altra emergenza. L’ipotesi è che decine di migliaia di cittadini inglesi che risiedono nei paesi dell’eurozona debbano far fronte «alle conseguenze di un collasso finanziario che gli impedirebbe di accedere ai loro conti correnti o addiritittura ritirare soldi al bancomat». Si fa poi l’esempio della Grecia, dove si sono verificate violenze da quando sono state chieste revisioni della spesa statale a fronte del programma di supporto da parte della Troika, cioè l’Unione europea, la Banca centrale europe e il Fondo monetario internazionale. 

Rispetto al “better safe than sorry”, chi ad anni di distanza si è pentito di non aver approntato scenari e piani di intervento alternativi è il Fondo Monetario Internazionale. Nel rapporto di valutazione intitolato “Il Fondo monetario Internazionale e l’Argentina 1991-2001” scritto da Shinji Takagi nel 2004 si legge: «La gestione dell’Imf della crisi argentina rivela diverse fragilità nel proprio processo decisionale. Per prima cosa, la pianficazione d’emergenza da parte dello staff sono stati insufficienti». Insomma, ad anni di distanza, l’Imf rivede il proprio ruolo nella vicenda che ha portato al default dell’Argentina. L’ultimo default da parte di uno stato. Prima della Grecia (o dell’Europa).
 

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