Paura per le conseguenze del presunto crollo e «arresto a freddo» per la centrale nucleare di Fukushima. Il sito statunitense NaturalNews lancia un preoccupante allarme ed ipotizza che la situazione nel sito nucleare colpito dal terremoto dell’11 marzo stiano, ancora una volta, degenerando: «Come abbiamo riportato ieri, la parete sud del reattore n. 4 di Fukushima a quanto pare è crollata nei giorni scorsi, mettendo in discussione l’integrità strutturale della restante. La parete sul lato Sud del reattore 4 sta cadendo a pezzi».
Le prove sarebbero nelle foto pubblicate da un altro sito – EneNews – che sostiene che se un’altra scossa di assestamento colpisse la centrale e parte della struttura cadesse nella piscina combustibile esaurito, «l’intera area del Giappone orientale sarebbe troppo contaminata per essere abitabile» e conferma che «la parete sul lato sud del reattore 4 è mancante. Almeno dal 6 dicembre il muro non c’è». La situazione delle foto pubblicate del muro “scomparso” e le notizie di una possibile evacuazione di massa in Giappone non sono però confermate dal governo e dall’agenzia per l’energia atomica. Notizie filtrate o sottovalutazione del pericolo?
Nelle ultime settimane il rapporto “Impacts of the Fukushima Nuclear Power Plants on Marine Radioactivity”, di Ken Buesseler, Michio Aoyama e Masao Fukasawa, pubblicato su Environmental Science & Technology, rivela che i livelli di cesio radioattivo al largo di Fukushima Daiichi hanno superato di 50 milioni di volte quelli normali, il che comporta un rilascio continuo dai reattori danneggiati o da altre fonti contaminate, come ad esempio le acque sotterranee o i sedimenti costieri che la Tokyo electric energy company (Tepco) ed il governo giapponese avevano assicurato fosse ormai sotto controllo.
La Tepco, la società elettrica che gestisce l’impianto, ha però ammesso un’allarmante presenza in mare di stronzio (con circa 30 anni di decadimento) e che perdite di questa sostanza radioattiva sono ancora in corso. Secondo la società elettrica nell’Oceano Pacifico dopo il disastro nucleare di Fukushima sarebbero finiti «26 miliardi di becquerel materiali radioattivi», che potrebbero rimanere nei sedimenti marini per decenni e rappresentare un potenziale pericolo di contaminazione per tutta la catena alimentare marina.
Intanto il premier nipponico Yoshihiko Noda annuncerà domani pomeriggio il «cold shutdown» dei reattori della centrale di Fukushima, in pratica la certificazione sulle condizioni all’interno dei reattori. A dieci mesi dalla peggiore emergenza nucleare dopo quella di Cernobyl del 1986, gli sforzi per stabilizzare i reattori raggiungono i primi obiettivi, in linea con la road map presentata ad aprile che prevedeva il primo importante passaggio del raffreddamento stabile dei reattori, raggiunta a luglio. Tepco ha reso noto alcuni dettagli del programma di decommissioning della struttura, messo a punto con il governo: ci vorranno fino a 40 anni di interventi costanti per smantellare del tutto i reattori. La bozza finale del programma si riferisce ai quattro reattori danneggiati, di cui tre in attività nel giorno del sisma, che hanno registrato una fusione parziale del conbustibile. Secondo lo schema, le operazioni partiranno entro 20-25 anni, con la demolizione completa attesa fino ai 40 anni.