Diciannovemila posti di lavoro pronti con il rischio che possano restare scoperti. Sono le nuove strutture per la formazione degli insegnanti italiani e in futuro potrebbero non riuscire ad accogliere le domande dei laureati interessati a divenire i professori del futuro. Con la prospettiva di non riuscire a coprire il fabbisogno di docenti in Italia nei prossimi anni.
L’undici novembre 2011, due giorni prima che Silvio Berlusconi presentasse le dimissioni da presidente del Consiglio, il ministro dell’Istruzione e dell’Università Mariastella Gelmini ha firmato il decreto ministeriale che regola l’ «accesso ai corsi di tirocinio formativo attivo per l’abilitazione all’insegnamento nella scuola dell’infanzia, nella scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado». Il nuovo corso post-laurea che formerà i futuri insegnanti durerà soltanto un anno anziché due – come accadeva fino al 2008 con le vecchie Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario-SSIS – e si chiamerà Tirocinio Formativo Attivo (TFA).
Durante l’anno occorrerà conseguire 60 crediti formativi sostenendo esami relativi alla propria area didattica scelta (Scienze matematiche e Fisiche, Lingue straniere, Italiano, Storia e Filosofia) e un periodo di tirocinio presso le scuole. Il costo del corso sarà totalmente a carico degli iscritti, nella misura di un anno di tasse universitarie (da 1500 a 2000 euro) e il numero degli ammessi dovrebbe essere stabilito in base al fabbisogno di nuovi docenti, garantendo così uno sbocco lavorativo certo. In partenza dal prossimo anno, si calcola che a livello nazionale i posti a disposizione saranno appunto 19 mila.
Di fatto, l’ultimo atto ufficiale dell’ex ministro dell’Istruzione cambia in corsa le regole per accedere ai corsi di abilitazione all’insegnamento. Infatti se prima i requisiti minimi per l’accesso alle SISS erano regolati dal DM n.22 del 9 Febbraio 2005, per accedere oggi al TFA bisognerà fare riferimento al DM n. 249 del 10 Settembre 2010. E le differenze non sono trascurabili.
Ad esempio, se prima per accedere alla classe di abilitazione “A043” per insegnare Italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di I grado, bisognava aver già conseguito 12 crediti formativi universitari (Cfu) in Letteratura Italiana, secondo il nuovo decreto n.249 del settembre scorso ne serviranno almeno 18. Altrimenti, non si potrà neanche presentare domanda per sostenere la prova di ammissione al nuovo corso per diventare insegnanti.
Come spiega però a Linkiesta il professor Gaetano Greco, docente di Storia Moderna all’Università di Siena, «la responsabilità è dei docenti che invece di orientare gli studenti verso le discipline necessarie per l’esercizio della professione di insegnante, spesso li abbandonano a scelte che precluderanno loro questa strada». Così dopo un limbo temporale di tre anni passati dalla chiusura delle SISS e dopo la sforbiciata di circa 87 mila docenti, l’atto ufficiale che doveva dare il via libera al nuovo corso della scuola italiana rischia di essere spuntato in partenza.
Ad ogni modo, secondo le nuove direttive, anche l’inglese non sarà più un optional per i futuri prof. Già per conseguire una laurea magistrale è ormai obbligatorio essere in possesso di una certificazione B2 di livello europeo in lingua Inglese, che attesti un bagaglio di conoscenza della lingua leggermente superiore allo standard minimo. Perciò già da oggi chi non sarà in possesso di tale certificazione, non potrà accedere ai nuovi corsi di abilitazione all’insegnamento, senza prima procurarsela.
Nonostante questi problemi, il rapporto della Ragioneria generale dello Stato pubblicato lo scorso Giugno e intitolato «Modello per la simulazione di medio-lungo termine del fabbisogno scolastico dal 2010 al 2027», riporta che le scuole italiane avranno bisogno di nuovi docenti seppur con notevoli differenze geografiche.
Scrive la Ragioneria dello Stato che «nei primi dieci anni (2010-2020, ndr) la domanda di docenti nella scuola secondaria di I grado cresce a livello nazionale in ciascuno scenario demografico, e ci si attende che nel 2020 sia maggiore di 4-7 punti percentuali rispetto all’anno base». Ma «le maggiori esigenze di personale sono soprattutto al Centro-Nord, mentre al Sud la dinamica è opposta a quella che caratterizza la restante parte del Paese». In pratica nei prossimi 10 anni, la domanda di docenti crescerà al nord e calerà al Sud.
E il professor Greco conferma il trend lavorativo che si sta delineando per le future generazioni: «Da oggi fino al 2025, nel Nord Italia la domanda di nuovi docenti supererà l’offerta di circa 30 punti percentuali». Così oltre a dover rimpiazzare come numero i prof arrivati alla soglia della pensione, ci sarà posto per un 30% in più di docenti, i quali andranno ad occupare le cattedre del nord che altrimenti rimarrebbero vuote. Situazione opposta invece al Sud, «dove si verificherà un lieve eccesso di offerta di docenti, dovuto principalmente al basso tasso di natalità circa del 1.1%, rispetto a paesi come Francia e Scandinavia che contano su un tasso del 1.8%», spiega Greco.
Ma per rappresentare meglio la mancanza di organizzazione e l‘imprevedibilità con le quali devono fare i conti coordinatori e studenti coinvolti nel progetto, il professor Greco racconta: «Dopo la pubblicazione dell’ultimo decreto, una mattina è suonato il telefono e di punto in bianco sono diventato coordinatore del corso TFA a Siena in partenza a Gennaio 2012». La struttura sarà una delle quattro in Toscana attivate in altrettanti atenei per avviare la formazione dei futuri docenti. Insomma un episodio che rappresenta bene i rapidi cambiamenti ai quali sono soggetti studenti e docenti stessi, sottoposti a continui decreti e cambi di rotta normativa.