L’onda araba non è nata contro un dittatore, ma contro una donna

L'onda araba non è nata contro un dittatore, ma contro una donna

Prima della caduta fragorosa di Ben Ali e dell’onda della Primavera Araba ben pochi conoscevano dove si trovasse Sidi Bouzid, piccolo borgo agricolo incastonato tra le aspre montagne della dorsale tunisina del Djebel El Kbar, costantemente minacciato dalle piene degli oueds, i torrenti occasionali delle regioni semi-desertiche che trascinano fango e pietre a valle. Il mare qui è lontano ed anche la capitale Tunisi non è proprio ad un tiro di schioppo. Con una percentuale di disoccupazione che a tratti sfiora il 36%, Sidi Bouzid è quello che si direbbe un posto dimenticato da Dio, un vero e proprio covo di paglia per chi fosse interessato ad appiccare il fuoco dell’insurrezione. Soprattutto dopo un’oppressione – quella di Ben Ali – durata 23 anni. La più grande ondata rivoluzionaria nel mondo arabo è però partita proprio da questo paesone di circa 100 mila anime, ribattezzato dopo la caduta di Ben Ali “Sidi Bouazizi” in onore di Mohamed Bouazizi, il giovane fruttivendolo che s’immolò con una tanica di benzina per protesta davanti alla prefettura santificando anche il nome della sua città natale (nel Maghreb “Sidi” è un segno di rispetto ma lo si usa anche per designare i santi). Ma dopo le luci della ribalta e la caduta di Ben Ali, la città di Sidi Bouzid non sta molto meglio. Disoccupazione sempre altissima. Ed anche parlare dell’eroe Mohamed Bouazizi oramai evoca un certo imbarazzo.

Tutto comincia con uno schiaffo, senza il quale forse non ci sarebbe stato il preteso della rivolta contro il regime di Ben Ali. Il 17 Dicembre 2010 a Mohamed Bouazizi, giovane fruttivendolo di 26 anni, viene sequestrata la carretta con la merce e la bilancia. Mohamed non avrebbe l’autorizzazione a vendere in quel luogo, davanti ai taxi e al palazzo del governatore di Sidi Bouzid. Fayda Hamdy, agente municipale (donna) è inflessibile e gli sequestra la merce. Bouazizi protesta vivamente. Chiede il permesso di essere ricevuto in municipio. Il permesso gli viene negato. Nasce un alterco tra i due. La sorella Leila ed altri testimoni racconteranno che davanti allo strenuo tentativo di difendere la propria merce e la propria bilancia, Fayda Hamdy, arcigna agente municipale, lo avrebbe insultato e poi gli avrebbe dato uno schiaffo, umiliandolo in pubblico. Di fronte a questo ennesimo affronto, Mohammed Bouazizi due ore dopo si dà fuoco cospargendosi di benzina con una tanica davanti al municipio di Sidi Bouzid, per protesta e per disperazione. Viene trasportato immediatamente all’ospedale di Ben Arous. La notizia fa il giro della città. In breve duemila persone si riuniscono davanti al palazzo del governatore.

Il 28 Dicembre 2010 Ben Ali, temendo il peggio, licenzia il governatore di Sidi Bouzid e gli agenti municipali implicati nella faccenda, tra cui Fayda Hamdy. Il regime ha evidentemente paura e cerca disperatamente un capro espiatorio. Chi meglio dell’agente municipale che ha schiaffeggiato in pubblico un povero venditore ambulante? Eppure già la sera del 17 Dicembre, con un’inchiesta interna, sarebbe stato appurato che Fayda Hamdi non era colpevole. «Non ho mai schiaffeggiato Bouazizi» si era difesa. Il 28 Dicembre, la polizia politica di Ben Ali sbarca direttamente da Tunisi per interrogarla. Dopo tre giorni di interrogatorio, Hamdy ripete la sua versione «Non ho mai schiaffeggiato Bouazizi, è lui che si è innervosito quando gli ho sequestrato la sua bilancia e la sua merce». Una scena che si ripeteva spesso ma quel giorno Mohamed non ne voleva proprio sapere di andare a vendere da un’altra parte. Intanto fuori la storia si mette in marcia. Le rivolte da Sidi Bouzid si estendono a tutto il paese.

Il 4 Gennaio Mohamed Bouazizi muore a causa delle ustioni sul suo corpo nell’ospedale di Ben Arous. Il 14 Gennaio Ben Ali si dimette. Intanto Fayda Hamdi viene trasferita sotto falso nome, per evitare rappresaglie, alla prigione di Gafsa (già teatro delle proteste dei minatori precursori della rivoluzione anti-benalista). Dopo diverse settimane alcune detenute cominciano a simpatizzare con lei e a non credere più alla versione ufficiale dello schiaffo data dalla famiglia Bouazizi. Se infatti il gesto di Bouazizi fosse stato dettato dalla disperazione e non dall’umiliazione di ricevere uno schiaffo in pubblico da un agente per giunta donna (somma offesa per certe fette della società tunisina), forse le cose si sarebbero messe diversamente per Fayda Hamdi. Ma nel tribunale di Sidi Bouzid poco o nulla si muove. Il giudice istruttore, aggredito dalla folla, si rifiuta oramai di andare in tribunale. Guai a toccare l’icona Bouazizi. Basma al-Nasri, avvocato di Fayda, chiede la nomina di un nuovo giudice. Nessuna risposta. Soltanto dopo un appello al ministro della giustizia, il 25 Marzo, il caso di Fayda Hamdi viene riaperto. Dopo diversi mesi di prigionia.

Il 13 Aprile il giudice istruttore – di fresca nomina – organizza un confronto con i quattro testimoni nel suo ufficio. Inspiegabilmente due ritrattano la propria deposizione, il terzo viene ritenuto inaffidabile ai fini dell’inchiesta perché cugino di Mohamed Bouazizi. L’unico testimone è un certo Qais, con alle spalle già un contenzioso con gli agenti municipali. Il processo si apre il 19 Aprile a Sidi Bouzid. All’arrivo in tribunale Fayda scopre una piacevole sorpresa. Una folla immensa è lì ad attenderla. Striscioni di sostegno, scritte “Libertà per Fayda” sventolano al di sopra della calca che spinge per entrare nella sala d’udienza. Alla fine la famiglia di Bouazizi ritira le proprie accuse contro Fayda in uno spirito di «perdono e riconciliazione». L’avvocato di Fayda non ci sta e ribatte che non c’è nulla da farsi perdonare perché Fayda non ha fatto nulla. Il verdetto cade inesorabile. «Non colpevole». Lo schiaffo non c’è stato. La sala del tribunale esplode di gioia. È la libertà per Fayda e la possibilità di riguadagnare i suoi miseri 620 dinari tunisini mensili (poco più di 300 euro), congelati da gennaio.

Ma la chiave di tutta questa vicenda potrebbe essere un’altra figura, fino ad ora piuttosto in ombra. A svelare il dettaglio è stato recentemente il responsabile sindacale di Sidi Bouzid ed antropologo Lamine al-Bouazizi (nessun legame di parentela con Mohamed). Secondo Lamine la storia dello schiaffo sarebbe stata inventata di sana pianta già un’ora dopo la morte. Le prime voci che circolavano dopo la morte volevano addirittura che Mohamed Bouazizi fosse laureato e che fosse costretto a vendere la frutta soltanto perché disoccupato (in realtà aveva solo il diploma di scuola superiore). Un’idea per estendere la rivolta ad altre fasce della popolazione? Ma è stata soprattutto la storia dello schiaffo di una poliziotta ad un povero venditore ambulante a scioccare il popolo, soprattutto in una zona rurale come quella di Sidi Bouzid. Il dettaglio inquietante è che l’artefice della manipolazione di queste informazioni circolate nelle ore susseguenti alla morte del povero Mohamed sarebbe stato lo stesso fratello di Fayda, Fawzi Hamdi, insegnante a Sidi Bouzid e militante del sindacato tunisino Ugtt. L’idea di Fawzi (che oggi rifiuta di parlare con la stampa) sarebbe stata che qualunque cosa fosse buona ai fini politici purché efficace. Anche spedire sua sorella in prigione per diversi mesi. L’importante era far cadere Ben Ali. Si tratterebbe del sommo del cinismo applicato alla realpolitik rivoluzionaria e anti-benalista.

E i parenti di Bouazizi, in tutto questo trambusto? Dal canto suo la famiglia dopo il verdetto ha dovuto lasciare Sidi Bouzid ed è stata costretta a trasferirsi a Marsa – periferia lussuosa alle porte di Tunisi dove vanno a svernare i bobos della capitale – schiacciata dalle accuse di lucrare sulla storia eroica del figlio con interviste e cachet per comparire in show televisivi e programmi di mezzo mondo. Anche il poster di Bouazizi, sei mesi dopo gli eventi, è stato staccato dalla statua che orna la piazza principale della città (è stato riaffisso solo in occasione dell’anniversario della rivoluzione tunisina il 17 Dicembre scorso), lasciando solo quella di Hussein Naji, altro martire della rivoluzione dimenticato nelle pieghe della storia.  

Monumento dedicato a Bouazizi inaugurato un anno che ritrae il carretto della frutta del giovane tunisino (Afp)