“Piccola città bastardo posto”, cantava Francesco Guccini. E ad accorgersi di malelingue e misfatti sono spesso, oltre alle comunità, anche politici e giornalisti locali. Per queste due categorie agire e affrontare gesti e azioni di volti conosciuti, dei vicini di casa, si rivela una impresa che mette a rischio non solo le attività ma anche l’incolumità fisica.
Incrociando i dati di due ricerche ci si rende conto che i piccoli centri diventano a volte frontiere di vere e proprie guerriglie fatte a colpi di minacce e intimidazioni. L’ultimo report in ordine di tempo a lanciare l’allarme è quello redatto da Avviso Pubblico “Amministratori sotto tiro. Buona politica e intimidazioni mafiose”, presentato a Roma lo scorso due dicembre. Il rapporto conta 212 episodi di minacce e intimidazioni mafiose e criminali ai danni degli amministratori locali e del personale della Pubblica Amministrazione. «Una media – rileva l’associazione Avviso Pubblico – di 18 casi al mese nel solo 2010».
Secondo il report di Avviso Pubblico, in 145 casi (il 68% del totale) minacce e intimidazioni sono avvenute nei confronti di amministratori locali, in 23 casi (l’11% del totale) nei confronti di personale della pubblica amministrazione, in 11 casi (il 5% del totale) nei confronti di candidati a ricoprire un ruolo politico, in 8 casi (il 4% del totale) nei confronti di parenti degli amministratori in carica, in 6 casi (il 3% del totale) nei confronti di ex amministratori. Le regioni più colpite sono Calabria, Sicilia e Campania, seguite da Sardegna, Puglia e Lazio. Situazioni che ovviamente non sono mancate nemmeno in quei comuni commissariati perché sciolti a causa di infiltrazioni della criminalità organizzata. Un quadro che conferma quello che il criminologo Federico Varese dichiarava proprio a Linkiesta, quando diceva che «è molto più facile controllare questi piccoli comuni e condizionarne la politica locale anziché andare dritti alla grande città». Dato che non viene smentito nemmeno nelle recenti inchieste delle procure antimafia, dove la pressione, ma anche la collusione degli amministratori locali con la criminalità è episodio spesso ricorrente.
Le ragioni di queste intimidazioni riguardano proprio le decisioni assunte dai politici locali e dagli esponenti delle pubbliche amministrazioni, in particolare, quando si discute di piani edilizi, smaltimento di rifiuti, opportunità di candidare uomini in odor di mafia e volontà di contrastare con maggior forza la criminalità cittadina.
Politici minacciati divisi per provincia (e regione). Dati rapporto Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie
Allo stesso modo in periferia non se la passano bene nemmeno i giornalisti, spesso sottopagati e costretti a pressioni che non valgono una notizia esclusiva. Alcuni di loro sono anche molto giovani e non si occupano necessariamente di criminalità. La fotografia delle difficoltà in cui si trovano ad operare i giornalisti locali la scatta invece l’osservatorio “Ossigeno per l’Informazione” diretto da Alberto Spampinato, e dà l’idea di quello che non si traduce in un “bavaglio” legislativo, ma di possibilità di operare sul campo la professione.
Se qualcuno pubblica qualche notizia importante a livello locale, forse è anche più a rischio minaccia, intimidazione o querela di chi scrive su una grande testata nazionale. Nel solo 2011 si sono verificati 83 episodi di intimidazione ai cronisti, di cui 21 minacce collettive dirette alle intere redazioni per un totale di 249 giornalisti coinvolti, e dagli anni passati fatti di questo genere sono sempre in aumento. E talvolta può capitare che dall’altra parte della barricata vi siano amministratori locali che malsopportano il lavoro dei cronisti.
Nel 2010 è la Calabria ancora prima in classifica, seguita da Lazio, Sicilia e Lombardia. Danneggiamenti, aggressioni fisiche, verbali, ma anche querele intimidatorie, che all’interno di alcune redazioni sono all’ordine del giorno per far desistere il cronista dalla pubblicazione di altre notizie. Questo oltre alla necessità, triste per un paese europeo, dei giornalisti sotto scorta della Polizia di Stato. Secondo gli ultimi dati sarebbero in 14 a dover lavorare seguiti passo passo dagli uomini in divisa.
Tra le motivazioni delle aggressioni nel rapporto di Ossigeno si trova di tutto, dal cronista de L’Espresso Lirio Abbate, in pericolo di vita per le sue inchieste sulla mafia, a Enzo Palmesano di Calabria Ora che ha condotto inchieste sull’amministrazione locale di Pignataro Maggiore, fino all’irruzione nella redazione di Metropolis a Castellamare di Stabia di un gruppo di persone che che intimavano di non vendere il giornale per un articolo sul matrimonio in carcere del boss Salvatore Belviso. Minaccia addirittura estesa anche agli edicolanti del posto. Un fenomeno non confinato ai giornalisti d’inchiesta ma che riguarda anche, ad esempio, i cronisti sportivi. Nel rapporto si legge di un cronista dell’edizione locale de La Repubblica a Roma che «il presidente della Lazio ha insultato pubblicamente e ha fatto portare via dai vigilantes perché durante una conferenza stampa gli aveva chiesto chiarimenti sul bilancio della squadra».
Piccoli e grandi bavagli quotidiani rappresentano una minaccia forte e pericolosa alla libertà di stampa. Sul territorio c’entra poco l’accentramento dei media (anche se tanti piccoli tycoon locali in realtà esistono, come piccoli potentati che minacciano querele anche solo all’intenzione di riportare una notizia). Minacce, intimidazioni e querele contribuiscono a rendere l’Italia dal punto di visto della libertà di stampa “Partly-Free”, “parzialmente libera”, secondo l’annuale rapporto di Freedom House (clicca qui per i criteri di valutazione). Un allarme che va ricordato soprattutto perché i giornali locali sono la prima fucina da cui partono le grandi notizie nazionali.
Minacce a giornalisti