Chi pensa che il mantra, molto diffuso all’estero, relativo allo scarso rispetto degli italiani per le regole sia un ingeneroso luogo comune avrebbe di che ricredersi guardando le ultime edizioni del rapporto che la Commissione Europea redige, con cadenza mensile, per ricapitolare le infrazioni contestate ai vari Stati nei 30 giorni precedenti. Vox populi, vox dei: a novembre abbiamo riconquistato la prima posizione, persa ad ottobre per una sola lunghezza (5 infrazioni contro 6) a vantaggio della sempre coriacea Grecia, segnando un punteggio da record, 11 infrazioni, e umiliando così i secondi arrivati, l’outsider Olanda, ferma al pur “onorevole” score di 7 infrazioni.
Va detto che nel computo ci finisce di tutto, sia come materie che come “livello” di procedura. I richiami della Commissione, responsabile di assicurare la corretta applicazione del diritto dell’Unione, divengono davvero allarmanti, con rischio di sanzioni, quando si arriva al «deferimento alla Corte di Giustizia» e all’apertura di un contenzioso. Ma il 95% dei casi viene risolto prima, grazie al cosiddetto «procedimento d’infrazione», fase precedente e articolata in due momenti. Il primo è la messa in mora, con cui la Commissione invita lo Stato membro a comunicarle le proprie osservazioni sul problema rilevato e il secondo il «parere motivato» con cui la Commissione crea i presupposti per un eventuale ricorso per inadempimento e chiede allo Stato membro di porre fine all’infrazione entro un dato termine.
Nelle 11 infrazioni contestate all’Italia vi sono anche molte «messe in mora» e «pareri», innocui se vi si metterà mano per tempo. Inoltre l’estrema tecnicità di molti dei rilievi (ad es. siamo stati invitati ad adottare «una normativa nazionale in materia di attrezzature a pressione trasportabili» e ci è stato chiesto, come a Grecia, Lussemburgo e Paesi Bassi, «di recepire la nuova direttiva sul comitato aziendale europeo» e «comunicare le misure nazionali che attuano la direttiva che elimina i valori massimi del pH per i concentrati piastrinici e i componenti del sangue alla fine del periodo massimo di conservazione»), potrebbe far pensare che l’inadempimento sia dovuto a noncuranza piuttosto che a ragioni più gravi.
Tuttavia anche in taluni di questi casi non è impossibile intravedere la “furbata”. Ad esempio siamo stati messi in mora per la mancata introduzione di «adeguate procedure di ricorso per le domande di sgravio o rimborso dei dazi doganali»: perché è vero che da noi «le imprese che si trovano in condizioni particolari possono chiedere uno sgravio o un rimborso dei dazi versati, presentando richiesta all’ufficio doganale nazionale». Ma è altrettanto vero che, contro «un pilastro fondamentale dell’ordinamento giuridico dell’UE» (e a protezione delle casse statali), «se le imprese intendono fare ricorso contro una decisione negativa dell’autorità doganale italiana, lo Stato non riconosce loro la tutela giudiziaria per qualunque decisione relativa a questa materia».
Poi vi sono casi in cui, lieve consolazione, il rilievo è condiviso con altri paesi, a suggerire che l’inadempimento è, almeno parzialmente, dovuto alla particolarità degli ambiti toccati, come ad esempio certi settori economici in cui non è facile per nessuno arrivare ad una efficace applicazione del diritto comunitario: come a ben altri 15 paesi, ad esempio, ci è stato comunicato di non aver «pienamente recepito nel diritto interno la nuova normativa dell’Unione in materia di telecomunicazioni», attuazione parziale che «limita di fatto i diritti dei consumatori in materia di telefonia fissa, servizi mobili e accesso a internet». Analogamente siamo stati invitati, insieme ad Austria, Germania e Lussemburgo ad «adottare provvedimenti legislativi per attuare la normativa Ue e garantire così che i diritti aeroportuali siano trasparenti e non discriminatori».
A certe consorterie tuttavia siamo sensibili quasi più di chiunque altro, se rischiamo concretamente di prendere una multa di oltre 96 mila euro al giorno (questa la richiesta della Commissione alla Corte di Giustizia), perché solo noi (e i polacchi) non abbiamo ancora comunicato, ad un anno dall’adozione della terza direttiva sui requisiti patrimoniali minimi degli istituti di credito, alcuna misura di recepimento della stessa.
Infine c’è purtroppo la cospicua serie di infrazioni rilevate solo all’Italia da cui, con avvilente chiarezza, emergono alcuni esempi di malcostume tutto tricolore: dal peso di alcune lobby (abbiamo appena due mesi per porre rimedio alle numerosissime inadempienze in materia di caccia agli uccelli e altrettanto tempo per ovviare alle norme nazionali che discriminano gli stranieri che si candidano a posti di professore ordinario) al protezionismo più provinciale, come nel caso di uno dei tre procedimenti giunti al deferimento alla Corte, che riguarda l’esenzione Iva concessa sulle navi: «Se uno Stato membro estende l’applicazione delle esenzioni, come fa l’Italia, crea una disparità tra gli Stati membri e di conseguenza determina distorsioni della concorrenza nel mercato interno». Ci avevano avvertito nel maggio 2009, ma, si sa, a noi i mercati concorrenziali fanno paura e ora tocca difenderci in Tribunale.
Fino ad arrivare alla golden share all’italiana, materia di scottante attualità: «La Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea in quanto ritiene che alcune disposizioni della normativa italiana che conferisce poteri speciali allo Stato nelle società privatizzate operanti in settori strategici come le telecomunicazioni e l’energia impongano restrizioni ingiustificate alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento. Uno o più di questi poteri speciali sono stati introdotti negli statuti di Enel, Eni, Telecom Italia e Finmeccanica».
In questo caso emblematico, il Governo Monti deve aver tuttavia già rassicurato la Commissione: «Stando agli ultimi contatti con le autorità italiane si può prevedere che entro breve l’Italia riuscirà a conformarsi alla legislazione Ue. Pertanto la Commissione europea ha deciso di rimandare di un mese l’esecuzione della decisione di rinvio dinnanzi alla Corte». Chissà che non sia finalmente giunta l’occasione di liberarci di certe etichette e di riportare l’Italia allo standard europeo, non solo economico ma anche civile.