I miei quasi cinquant’anni di attività nei servizi finanziari mi fanno essere fortemente scettico sugli effetti pratici dell’eventuale ri-tassazione con addizionale dei proventi del così detto “scudo fiscale”. I mie dubbi non sono solo in ordine alla difficoltà tecnica e alle problematiche costituzionali che sono state evidenziate da tanti, ma soprattutto sulla sua opportunità in questo contesto in cui la sfida è la crescita. Senza crescita non ci sarà nessuna equità, ma solo il rischio di disordini sociali.
Andiamo con ordine. Fare lo scudo fiscale fu una scelta sbagliata? Forse anche se la stessa scelta, motivata dalla competizione internazionale nell’attrarre capitali, fu fatta – ad esempio – negli Usa, in Francia e nel Regno Unito. La versione italiana dello scudo nelle sue tre edizioni fu fatto a un “costo” troppo basso? Si se si analizza il confronto internazionale di cui sopra. È legittimo, quindi, cambiare le aliquote in corsa con un addizionale? Secondo me assolutamente no, sia perché il principio della non modificabilità della legge ex post è un principio sacro, pacta sunt servanda, sia per motivi di opportunità.
Oggi si cambia sullo scudo fiscale, domani magari cose più importanti. Evitiamo di creare precedenti pericolosi anche se fatti (apparentemente) a fin di bene. Inoltre, a mio avviso, questa proposta è sbagliata, oltre ad essere probabilmente incostituzionale, perché è una manovra una tantum, incerta nella sua capacità effettiva di gettito, che rischia di danneggiare nel medio periodo la capacità del nostro Paese di attrarre risorse finanziarie dall’estero.
In campo finanziario si dice sempre che i soldi sono veloci come lepri nel muoversi ed hanno una memoria di elefante nel ricordarsi dei torti subiti. È vero e ricordo come le complesse e turbolente vicende fiscali e valutarie italiane degli anni ’70 abbiamo tenuto per tanti anni alla larga gli investitori internazionali dal nostro Paese. Uno degli elementi necessari per attrarre risorse è, infatti, l’affidabilità e la chiarezza delle regole.
Dobbiamo diventare un Paese percepito come serio ed attrarre capitali, non farli fuggire. Nei prossimi 6 mesi dobbiamo collocare sul mercato quasi 300 miliardi di euro e nel medio periodo per crescere bisogna essere capaci di allineare alla media europea l’ingresso di capitali dall’estero per investimenti che secondo il comitato investitori esteri di Confindustria porterebbe 30-35 miliardi di euro l’anno. Cifre enormi per la crescita e la stabilità del nostro Paese e quindi dell’Euro rispetto al 1,5 miliardo (incertissimo) di cui si parla a proposito di scudo.
Cosa fare, quindi, per dare copertura finanziaria al mancato gettito da ri-tassazione dello scudo? In questa manovra mancano i tagli come scrivono oggi Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera, si abbia coraggio e si cominci a tagliare con decisione, magari partendo dai 30 miliardi dati alle imprese e dai costi della politica. Tagliare i privilegi e le rendite è senza’altro equo e costituzionalmente ineccepibile.
Sul lato della lotta all’evasione, dopo gli sforzi fatti anche quest’estate sulla tracciabilità dei conti correnti, è però necessario chiudere il cerchio. Bisogna cambiare il Modello Unico delle persone fisiche, come già suggerito da economisti e fiscalisti, inserendo nella dichiarazione dei redditi anche la situazione patrimoniale, come accade in molti altri Paesi occidentali. Bisogna che dalla dichiarazione dei redditi si possa confrontare, anno per anno, il reddito netto complessivo disponibile con le dotazioni patrimoniali esistenti, al netto delle donazioni ricevute. Una vera rivoluzione nella lotta contro l’evasione in cui il nostro Paese è in ritardo.
È venuto il tempo di rifondare questo Paese e la fedeltà fiscale ne è una parte essenziale, basta furbizie e complicità. Facciamolo, però, non con incerte manovre una tantum; lavoriamo con coraggio sul futuro.
*Fondatore della Vitale & Associati e uno degli 80 soci de Linkiesta