Per eliminare gli sprechi ci vorrebbe l’Agenzia delle Uscite

Per eliminare gli sprechi ci vorrebbe l’Agenzia delle Uscite

La scorsa settimana, un’associazione non governativa che analizza dal 1995 il livello di corruzione percepita in tutti i Paesi del mondo ha aggiornato la classifica: l’Italia è al sessantanovesimo posto, gomito a gomito con il Ruanda. Risultato mediatico: qualche titolo sulle pagine interne dei giornali e qualche passaggio sui telegiornali.

Si dirà: è la classica ricerca “spannometrica” di dubbia sostenibilità scientifica. Verissimo. Ma allora perché, quando si tratta invece di evasione fiscale, anche le ricostruzioni più fantasiose e palesemente sensazionalistiche vengono sbattute in prima pagina, alimentano dibattiti televisivi e producono norme (giustamente) sempre più stringenti?

L’evasione fiscale è oggettivamente uno dei problemi principali di questo Paese, ma fa il paio con il livello di corruzione che, stando alle statistiche, contraddistingue il settore pubblico e, più ancora, fa il paio con l’uso personalistico di risorse e posti di lavoro pubblici che viene fatto da chi confonde il proprio ruolo di mero gestore con quello di padrone. È difficile dire quale dei due mali produca i maggiori danni al Paese.

È invece facile concludere che lo spread tra il livello di attenzione prestato alla prima problematica e quello prestato alla seconda ha ormai raggiunto un’ampiezza che, se mai dovesse essere raggiunta anche tra titoli di Stato italiani e tedeschi, decreterebbe il fallimento immediato del Paese. Sia chiaro che qui non vi è intenzione alcuna di fare “benaltrismo”. Lo spread non deve essere ridotto diminuendo il livello di attenzione nei confronti della lotta all’evasione, ci mancherebbe. È però quanto mai urgente ripristinare un minimo di equilibrio, innalzando in modo adeguato il livello di attenzione nei confronti degli sprechi, delle inefficienze e delle ruberie che penalizzano il bilancio dello Stato sul lato delle spese.

Lo spread tra attenzione nei confronti della lotta all’evasione fiscale e nei confronti della lotta agli sprechi, alle inefficienze e alle ruberie nel settore pubblico e del parapubblico è anche la cartina di tornasole di come stanno venendo meno gli equilibri tra politica e burocrazia, tra cittadini che vivono di iniziativa economica privata e cittadini che vivono di pubblico impiego, tra copertura del deficit mediante incrementi di tasse e copertura mediante tagli di spesa.

Forse, questo spread sarebbe meno pronunciato di quanto non sia ora se nel Paese esistesse, oltre che un’Agenzia delle Entrate, anche un’Agenzia delle Uscite, con pari budget, poteri e proattività mediatico-politica, anziché soltanto una Corte dei Conti che fa quello che può.

È indubbio, infatti, che tanto maggiore è valutata un’emergenza, tanto maggiore è la centralità e il potere di chi è chiamato a gestire quell’emergenza, mentre, laddove manchi qualcuno deputato a gestirla, tanto minore è la “naturale” forza propulsiva a metterne in evidenza la gravità. Qui non si tratta di smettere di considerare la lotta all’evasione fiscale una priorità assoluta del Paese, si tratta di smettere di considerarla l’unica priorità e passare da quello che è stato nei decenni un distruttivo equilibrio al ribasso a, finalmente, un ormai improcrastinabile equilibrio al rialzo.

L’alternativa è il disequilibrio che stiamo pervicacemente creando e sul quale, proprio in quanto disequilibrio, è illusorio pensare che possa costruirsi una qualsiasi forma di coesione sociale. Su un disequilibrio si può costruire, al massimo, una costrizione sociale, ma le costrizioni non durano e lasciano dietro di sé macerie su cui è più difficile ricostruire e talvolta diviene addirittura impossibile farlo, per molto, molto tempo.

*direttore di Eutekne.info

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