Qualcuno non gradisce il modo in cui il partito sta gestendo la nuova fase politica. Qualcun altro è insofferente nei confronti della segreteria Alfano. Quasi tutti hanno paura di non essere rieletti. Nel Pdl cresce la confusione: i deputati che ammettono di “essere a disagio” ormai sono tanti. Tutti più o meno sconosciuti. Sono i parlamentari gregari, i peones alla prima legislatura. Quelli che lavorano in commissione senza raggiungere le luci della ribalta. Di fatto, l’ossatura del gruppo berlusconiano alla Camera e al Senato.
Finora non si sono mai ribellati. Hanno sempre seguito la linea dettata dal Cavaliere, votando tutto quello che c’era da votare. Alcuni si considerano quasi degli eroi: sono rimasti fedeli al Pdl anche quando il leader era a un passo dalle dimissioni e le sirene centriste suonavano più forte. Ma ora non ce la fanno più.
“Prendiamo il caso della manovra Monti – racconta uno di loro – il nostro elettorato è stato messo a dura prova. Siamo bombardati da lettere e mail di gente che ci chiede di non votare il decreto. Ma questo al partito non sembra interessare”. I deputati berlusconiani di seconda fascia si sentono abbandonati. “I vertici ci chiedono di approvare la manovra per senso di responsabilità. Sul territorio, però, la politica la facciamo noi. Siamo noi che dobbiamo spiegare queste cose agli elettori”.
Le prime forme di dissenso ieri, durante una riunione di gruppo a Montecitorio. Un vertice che ha seguito di qualche ora l‘Ufficio di presidenza che Silvio Berlusconi ha tenuto a Palazzo Grazioli con i big del partito. Durante l’incontro alla Camera hanno chiesto la parola in tanti. “Un diluvio di interventi”, che ha mostrato le evidenti spaccature all’interno del gruppo: “Il partito è diviso in tre – racconta oggi uno dei presenti – c’è chi vuole votare il decreto, chi vuole modificarlo e i duri e puri che chiedono di bocciare la manovra senza appelli”.
Il governo è disposto ad accettare qualche modifica al testo. A patto che i principali partiti concordino poche, comuni, variazioni. Rigorosamente a saldi invariati. Ma all’interno del Pdl non tutti sembrano essere d’accordo sulla strada da seguire. C’è chi spinge per ridurre l’Ici, chi per una maggiore rivalutazione delle pensioni. Molti se la prendono con le misure che avranno ripercussioni sul proprio territorio di riferimento. Tanti, ad esempio, non hanno gradito la decisione del governo di decapitare le giunte provinciali. Scelta di cui temono di dover rendere conto alle prossime elezioni. “Una misura semplicemente incostituzionale – si lamenta un berlusconiano – Un omaggio del governo al sentimento di antipolitica che si respira nel Paese”. Qualcuno se la prende con il superbollo sulle imbarcazioni. “Altro che patrimoniale – spiega un deputato pidiellino che viene da un collegio rivierasco – in questa maniera morirà il settore nautico. E a pagarne le conseguenze saranno i parlamentari eletti nelle regioni a vocazione turistica”.
Il Cavaliere è consapevole che il partito rischia di implodere. Ecco perché negli ultimi giorni è tornato a sferzare i suoi. Nell’ufficio di presidenza di ieri, a Palazzo Grazioli, Berlusconi ha cercato di tenere salde le fila. Ha presentato gli ultimi, incoraggianti, sondaggi. Si è detto certo delle possibilità di vincere le prossime elezioni.
Ma il malessere rimane. Anche se alla fine non metterà in discussione l’approvazione della manovra. “Seguiremo le direttive del partito anche stavolta – racconta ancora uno dei peones a disagio – Ma certo il rischio che diversi colleghi non votino il decreto resta concreto. Penso alle mine vaganti del gruppo, quelli che se ne fregano delle indicazioni dei dirigenti. Ma anche a quelli che sono quasi certi di non essere rieletti e non hanno nulla da perdere”. Qualcuno, in effetti, ci sta già pensando. “Le poche modifiche che ci saranno in commissione – spiega un altro – non cambieranno la natura del testo: quella di Monti resta una manovra recessiva, senza equità, che non risolve il problema del debito. Non ho ancora deciso se voterò. Probabilmente darò il mio sì alla fiducia, come richiesto dal partito, ma non al provvedimento”.
Al centro delle polemiche interne al Pdl non poteva non finire Angelino Alfano. Molti criticano apertamente la sua strategia delle ultime settimane. Perché nella trattativa con Mario Monti il segretario è riuscito a spuntarla su alcuni temi (dal mancato incremento delle aliquote Irpef ai limiti alla tracciabilità dei pagamenti). Ma “quella di non presentare emendamenti alla manovra è stata una decisione senza senso – racconta uno dei pidiellini più critici – Ci voleva più fermezza. Se non ci schieriamo con chiarezza, perdiamo una parte rilevante dei nostri elettori”.
Il giovane segretario non sembra avere ancora conquistato la fiducia di tutti i suoi uomini. “Da lui ci aspettavamo altro” si confida un deputato alla prima legislatura. “Alfano parla tanto di ricambio generazionale, dice di voler dare più spazio ai giovani. Ma non succede niente. Ci aspettavamo che i vari dirigenti lasciassero il posto alle nuove leve. E lui continua a circondarsi delle stesse facce”. Il problema è sentito. Un secondo pidiellino ammette: “Berlusconi si sta facendo lentamente da parte. Ma l’oligarchia del partito è rimasta la stessa”. “Chi sono? Sempre i soliti – si sfoga un deputato in cerca di spazio – Gente come l’ex ministro Renato Brunetta e il capogruppo Fabrizio Cicchitto, che alla riunione di ieri tiravano ancora fuori la storia del complotto delle banche per far fuori il governo Berlusconi. Ma basta… Cicchitto ha parlato per 45 minuti. Ogni volta ci fa la solita lezioncina, comincia dalle elezioni del ’94. Ci tratta come bambini”.