Se non siamo razzisti perché non riconosciamo gli immigrati come uguali a noi?

Se non siamo razzisti perché non riconosciamo gli immigrati come uguali a noi?

L’assassinio ieri, martedì 13 dicembre, a Firenze di due cittadini di nazionalità senegalese e il ferimento di altri tre per mano del militante di estrema destra Gianluca Casseri riporta in prima pagina la discussione sul fenomeno dell’emigrazione nel nostro paese. Samb Modou e Diop Mor sono morti, mentre Moustafa Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Sheikh sono stati feriti, ma sono riusciti a scampati all’esecuzione. Sicuramente tutti hanno raggiunto il nostro paese in cerca di una vita migliore, lasciando il loro paese, il Senegal, che si trova nell’Africa occidentale e in senso lato nel cosiddetto Sud globale del mondo che non necessariamente coincide con quello geografico. Le discriminazioni, gli abusi e le violenze contro i migranti insieme al loro sfruttamento economico non sono certo una novità per la nostra società, ma la tragicità di questo evento mette impone la necessità di una discussione pubblica su un fenomeno come quello delle migrazioni che spesso viene semplificato, se non proprio banalizzato attraverso luoghi comuni, o peggio sfruttato faziosamente per consenso politico.

La tragedia ha fuor di dubbio una matrice razzista ed è bene ricordare che il razzismo è prima di tutto una negazione dell’uguaglianza verso persone definite “altre” in termini biologici e/o culturali in contrapposizione a un noi nel quale ci si identifica in modo rassicurante. Ridurre l’episodio al gesto di un pazzo non aiuta a interrogarsi sulle cause profonde di una ostilità pregiudiziale e ideologizzata contro quei tanti o pochi che emigrano in Italia per motivi di lavoro o perché la loro vita è messa in pericolo nei paesi d’origine a causa di guerre, disastri ambientali o persecuzioni politiche. Il fenomeno delle emigrazioni contemporanee dal Sud del mondo verso il Nord possono essere spiegate come una sorta di secondo tempo dell’espansione dell’Europa al di fuori dei suoi confini attraverso l’epoca degli imperi e l’epopea dei colonialismi.

L’esportazione delle logiche capitalistiche in colonia insieme al dominio coloniale ha stimolato consistenti fenomeni di emigrazione dalle zone rurali nei centri urbani ed economici delle colonie in Africa come in Asia con conseguenti fenomeni di inurbamento, associati spesso ad altrettanti fenomeni di pauperizzazione. Le migrazioni contemporanea verso il Nord del mondo sono il seguito di questa storia nel senso che l’internazionalizzazione dei mercati e del lavoro comportano una crescente domanda di manodopera in quelle che un tempo erano le madrepatrie degli imperi. La storia serve anche a restituire una prospettiva corretta di interpretazione della contemporaneità e in effetti quanto detto dovrebbe bastare a far capire come le cause delle migrazioni non sono affatto collocabili o riducibili in senso stretto al solo Sud del mondo.

Le tante banalità sugli immigrati che ci ruberebbero il lavoro, porterebbero malattie e infezioni, attenterebbero alla nostra sicurezza fisica e sociale sono alimentate dall’ignoranza (nel senso di non conoscenza) che si sposa felicemente con il razzismo. La verità è che i migranti contribuiscono a una porzione importante del nostro Pil nazionale, generano occupazione svolgendo spesso lavori che noi “veri” italiani non vogliamo più fare, contribuiscono con i loro contributi a pagare le pensioni dei nostri anziani e arricchiscono la nostra cultura, aiutando l’internazionalizzazione della nostra società in un mondo globale.

A prescindere dallo status di regolarità o irregolarità del soggiorno che non è affatto una condizione permanente, ma assolutamente reversibile e per tanti versi a scadenza, la nostra società spende in proporzione molto di più per politiche repressive e di sicurezza che non in quelle di integrazione. Rimane la domanda di fondo: perché la nostra società se davvero dice di non essere razzista non riconosce allora l’eguaglianza di chi viene definito come altro prima di tutto in termini culturali e sociali? Difficile sottrarsi alla domanda di fronte all’accaduto anche per quelle politiche che più di altre hanno connotato negativamente il fenomeno dell’emigrazione, ma anche per quelle altre che ne riconoscono il valore in senso positivo senza però far seguire la pratica alle parole. Una riflessione critica sul nostro attaccamento allo ius soli per la determinazione della cittadinanza, peraltro con regole particolarmente stringenti, è d’obbligo.

*Docente in Storia dell’Africa, Università di Pavia
 

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