BERLINO. – «Il count down sull’Euro è partito». Ecco uno dei titoli degli ultimi giorni apparsi sul Handelsblatt, quotidiano finanziario tedesco, proprio nella settimana decisiva della moneta europea. La fine dell’unione monetaria non è più un tabù. Se ne studiano piuttosto le conseguenze. Economisti, politici, imprese, banche, tutti gli attori della crisi cercano di abbozzare in segreto scenari del dopo-moneta. Spesso i risultati non sono confortanti: economicamente sarebbe una catastrofe, politicamente potrebbe essere la fine della pace in Europa. Ma c’è anche chi pensa che sarebbe meglio così.
La scorsa settimana ha creato una grande polemica lo studio di un economista tedesco, il professor Dirk Meyer, docente dell’università militare Helmut Schmidt di Amburgo, che ha descritto i passaggi concreti dell’introduzione di una nuova moneta. Non solo in Germania, ma nelle economie forti del Nord. Si è detto – sbagliando – che il suo è uno studio realizzato apposta per il governo tedesco, ma non è così. In un’intervista con Linkiesta, Meyer ha però ammesso di essere stato contattato da esponenti politici in virtù del suo lavoro e si è detto convinto che il governo stia vagliando alternative possibili.
Quattro passi e poco più di dieci giorni sarebbero sufficienti, secondo il professore, a introdurre una moneta del Nord. Innanzitutto, sarebbe necessario che la Commissione Europea approvasse un «protocollo europeo», che permetta l’uscita di uno o più paesi dalla moneta unica senza che questo significhi l’uscita dall’Unione Europea.
Poi, «il secondo passo», spiega il professore «prevede che i paesi che entrano a far parte della nuova moneta, approvino in Parlamento una legge che stabilisce la nascita dell’Euro del Nord». Tutto ciò, aggiunge, potrebbe essere fatto «in tempi relativamente veloci». Concretamente, in «cinque giorni». Ovviamente ci sono delle incognite: più di un paese nel Consiglio Europeo potrebbe opporsi. Questo implicherebbe tempi più lunghi. «Ma vista la velocità con cui sono stati approvati ultimamente le misure di emergenza», secondo Meyer, «si potrebbe agire molto rapidamente se c’è la volontà di farlo». «Quando entrambi questi passi giuridici saranno compiuti, le banche, in Germania e come negli altri paesi, dovrebbero chiudere per due giorni. In questo tempo dovrebbero adattare tutti i conti alla nuova moneta».
Nel nuovo scenario disegnato dal professor Meyer, però, si elimina l’effetto sorpresa. Che è, in realtà, un elemento fondamentale, secondo quanto scrive in un suo precedente studio sulla possibilità dell’introduzione di un nuovo marco tedesco. La necessità di uscire dalla moneta unica impone tempi un po’ più lunghi «almeno un paio di settimane prima si saprebbe già cosa succede».
Il passo successivo consiste nel superare una situazione intermedia per quanto riguarda il denaro contante, «dal momento che tutti possediamo banconote in euro e che la nuova moneta non cade dal cielo». Dato che il design e la stampa. di una nuova moneta hanno bisogno almeno di un anno per essere messi a punto, Meyer propone un meccanismo che potrebbe far gola a un falsario professionista. «Dopo che le banche hanno riaperto il terzo giorno, tutte le persone dovrebbero recarsi con i loro portafogli agli sportelli per farsi mettere sulle banconote un timbro». L’economista assicura di avere fatto ricerche su questo punto: il procedimento potrebbe essere fatto in modo sicuro, «grazie a un inchiostro magnetico, che verrebbe facilmente riconosciuto dagli sportelli automatici».
«In pratica avremmo a questo punto banconote euro timbrate e banconote non timbrate, dove quelle timbrate sono già automaticamente euro del Nord. Al momento di comprare qualcosa in un negozio, con i nuovi biglietti si otterrebbe da subito di più, perché la nuova moneta avrebbe, secondo quanto ho calcolato, un valore più alto, almeno del 25 o il 30%».
Il problema – questo non sfugge al professore – sarebbe che non solo i tedeschi o gli altri che ne hanno diritto proverebbero a farsi mettere il timbro sui bigliettoni, «ma anche i greci, in Germania o in Olanda, potrebbero provare a cambiare i loro soldi. Ovviamente questo non deve succedere e deve essere istituito in tempi brevi un controllo del traffico di capitali in modo di evitare l’introduzione illegale di vecchi euro».
Quali paesi potrebbero partecipare a questo Euro del Nord? «Io valuto che potrebbero essere, oltre alla Germania, anche Austria, Olanda, Lussemburgo, Finlandia e forse anche la Repubblica Ceca. Non riesco a immaginarmi che ci sia anche la Francia, semplicemente perché ha un’altra politica monetaria, e includendola, il virus (della crisi, ndr) sarebbe di nuovo presente nella nuova unione monetaria».
Ma è davvero possibile evitare che in una nuova unione monetaria non si presentino gli stessi problemi? Stando a quanto dice il professore, le condizioni per entrare nel’Euro del Nord dovrebbero ovviamente essere severe. «Avremmo così almeno la sicurezza che all’interno dell’Unione Europea coesistono due monete che raggruppano paesi economicamente omogenei tra loro», assicura. In una situazione simile, non ci sarebbe bisogno di un governo economico centrale.
Uno degli argomenti più frequenti contro alla possibile creazione di una moneta forte è quello delle esportazioni. La maggior parte delle esportazioni della Germania si dirigono a paesi della Zona Euro, la nuova moneta, più forte, le penalizzerebbe. «Io vorrei relativizzare però questo problema», dice il prof. Meyer, «perché il 40% del valore delle esportazioni tedesche consiste in materie prime o semilavorate che vengono da fuori. Questo significa che quando noi produciamo macchine in Germania importiamo tra il 40 e il 60% dei materiali dalla Slovacchia. In altre parole, il valore di queste importazioni sarebbe più economico». Allo stesso modo, sarebbero avvantaggiati i consumatori tedeschi perché i beni importati sarebbero meno cari e aumenterebbe la concorrenza. E in ogni modo, la situazione attuale implica un problema per le esportazioni tedesche, «cosa succede quando Portogallo o Grecia non possono più pagare?», si chiede il professore.
I paesi più colpiti dalla crisi hanno un problema attualmente per il fatto «di avere un euro sopravvalutato». Al contrario, «con una moneta svalutata», l’economia di questi paesi «potrebbe tornare in piedi». Il problema consiste anche nei debiti: è un tema che riguarda in particolare i paesi dell’ipotetico Euro del Nord, che hanno prestato denaro in euro o che possiedono beni fuori dalla zona della moneta forte.
Quali sarebbero quindi i costi dell’intera operazione per un paese come la Germania? La semplice introduzione della moneta come processo costerebbe 20 miliardi, cioè poco. «I costi maggiori risiedono nella perdita di valore dei beni che la Germania possiede all’estero», e si aggirerebbero, secondo i calcoli dell’economista, intorno ai 250 e 350 miliardi di euro, cioè molto. «Però bisogna sempre ragionare in modo relativo. Ho calcolato che rimanere in questa specie di “transferunion” ci costa circa 80 miliardi all’anno».