2012: un anno per dimostrare che l’euro non è fallito

2012: un anno per dimostrare che l'euro non è fallito

Il 2012 sarà più duro del 2011. Almeno per l’Europa, l’anno appena iniziato non sarà positivo. Recessione, crisi finanziaria, rischi di stabilità dell’euro: l’Ue si appresta a vivere il più difficile anno dalla sua creazione. E lo fa proprio mentre i Paesi emergenti sono sempre meno emergenti e più scalpitanti. Dieci anni fa l’euro entrava nei portafogli del mondo e i Brics erano solo una sigla. Ora possono essere la nostra salvezza. Nel 2012 si capirà quanto è grave la malattia che affligge Italia ed Europa e se ci sono delle cure disponibili. Nel 2012 si capirà fino a che punto la crisi finanziaria potrà incidere sul prossimo decennio globale e in che modo cambierà gli assetti di potere geopolitico. Nel 2012 si capirà se l’euro è stata una scommessa vinta o persa.

L’Europa ha di fronte a sé diverse sfide. In primis deve dimostrare che l’euro, la moneta unica che è entrata nelle tasche degli europei dieci anni fa, non è un fallimento. Allo stesso tempo non deve permettere che l’inefficienza nella gestione di questa crisi debitoria possa mettere in dubbio lo stesso progetto europeo degli anni Cinquanta. Per farlo gli appuntamenti non saranno pochi. Il primo, più importante per capire che direzione vogliono prendere Francia e Germania, è quello del 30 gennaio. In quella data il Consiglio europeo dovrà discutere i dettagli dell’accordo sul patto fiscale del 9 dicembre scorso, che ha visto il gran rifiuto del Regno Unito. Poi, dovranno essere risolte tante questioni, ognuna delle quali rappresenta un tassello nel puzzle capace di far trovare all’Ue una via per il futuro.

Il fondo salva-Stati permanente, lo European stability mechanism (Esm), rischia di morire ancora prima di nascere. Doveva essere attivato alla metà del 2013, in sostituzione dello European financial stability facility (Efsf), ma vedrà la luce prima, entro il giugno 2012. Eppure, come ha già ribadito il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, «i fondi difficilmente saranno raccolti entro il 2012». Un fondo senza fondi, insomma.

Ancora, da risolvere c’è la grana della riforma dei Trattati, sollevata per la prima volta dal Cancelliere tedesco Angela Merkel. Uscire dall’euro non si può, come spiega l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Eppure, continuano le spinte affinché possa essere messo in atto un meccanismo capace di disciplinare anche questa opportunità. Ci sono poi la Grecia, che ancora non trova una soluzione per i suoi mali, e la Francia, che ha due nodi irrisolti: l’eventuale perdita del rating AAA e la tornata elettorale. Entrambi saranno cruciali tutta la zona euro.

Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti dovranno dimostrarsi capace di evitare il contagio della crisi dell’eurodebito. Non sarà facile, ma è un compito che sia Tesoro sia Federal Reserve possono gestire, come dimostrano le diverse azioni che negli ultimi sei mesi hanno caratterizzato l’economia globale. Di contro, l’America sta combattendo contro una disoccupazione che è ancora oltre i livelli di guardia e contro un sistema finanziario ancora drogato dai mutui subprime, come lascia percepire il caso Bank of America. Una partita importante la giocherà la tornata elettorale, in cui i Repubblicani stanno ancora ancora cercando una valida alternativa a Barack Obama.

L’Asia potrà avere un ruolo primario nella crisi dell’eurodebito. Con la revisione dei diritti speciali di prelievo (Special drawing right o Sdr), il Fondo monetario internazionale può garantire una finestra di liquidità per l’Europa, capace di evitare un avvitamento della situazione. In caso contrario, sarà difficile una risoluzione veloce. Lo si è visto con la Grecia. La ristrutturazione del debito ellenico, circa 365 miliardi di euro secondo i dati Fmi, non sta procedendo come previsto e non è possibile, per motivi di stock di risorse, andare in aiuto di Italia e Spagna in un modo differente.

Nonostante questo, lasciar cadere Roma o Madrid non conviene a nessuno, né per ragioni economiche né per ragioni politiche. Il 2012 sarà l’anno che sancirà il ritorno della recessione in Europa. I primi segnali si sono già visti nei mesi scorsi e le diverse misure di austerity che i Paesi dell’eurozona hanno messo in campo avranno un effetto depressivo che non potrà che peggiorare la percezione degli investitori. Se in Asia si cresce, in Europa così non è. Ma non solo. La perdita di fiducia nei confronti del Vecchio continente è senza fine. I fondi del mercato monetario (Money market fund, Mmf) globali hanno già iniziato in maggio a drenare la liquidità dall’Europa per fornirla a economie con prospettive più stabili, come l’Asia. Difficile pensare il contrario. Di fronte a uno scenario incerto come quello europeo, un investitore continua a preferire Usa e Giappone.

Lo testimoniano i dati della distribuzione della liquidità degli Mmf, diramati dall’agenzia di rating Fitch a inizio dicembre. Il quadro per il 2012 è fosco. La ricchezza di sta distribuendo in modo sempre più omogeneo verso gli Emergenti, o Emersi, come ha spiegato anche Jim O’Neill, numero uno di Goldman Sachs Asset Management e coniatore del termine Bric, l’acronimo che racchiude Brasile, Russia, India e Cina. Infatti, le nuove frontiere dell’investimento si chiamano Polonia, ricca di shale gas (gas non convenzionale), o Mongolia, una delle realtà economiche più floride degli ultimi anni.

Sul fronte italiano, il governo tecnico di Mario Monti è atteso alla prova del nove, quella della crescita economica. Sebbene l’Italia stia registrando un avanzo primario e abbia avviato un programma di consolidamento dei costi pubblici, una delle insidie maggiori potrebbe arrivare dai costi di rifinanziamento del debito pubblico, attualmente intorno ai 1.900 miliardi di euro, circa il 120% del Pil. Secondo quanto dichiarato da Maria Cannata, direttore del Dipartimento del Debito pubblico, nel 2012 l’Italia dovrà scendere sui mercati obbligazionari per circa 440 miliardi di euro. E se a inizio 2011 il rendimento del Btp decennale era al 4,8%, ora è sopra il 7 per cento. E non è escludibile a priori un eventuale intervento di sostegno del Fmi, dopo il monitoraggio iniziato con il G20 di Cannes.

Molto dipenderà dalle misure che Monti adotterà per, da un lato risanare i conti pubblici, dall’altro far riprendere un’economia troppo spesso frenata da ostacoli figli di una struttura corporativistica. Se il 2011 è stato l’anno della paura, il 2012 rischia di essere quello della consapevolezza. L’Europa ha perso la via e per ritrovarla non c’è molto tempo. Gli investitori lo sanno e stanno agendo di conseguenza. Le sfide sono molte, i problemi pure. E non è detto che nei prossimi 365 giorni si riesca a trovare una soluzione. 

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