Dalla Sars alla profezia Maya, un decennio di bufale

Dalla Sars alla profezia Maya, un decennio di bufale

Avete bevuto più spumante del solito ieri sera? Non sarebbe stata una cattiva idea: era l’ultima occasione per brindare a un nuovo anno. Ammesso, ovviamente, che voi crediate alla profezia dei Maya e stiate aspettando la fine del mondo il 21 dicembre.

Se lo scetticismo non è il vostro forte, siete in buona compagnia: negli Stati Uniti l’improbabile scenario di una prossima apocalisse ha spinto alcuni imprenditori a ristrutturare i rifugi antiatomici della Guerra Fredda, mentre l’azienda californiana Vivos ne sta costruendo uno per 950 persone nel Nebraska. E no, non è una mania dei soliti americani: in Italia la Matex Security di Pontedera lavora alla realizzazione di almeno quattro bunker in montagna. E il titolare, Lorenzo Remorini, assicura che le richieste sono triplicate dal 2009 ad oggi. Per risultare più convincente, comunque, sul sito dell’azienda ha messo un bel conto alla rovescia dei giorni che ci rimangono.

A voler minimizzare, tra incidenti nucleari, rivoluzioni dal finale incerto e crisi finanziarie, the end of the world as we know it l’avremmo sfiorata diverse volte già nel 2011. Non ci sono state le tempeste solari immaginate dal regista Roland Emmerich nel suo ultimo film, 2012, ma per ribaltare il nostro mondo, o perlomeno il nostro modo di vivere, basterebbe molto meno: il crollo dell’euro, una crisi energetica o una guerra. Non a caso, dopo le rivolte in Medio Oriente e lo tsunami in Giappone dello scorso marzo le aziende specializzate in bunker sotterranei hanno visto aumentare le prenotazioni del 400%.

C’è poco da sghignazzare, però: nell’ultimo decennio abbiamo abboccato a tante di quelle emergenze, smettendo di andare al girarrosto sotto casa dopo il primo telegiornale allarmista – perché “non si sa mai” – che tra noi e un paranoico che spende dai tre ai settecentomila euro per un bunker sull’Appennino, forse, la differenza è solo nel portafogli.

Abbiamo cominciato con il millennium bug: task force governative, costosissimi test nelle aziende, scenari apocalittici sui giornali. Per mesi la paura che cadessero aerei, che banche e centrali nucleari andassero in tilt e le città restassero al buio ci ha tenuto col fiato sospeso, sino all’ultimo rintocco della mezzanotte millenaria… quando non è successo un bel niente. Ma, come sostiene Andrea Kerbaker, un ex manager di Telecom che ha raccontato le psicosi di questi ultimi anni nel libro “Bufale Apocalittiche”, contro l’isteria collettiva non esiste vaccino.

Non paghi della lezione del Y2K, solo un anno dopo abbiamo cominciato ad aprire la posta con cautela temendo di trovare polverine bianche. Nonostante tutte le 150 segnalazioni fatte in Italia si fossero rivelate false, il settimanale Panorama pubblicò un supplemento di 16 pagine per spiegare i pericoli dell’antrace, “la prima guida sul terrorismo biologico”. Così, giusto per tranquillizzare la gente.

Il 2001 è stato anche l’anno della mucca pazza. Dopo mesi di allarme e fosche previsioni (“centinaia di migliaia di morti”, riportavano i maggiori quotidiani) in Inghilterra le vittime furono 93. Nel frattempo però le vendite di carne bovina crollarono del 50% in Italia e Germania, e persino McDonald’s accusò il colpo: per la prima volta nella sua storia, il colosso degli hamburger registrò un calo dei bilanci per nove mesi consecutivi.
Poi è stata la volta della Sars (il cui nome è stato creato apposta dall’Oms “per essere facilmente memorizzabile”), dell’influenza A e dell’aviaria: con buona pace di Čajkovskij, la morte di un cigno non ha mai appassionato tante persone come nella primavera del 2006.

In tutti e tre i casi, il virus della paura si è rivelato molto più contagioso della malattia stessa. Abbiamo speso milioni di euro per allestire cordoni sanitari negli aeroporti serviti dalle compagnie orientali, o per acquistare vaccini e antiretrovirali come il Tamiflu (rimasti poi sugli scaffali) facendo la fortuna di case farmaceutiche e dei produttori di mascherine. Utili, quest’ultime, soltanto come placebo, eppure assurte a icone della nostra ansia.

La paura, del resto, non è stata affatto debellata. In queste settimane le autorità statunitensi hanno censurato il lavoro di alcuni ricercatori olandesi e americani che hanno trasformato in laboratorio il virus dell’H5N1, rendendolo non più letale ma potenzialmente molto più contagioso. La National Science Advisory Board for Biosecurity ha vietato la pubblicazione dei dati sensibili della ricerca, temendo che diventi un’arma di distruzione di massa se replicata dalle mani sbagliate. La comunità scientifica è divisa, dato che censurare significa anche rallentare la ricerca di un vaccino, ma di certo c’è solo che anche in passato la mancata comunicazione non ha portato proprio bene.

Nel 2002 la Cina nascose per diverse settimane i malati di Sars, rallentando i tempi di reazione delle autorità sanitarie. La stessa cosa accade in uno dei primi romanzi catastrofisti del Novecento, La Peste Scarlatta, un libro di Jack London in cui l’apocalisse arriva, curiosamente, nel 2013. Un virus potentissimo falcidia l’umanità, gli Stati Uniti sono impreparati perché Londra si è tenuta per sé la notizia dell’epidemia. Quando arriva la peste, i poliziotti fuggono e New York diventa ingovernabile. A descrivere gli incendi e le razzie che si diffondono nella metropoli con la stessa rapidità del morbo è un centralinista abbarbicato in cima a un grattacielo, che con il telegrafo racconta l’apocalisse in diretta, finché anche quell’ultima voce della modernità tace, non si sa se uccisa dal virus o dai propri simili.

Come ne La Guerra dei mondi di Herbert George Wells e in tutti i derivati hollywoodiani – dalle invasioni aliene alle più recenti e “verosimili” catastrofi Contagion e The Day after Tomorrow – prima ancora che il virus o il nemico, è il panico a distruggere la civiltà.

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