Italia, Ungheria ed Efsf. L’eurozona torna a soffrire per colpa delle tensioni intorno a Roma, Budapest e al suo fondo salva-Stati European financial stability facility (Efsf). Da un lato il crollo dei titoli bancari italiani, dall’altro il timore che possa degenerare oltre modo la situazione ungherese. In mezzo, il pessimo risultato dell’asta odierna del fondo Efsf, che ha collocato tre miliardi di euro a un tasso d’interesse sette volte maggiore rispetto all’ultima uscita sul mercato. Nel frattempo, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha comunicato che sta compiendo una serie di stress test sulle banche giapponesi. I risultati saranno resi noti a luglio ed evidenzieranno il grado di esposizione alla crisi dell’eurodebito. Il contagio è ormai globale. Forse anche per questa ragione il presidente del Consiglio Mario Monti ha lasciato oggi Roma in direzione Bruxelles per un incontro non previsto.
L’apertura delle piazze finanziarie europee è stata negativa. A trainare i ribassi l’Italia, con il principale listino, il Ftse Mib, appesantito dal comparto bancario, che è arrivato a cedere oltre 3,5 punti percentuali. Dopo l’aumento di capitale di ieri, UniCredit ha continuato a perdere terreno. Via via tutte gli altri istituti di credito hanno seguito la via di Piazza Cordusio. Le sospensioni per eccesso di ribasso si sono susseguite per tutta la mattinata e la volatilità non ha risparmiato nemmeno Mediobanca, che intorno alle 13:30 perdeva oltre 5,5 punti percentuali. A pesare è stata soprattutto l’operazione di UniCredit, specie in vista del prossimo round di ricapitalizzazioni che le banche italiane dovranno effettuare dopo gli stress test dell’European banking authority (Eba). Ma a peggiorare la situazione ci ha pensato il fondo Efsf, che oggi scendeva sui mercati per un’obbligazione da 3 miliardi di euro in vista del programma di sostegno di Irlanda e Portogallo. Il collocamento è stato diverso dalle attese: i tassi d’interesse sono risultati essere sette volte maggiori rispetto all’asta precedente.
Non si sono placate le tensioni nemmeno sui titoli di Stato italiani. I rendimenti dei titoli di Stato decennali sono velocemente tornati sopra quota 7% e lo spread ha avuto una tendenza analoga. Il differenziale di rendimento fra i Btp italiani e i Bund tedeschi, infatti, ha toccato ancora i 520 punti base, salvo poi decrescere dopo l’arrivo della Banca centrale europea (Bce). Tramite il Securities markets programme (Smp), l’istituzione guidata da Mario Draghi è intervenuta sul mercato secondario dei titoli di Stato acquistando «grandi quantitativi» di Btp, come spiegano a Linkiesta diversi trader. In peggioramento anche i Credit default swap (Cds), i derivati che proteggono dall’insolvenza di un creditore, collegati al debito italiano. Alle 15:00 il Cds era a quota 523 punti base sugli schermi di Markit, un valore che non toccava dal 19 dicembre scorso.
Diversa la situazione in Ungheria. Il negoziatore del governo ungherese con il Fondo monetario internazionale, Tamás Fellegi, ha oggi apertamente parlato di «crisi grave e senza precedenti», rimarcando il fatto che «bisogna trovare quanto prima un accordo con Ue e Fmi». I timori di Bruxelles è che l’indipendenza della banca centrale ungherese, la Magyar Nemzeti Bank, possa essere minato dalla nuova legge approvata in dicembre. Quest’ultima prevede un nuovo assetto per il Consiglio monetario della propria istituzione monetaria, sbilanciato a favore del governo. Il premier Viktor Orban continua a ribadire che non ci sono problemi e che l’Ue deve restare fuori dagli affari interni. In base a queste dichiarazioni e alla crescente tensioni attorno al programma di sostegno varato nel 2008 dal Fmi, il Cds sul debito ungherese è schizzato oltre i 750 punti base sulla piattaforma Markit. Colpa in particolare del fallimento del collocamento di titoli di Stato da parte di Budapest. Sui 45 milioni di fiorini programmati dal Tesoro, solo 35 sono stati collocati, con un tasso d’interesse in forte aumento rispetto all’ultima asta, dal 7,91% al 9,96 per cento. La paura è che la crisi di Budapest possa contagiare anche le banche austriache, esposte per 226 miliardi di euro sull’Europa dell’est e con asset gestiti per 1.140 miliardi, secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali. A catena, un peggioramento negli istituti di credito austriaci potrebbero pesare su UniCredit, fortemente esposta sia su Vienna sia nell’Est Europa.
Dopo il taglio a junk del rating da parte di Standard & Poor’s, avvenuto in dicembre, l’Ungheria cerca un difficile ritorno alla normalità. Nel terzo trimestre del 2011 il rapporto debito/Pil è salito fino a quota 82,6%, mentre nel secondo trimestre era al 76,8 per cento. Colpa della nazionalizzazione dei fondi pensione privati, azione che ha visto un esborso finanziario di 13 miliardi di euro da parte del governo centrale. Del resto il deficit per il terzo trimestre, secondo la Banca centrale d’Ungheria, è stato calcolato al 5,7 per cento. Questo elemento, ha spiegato l’istituzione guidata da András Simor, porterà l’Ungheria a mancare gli obiettivi di bilancio nel prossimo anno. Se il deficit/Pil nel 2011 è stato del 2,5%, nel 2012 «è possibile che sia ben oltre il 3,7%», ha spiegato a metà dicembre Simor. E dire che la crescita economica di Budapest, circa 1,5 punti percentuali sono previsti dal Fmi per quest’anno, è di gran lunga migliore di quella dell’eurozona.
Le maggiori preoccupazioni arrivano quindi dalla situazione politica, con il premier Orban che sembra essere in rotta di collisione con Ue e Fmi. Diversi funzionari della Commissione stanno esprimendo il proprio disappunto. Il pericolo è che i conti pubblici possano essere peggiori del previsto. Uno scenario già visto con la Grecia.