Secondo molti, il sorpasso del Brasile sulla Gran Bretagna certificato dall’ultima edizione del World Economic League Table (Welt) del Centre for Economic Business Research è la notizia di fine anno. Una bella soddisfazione per Dilma Rousseff, presidente da un anno, vedere il proprio paese alla sesta posizione – anche se forse la vera notizia è che continuando di questo passo il ranking economico del Brasile sarà più alto di quello calcistico, in cui i verdeoro sono appunto sesti e rischiano di farsi superare anche dal Portogallo! Perlomeno la prima donna a presidere il maggior paese dell’America Latina può consolarsi col fatto che le giocatrici brasiliane sono quarte al mondo…
Al di là delle facili ironie, che un paese che poco più di 10 anni fa si dibatteva ancora in una grave crisi finanziaria possa avere ormai un Pil più alto che la nazione che è stata la culla della Rivoluzione Industriale dà ben il senso dei cambiamenti in atto nella geografía globale della ricchezza e del potere e della gravità della crisi in cui dal 2008 si dibatte l’Occidente. Ovviamente il Pil è una misura arida e non corrisponde necessariamente al livello di qualità della vita – anche se i brasiliani sono uno dei popoli al mondo più soddisfatti della propia vita, molto più che gli italiani in ogni caso… Non va neanche dimenticato che la popolazione del Brasile, 192 milioni di abitanti, è più del triplo di quella britannica e italiana e che pertanto il Pil pro capite è meno di un terzo che in Gran Bretagna e Italia.
Si è molto scritto dell’eredità che Lula ha lasciato a Dilma. L’ex sindacalista ha controllato l’inflazione, in gran parte perché l’azione macroeconomica del suo governo ha seguito il solco della precedente amministrazione Cardoso. L’economia ha ovviamente potuto trarre grande beneficio dal boom mondiale delle materie prime, grazie al quale i termini di scambio del Brasile – il rapporto tra prezzi di esportazioni e importazioni – sono migliorati. Tra Cardoso e Lula diverse, invece, sono state politica sociale e industriale. L’introduzione della Bolsa Familia ha dato risultati eccellenti in termini distributivi. Lula ha anche dimostrato maggior fiducia nel ruolo dello stato nell’economia, adottando una politica industriale ambiziosa e non lesinando le risorse pubbliche per banche e imprese statali. Il Bndes (Brasilian Development bank) in particolare, è intervenuto con vigore per sostenere l’economia nei momenti più critici della crisi globale e aiutare le grandi imprese brasiliane a internazionalizzarsi.
Maria Nilza, 36 anni, quattro figli, mostra la sua tessera della Bolsa Familia (Afp)
Dilma non si è a sua volta scostata dal solco degli otto precedenti – né era lecito aspettarselo dato che di Lula è stata prima ministro dell’Energia e poi la più stretta collaboratrice. Malgrado gli indubbi successi, è però cresciuta la preoccupazione che il modello di sviluppo sia troppo dipendente dal boom delle commodities, un timore che è acuito dalla scoperta degli immensi giacimenti petroliferi sottomarini (il pré-sal). Una volta a regime, questi consentirebbero infatti sì al Brasile di diventare una grande potenza energetica, ma accentuerebbero anche la pressione sul tasso di cambio e ridurrebbero ulteriormente la competitività dell’industria manifatturiera. Attualmente il Brasile è un’economia molto diversificata, in cui i servizi rappresentano più della metà del Pil, il manifatturiero circa un terzo, agroalimentare e agricoltura 14% e le risorse naturali un modesto 3% — molto meno che in Russia, con cui ogni tanto viene comparato.
Il Plano Brasil Maior (Pbm), lanciato ad agosto, dovrebbe rispondere a queste sfide, in un quadro in cui la competizione internazionale è sempre più accesa e il resto dell’America Latina – cui vanno tuttora gran parte delle esportazioni manifatturiere – è oggetto delle mire commerciali cinesi. Come ha detto il ministro dello Sviluppo, Industria e Commercio Estero, Fernando Pimentel, «um país desenvolvido é um país que tem uma indústria» («un paese sviluppato è un paese con un’industria»). Per raggiungere questo obiettivo, il Pbm prevede di alleggerire il carico tributario sui salari delle imprese ad alta intensità di manodopera, compensato da un’imposta sui profitti del 2,5%; ridurre le imposte all’esportazione e aumentare le risorse destinate al finanziamento dell’export; sviluppare l’investimento in innovazione e R&S (ricerca e sviluppo); irrobustire l’azione in difesa degli interessi commerciali; e creare regimi speciali per l’incrementare valore e contenuto tecnologico nelle catene produttive.
Vita cittadina a Sao Paulo, nella sua regione metropolitana vivono 20 milioni di persone (Afp)
Sarà sufficiente? Per crescere in maniera sostenibile ed equa un’economia ha bisogno di accrescere la propria produttività e il Brasile non fa eccezione. Una politica per la crescita deve a sua volta stimolare l’innovazione, la formazione del capitale umano – sia di base, sia altamente qualificato – e il finanziamento delle idee migliori. Gli sforzi vanno sicuramente nella buona direzione, ma il gap rimane enorme. Qualsiasi sia il tema e il paese va di moda fare il confronto con la Cina e sicuramente in questo caso ne vale la pena. Se guardiamo per esempio la spesa in R&S, nel 2000 era più o meno equivalente – 0,9% del Pil in Cina e 1% in Brasile. Nel 2009 era leggermente cresciuto in Brasile (1,2%) mentre in Cina era quasi duplicato (1,7%), un risultato che ovviamente è ancora più impressionante in valore assoluto (la Cina spende 6,5 volte quello che spende il Brasile). Altrettanto interessante l’andamento delle pubblicazioni scientifiche: sono certo esplose in Brasile – da meno di 2 mila nel 1981 a oltre 32 mila nel 2009 – ma in compenso in Cina sono passate da 1.204 a 118.108!!
Si può dire insomma che il Brasile è in mezzo al guado. È sicuramente avviato su un sentiero meno volatile che nel passato, quando le crisi di bilancia dei pagamenti si susseguivano e i piani d’aggiustamento non riuscivano a debellare il cancro dell’inflazione e dei suoi effetti devestanti sul potere d’acquisto dei più poveri. Ma è ancora lontano dalla velocità di crociera che permette di fare il grande salto da paese povero a paese ricco. Un passo che in pratica solo la Corea è riuscito a fare negli ultimi 50 anni.
*Senior Economist, Ocse