«Non c’è una sola fetta sociale vergine e i rischi di contagio sono costanti, anche se bisogna sempre distinguere il grano dal loglio». Sono queste le parole scelte dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. E ha aggiunto: «i casi di consiglieri regionali, sindaci, consiglieri comunali già processati che testimoniano il forte interesse della ’ndrangheta per le amministrazioni locali. Ciò è essenzialmente dovuto al crescente ruolo degli enti locali, agli appalti, alle assunzioni, alla fornitura dei servizi, nel quadro del controllo del territorio che le cosche mafiose perseguono».
Dichiarazioni che arrivano dopo che la gestione del Comune di Reggio Calabria è stata messa sotto controllo dal Ministero dell’Interno. Il dicastero retto da Anna Maria Cancellieri ha disposto l’accesso agli atti dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria perché si ritiene che esista il concreto pericolo che la sua attività possa essere condizionata da interessi mafiosi.
La Commissione di accesso è un organismo dipendente dal Ministero dell’Interno e viene nominata dalla Prefettura competente sulla città interessata. La commissione ha poteri investigativi e ha il compito di passare al setaccio l’attività amministrativa comunale. Nel caso in cui, a seguito degli accertamenti, emergessero forme di condizionamento della criminalità organizzata sul regolare funzionamento dell’amministrazione pubblica, il Consiglio comunale può essere sciolto fino all’eventuale arresto dei suoi componenti.
Che fine ha fatto il “Modello Reggio” a lungo lodato dall’ex sindaco di Reggio e attuale governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti? Stando alla relazione che il prefetto di Reggio Calabria Varratta ha inviato al Viminale lo scorso Dicembre, non è mai esistito. E così il 20 gennaio scorso il prefetto ha nominato 3 commissari ministeriali, incaricati di accertare l’esistenza di eventuali tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale di Reggio.
Il vice-prefetto Valerio Valenti, la dirigente del Ministero dell’Interno Teresa Pace e l’ufficiale della Guardia di Finanza Michele Donega avranno il compito di leggere le carte delle numerose inchieste che vedono coinvolti esponenti politici reggini e valutare se l’attività amministrativa del comune è stata influenzata o meno. Infatti il prefetto Varratta ha chiarito che «la decisione del ministero dell’Interno di disporre la commissione è un atto dovuto rispetto a due operazioni di polizia giudiziaria che hanno riguardato la società “Multiservizi” ed un consigliere comunale (Giuseppe Plutino, nda)».
Il nome del consigliere del comune di Reggio Calabria Plutino compare nelle carte dell’indagine “Alta tensione 2” coordinata dalla Dda reggina, che nel Dicembre scorso ha portato all’arresto – tra gli altri – dello stesso esponente politico del Pdl. Per Plutino, che è stato consigliere comunale per tre legislature, oltre che assessore all’Ambiente, l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo il Pm della Dda Colamonaci, «Plutino forniva un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo alla cosca Caridi come referente politico del sodalizio, destinatario delle preferenze elettorali (…) raccolte in suo favore dagli esponenti della cosca». Per sdebitarsi dopo aver incassato l’elezione in consiglio comunale, Plutino avrebbe fatto pressioni, secondo gli inquirenti, sul consigliere regionale Giovanni Nucera (del Pdl) affinché assumesse nel suo staff Domenico Condemi, che sarebbe un esponente della cosca di riferimento.
Nucera si sarebbe quindi rifiutato di assumere Condemi, ma ha assunto Maria Cuzzola, sua cugina. L’intera vicenda venne alla luce soltanto mesi dopo, quando il consigliere regionale denunciò alle autorità le minacce ricevute da Condemi, deluso dal fatto che la cugina non fosse stata confermata nello staff del consigliere regionale dopo la scadenza del primo contratto di tre mesi. E così vennero fuori anche le presunte pressioni del consigliere comunale di Reggio Calabria Plutino a Nucera.
Come affermato dal prefetto Varratta, tra le vicende di cui si occuperà la commissione voluta dal Ministero dell’Interno, c’è l’inchiesta sulla società municipalizzata “Multiservizi”, che nel Novembre scorso ha portato all’arresto di 11 persone e al sequestro di beni per 50 milioni di euro. Le indagini hanno svelato che la società “Multiservizi” era partecipata non solo dal comune di Reggio Calabria, ma anche dalla cosca Tegano.
Tra i beni sequestrati ci furono le società “Rec.im” e “Gestioni servizi territoriali”, attraverso le quali il clan avrebbe controllato il 49% della “Multiservizi spa”, mentre la maggioranza delle azioni era in possesso del Comune. La Guardia di Finanza scoprì che la cosca sarebbe riuscita a controllare la municipalizzata attraverso una serie commercialisti, avvocati e altri noti professionisti che svolgevano la funzione di prestanome.
A causa della cattiva gestione della “Multiservizi” scioperarono anche i dipendenti, per protestare contro gli stipendi non pagati. Ma la malversazione della municipalizzata è solo il dito che indica la Luna, rappresentata in questo caso dal buco di bilancio nelle casse del Comune di Reggio Calabria. E anche se il prefetto Varratta ha assicurato che “il compito della commissione ministeriale non ha nulla a che vedere con la questione del buco economico, che riguarda l’aspetto contabile dell’ente”, la questione non potrà essere elusa dai 3 commissari incaricati.
Il comune è infatti sull’orlo della crisi finanziaria, con un disavanzo accertato dagli ispettori del ministero dell’Economia di circa 170 milioni di euro, maturato dal 2006 al 2010. L’inchiesta della Procura sulle casse del Comune si occupa dell’ammanco di “soli” 87 milioni di euro riferiti ai due anni oggetto delle indagini e a fatti costituenti presunti reati. Dalle indagini della Procura sarebbero emerse presunte irregolarità contabili nei bilanci approvati dall’ente nel periodo 2008-2010 e queste irregolarità vengono contestate all’ex-sindaco di Reggio Calabria Scopelliti e ai tre revisori dei conti che hanno certificato i bilanci del Comune.
Ma all’attenzione non c’è solo il Comune di Reggio, finito sotto il controllo stretto del Ministero, ma anche vari componenti del Consiglio regionale sono già finiti al centro di indagini per via di presunti rapporti con le cosche della ‘ndrangheta. Il 30 Novembre scorso, è stato arrestato il consigliere Francesco Morelli (Pdl), che secondo gli inquirenti potrebbe essere l’anello di collegamento tra i clan e gli ambienti politici nazionali. Il consigliere, eletto nella lista “Pdl-Berlusconi per Scopelliti”, avrebbe raccolto una serie di notizie riservate su indagini che riguardavano il clan Valle rivolgendosi al magistrato Giglio (anche lui arrestato come raccontato da Linkiesta), il quale gli avrebbe mandato anche un fax per tranquillizzarlo sul fatto che non ci fossero indagini a suo carico.
Nel giugno scorso invece l’ex consigliere comunale del Pdl Santi Zappalà venne condannato in primo grado a 4 anni di reclusione, per essersi recato a casa del boss Giuseppe Pelle di San Luca (RC) e aver chiesto e ottenuto l’appoggio delle ‘ndrine nelle elezioni regionali del 2010. Zappalà, eletto con più di 11mila preferenze, venne filmato dai Carabinieri mentre a bordo della sua Alfa Romeo 159 raggiungeva il boss Pelle. Negli atti anche le intercettazioni tra i due, che provano lo scambio – almeno intenzionale – tra appoggio elettorale e futura assegnazione di appalti pubblici alle ditte “giuste”.