Amina suicida per aver dovuto sposare il suo stupratore

Amina suicida per aver dovuto sposare il suo stupratore

Amina aveva quindici anni quando venne rapita e violentata: un anno dopo, costretta a sposare il suo stupratore che non aveva mai smesso di picchiarla, si è suicidata con il veleno per topi. La storia tragica di questa ragazza di Larache ha scosso tutto il Marocco, e soprattutto ha rimesso in discussione una tradizione non scritta che per il buon nome delle famiglie tende a riassorbire il reato di stupro in un contratto di matrimonio. Soluzioni concordate fra le parti, anche contro il volere della vittima, e consigliate in sede giudiziaria quando si contestano episodi di maltrattamenti contro le donne.

Così è stato anche in questo caso: i genitori di Amina sono andati dal Pubblico Ministero di Tangeri a denunciare il ventiseienne responsabile della violenza sessuale ai danni della figlia e la proposta è stata quella delle nozze “riparatrici”: un ottimo modo per l’aggressore di evitare una condanna da cinque a trent’anni, così come previsto dalla legge; e l’unica possibilità socialmente accettabile per le famiglie coinvolte, per evitare la vergogna e il giudizio negativo della comunità.

Il Codice Penale marocchino riconosce lo stupro come reato, ma l’articolo 475 offre di fatto una scappatoia agli stupratori, perché consente di sposare la vittima, se minorenne, e sottrarsi in questo modo ad un processo penale.Una pratica che secondo la tradizione consentirebbe di preservare l’onore della famiglia della donna, violato dalla perdita della verginità.

«Purtroppo è un fenomeno ricorrente – ha dichiarato Fouzia Assouli, presidente della Lega Democratica per i Diritti delle Donne – perché il matrimonio serve ad evitare lo scandalo, oltre al fatto che in alcuni casi le famiglie temono che le figlie non riescano più a sposarsi dopo un fatto del genere. Per questo da anni chiediamo la cancellazione dell’articolo 475 del Codice Penale».

Eppure il Marocco ha aggiornato il proprio Codice della Famiglia nel 2004, proprio nell’ottica di un miglioramento dei diritti delle donne ma, come oggi sostengono tanti attivisti, le riforme non sono ancora sufficienti se la protezione della moralità pubblica viene prima di quella dell’individuo. Dopo le nozze forzate, Amina aveva più volte confidato alla madre che il marito la picchiava, e la donna le aveva risposto di essere paziente. Dopo cinque mesi ha deciso di togliersi la vita.

La sua storia è finita sulla prima pagina del quotidiano marocchino Al Massae, ed è rimbalzata in rete attraverso i social network da dove è partita una petizione per chiedere la fine di questa pratica che salva gli stupratori e annienta ogni forma di tutela per le vittime. Su Facebook sono nati diversi gruppi in ricordo di Amina, come Amina Al Filali victime de viol ed d’injiustice e Amina Filali: abolish obscene Moroccan law article 475. In uno degli ultimi commenti pubblicati si legge: «Le ragazze vengono costrette a sposarsi con i loro aguzzini, e l’articolo 475 oscura il crimine dello stupro. Nel diffondere la storia di Amina denunciamo la violenza che si compie impunemente». L’obiettivo è di raggiungere le 250mila firme e poter chiedere davvero una legge organica a tutela delle donne.

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