«Ci sono 8 veicoli blindati fuori dal villaggio Duraz mentre decine di manifestanti sono attaccati dalla polizia anti-sommossa all’interno del villaggio», twitta AngryArabiya a due giorni dall’avvio del Gran Premio di Formula Uno in Bahrain. AngryArabiya è una giovane donna che racconta quotidianamente su Twitter, dal carcere o dalla strada, la realtà della primavera araba dimenticata, quella del Bahrein. Mobilitazione e protesta twittata con dignità e coraggio, consapevole di dover combattere il regime della famiglia reale Al Khalifa che ha condannato all’ergastolo suo padre e che detiene suo marito nello stesso carcere.
Zeinab al Khawaja ha in Twitter il suo mezzo di comunciazione preferito, comune denominatore di tutte le recenti proteste nel mondo. Il suo account @angryarabiya conta oggi 39.780 followers e il suo intento è far uscire dal Bahrein le urla di dolore provocate dalla tortura in atto nel paese.
AngryArabiya più volte ha ribadito che il «Il Bahrain non interessa a nessuno», affermazione confermata nel momento in cui l’11 aprile 2011, un mese dopo il sanguinario sgombero della ribelle Piazza della Perla da parte dell’esercito di re Hamad bin Isa Al Khalifa affiancato da truppe saudite, la blogger scrisse una lettera al presidente Obama chiedendogli il motivo per cui la macchina democratica USA non fosse ancora intervenuta per bloccare le repressione in corso nel suo Paese.
Per il Paese e per la protesta democratica oggi è una giornata importante: con l’inizio delle prove ufficiali del Gran Premio di Formula Uno, il Bahrain è sotto i riflettori di tutto il mondo, motivo per cui gli attivisti che da più di un anno si battono per opporsi a un regime autoritario e repressivo hanno intensificato la protesta anche mediante i social media.
Nel 2011 il Gran Premio fu cancellato a causa dei gravissimi disordini che portarono a quaranta morti e a diversi feriti. Oggi, dopo diversi tentennamenti, la Federazione internazionale automobilistica ha accettato di far gareggiare le monoposto nel circuito di Manama, garantendo fiducia ai governati: un regime in mani sunnite, con una popolazione in larga parte sciita.
La famiglia reale, che è anche azionista della McLaren, da giorni al fine di evitare disordini di piazza lavora per reprimere le proteste arrestando i dissidenti. La rabbia del popolo sin da martedì sera, giorno di approdo del circo dei motori nel piccolo Paese del Golfo, ha preso di mira l’organizzazione del gran premio utilizzato dalla famiglia reale come uno strumento per purificare la propria immagine agli occhi del mondo.
A rafforzare le ragioni dei manifestati, la cui voce su Twitter mira a rendere consapevole il pianeta della situazione in Bahrein, la decisione dalle autorità del Bahrein di negare il visto d’accesso al paese ai corrispondenti delle più importanti agenzie di stampa come Associated Press, Reuters e AFP e l’invito ai cameramen sul territorio ad indossare delle bande fluorescenti per essere facilmente riconoscibili.
L’intento dei manifestanti è quello di boicottare il Gran Premio, in programma domenica, poiché come indica il leader radicale sciita Moqtada al Sadr: «Tenere questa gara nel Paese vuol dire sostenere gli assassini, l’oppressione e la violazione delle libertà del popolo del Bahrein».